venerdì 28 settembre 2018

ITALIA/ECONOMIA Tremano i mercati. E ora si temono le agenzie di rating


Bruno Perini – Il manifesto
29 settembre ’18

Un terremoto finanziario annunciato. Che si è abbattuto sulla Borsa, sui portafogli dei risparmiatori che hanno sottoscritto mutui e in particolare sugli esili bilanci del sistema bancario italiano, detentore assieme alle famiglie della gran parte dei Btp: la Borsa di Milano, con maglia nera in Europa, ha toccato crolli oltre il 4% e ha chiuso a meno 3,7%, bruciando così 20 miliardi in poche ore. Le aziende pubbliche hanno perso in un giorno 1,3 miliardi. Lo spread dopo aver sfondato zona 280, ha oscillato attorno ai 270 punti base e ha chiuso a 267 punti. Lo spettro dei 300 punti base ha tenuto banco per tutta la giornata ma alla fine c’è stata un’attenuazione dei danni. «Il governo – sussurrano a piazza Affari – dovrebbe ringraziare Mario Draghi, che forse per evitare il peggio potrebbe averci messo per l’ultima volta la sua manina, acquistando titoli italiani».
Comunque sia è stata la perentoria decisione del governo Lega-M5S con l’approvazione della nota di aggiornamento al Def al 2,4% a scatenare gli appetiti della speculazione internazionale, a provocare il panico tra gli operatori di Borsa e ad aprire un insidioso duello tra gli investitori che ogni mese ci prestano una montagna di denaro e l’esecutivo guidato da Conte che ha lanciato il guanto di sfida all’Europa per una manovra da 40 miliardi, di cui malgrado il 2,4% ne mancano almeno una dozzina.
Nei giorni scorsi i fondi di investimento e la comunità finanziaria si erano illusi che alla fine la partita la vincesse il ministro del Tesoro. E’ per questo motivo che avevano acquistato titoli di stato italiani tenendo a bada lo spread. Poi l’inatteso coup de theatre che ha messo nell’angolo Giovanni Tria e ha spiazzato l’intera comunità finanziaria.
«La lezione che gli investitori hanno tratto da questa vicenda è che le parole di Salvini e Di Maio contano di più di quelle del ministro Tria», ha detto James Athey, senior investment manager di Aberdeen Standard Investments secondo cui gli ultimi sviluppi hanno messo l’economista romano in una «posizione impossibile».
I gestori dei grandi fondi non credono che la situazione attuale sia paragonabile a quella che si creò nel 2011 con il governo Berlusconi. «Ma in un orizzonte di lungo periodo non mi sentirei di escludere uno scenario del genere. Saranno soprattutto le implicazioni della legge di bilancio sulla crescita economica a determinare le strategie dei grandi investitori esteri sul debito pubblico italiano». E ora tutti temono l’imminente voto delle agenzie di rating. David Simner, gestore di portafoglio obbligazionario di Fidelity International non ha dubbi: «Con un deficit al di sopra del 2,3% Moody’s potrebbe non solo declassarci ma rivedere in negativo le prospettive». Un ipotesi che rischia di trasformare i nostri titoli in spazzatura. «A questo punto un declassamento è dato per scontato – dice ancora James Athey – resta da vedere quanto sarà pesante la bocciatura delle agenzie. Una revisione al ribasso dell’outlook potrebbe essere il fattore decisivo tale da spingere certe categorie di fondi a liquidare la loro esposizione in Btp. Ci sono molti fondi che per statuto possono detenere solo bond sopra una determinata soglia di rating e che non aspetteranno la bocciatura a ’junk’ per disfarsi dei Btp che hanno in portafoglio».
Tito Boeri, presidente dell’Inps e candidato al licenziamento per mano del governo quando gli scadrà il mandato a febbraio, è stato durissimo. Parlando della politica dei tagli agli sprechi annunciata da Di Maio, ha usato sarcasmo: «C’è solo uno spreco che potremmo oggi ridurre senza danneggiare nessuno, quello degli oneri sul nostro debito pubblico, lo spread».
Assai critico anche Carlo Cottarelli sulle ipotesi di crescita contenute nella manovra: «Visto come sta andando adesso l’economia immaginare il Pil all’1,5% il prossimo anno sarebbe una previsione molto ottimistica, in un contesto in cui l’economia europea e mondiale sta rallentando». L’eventuale effetto espansivo della manovra «non c’è se lo spread va su, perché vuol dire che è più costoso prendere denaro in prestito, non solo per lo Stato ma per l’intera economia».

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