Roul Martimez– Rassegna sindacale
02 Ottobre 2018
Non siamo noi a crearci. Siamo il prodotto di
diverse forze biologiche, ambientali, economiche e politiche che vanno al di là
del nostro controllo. Certamente possiamo scegliere di cambiare, ma il modo in
cui lo facciamo è già il risultato di quello che siamo. Se tutti i giorni
facciamo innumerevoli scelte, questo non ci conferisce responsabilità. Non è
una giustificazione del fatalismo: occorre sempre individuare i nostri limiti
per darci la possibilità di oltrepassarli. Ma il mito della responsabilità
individuale ha portato a politiche crudeli, all’accettazione della
disuguaglianza e della povertà vissute come un fallimento personale dovuto a
pigrizia o stupidità. Lo stesso linguaggio viene usato per spiegare perché
alcuni Paesi sono più ricchi e altri più poveri: questo è il cuore del progetto
della destra, usato per difendere lo status quo.
Da una parte abbiamo dunque il mercato, che non è
il regno della libertà di scelta: si è costretti dalle circostanze ad accettare
questo sistema, e di conseguenza a svolgere lavori pericolosi o pagati poco.
Dall’altra parte abbiamo lo Stato che è sempre interventista. La questione
reale è per proteggere quali interessi esso interviene. Una democrazia che
funziona bene è un ostacolo per il profitto, perché protegge i lavoratori e
tassa i profitti per offrire servizi pubblici. Mentre l’obiettivo del mercato è
mantenere il potere, influenzando l’opinione pubblica. Il principio “una
persona, un voto” è superato dal principio “un dollaro, un voto”. Ciò è
evidente nel sistema dei media, controllati da una manciata di miliardari di
destra e dunque in grado di esercitare una forma di corruzione sui nostri
schermi. Ed ecco che l’utopia neoliberista diventa una distrazione pericolosa
dalle dinamiche del mondo reale tra il potere e il controllo. Quello che
abbiamo visto negli ultimi anni, però, più che neoliberismo è socialismo per i
ricchi e capitalismo per i poveri: il rischio viene condiviso, ma il profitto è
privatizzato. Basti illustrare i risultati di quattro decenni di queste
politiche: aumento delle disugualianze, crisi economica, degradazione
ambientale, democrazie più fragili. Oggi l’un per cento dell’umanità possiede
la stessa ricchezza del restante 99 per cento e le condizioni ecologiche si
stanno smantellando molto velocemente; uno studio del Fondo monetario
internazionale ha dimostrato che il costo esternalizzato dell’industria del
combustibile fossile è di 10 milioni di dollari al minuto. Si lascia che altri
paghino il conto. Oggi alcune narrative distopiche affermano che le nostre
creazioni tecnologiche finiranno per sopraffarci; ma la vera minaccia non
risiede nei robot o nell’intelligenza artificiale, è nel sistema economico che
noi stessi abbiamo creato, nella politica dell’odio e nella xenofobia nate dal
fallimento dell’establishment di rispondere alle crisi. Se dunque il terreno
centrale delle opinioni politiche è nient’altro che un costrutto sociale nel
quale si riflettono le relazioni di potere prevalenti, per cambiare il corso
delle cose bisogna mettere in discussione le idee che stanno alla base delle
nostre identità e culture, esercitare solidarietà oltre i confini nazionali, abbracciare
e proteggere la diversità degli esseri umani. In poche parole, dobbiamo
sostenere politiche radicali, sostenibili e democratiche.
I sindacati sono spesso stati una parte vitale di
questa lotta. In Gran Bretagna, Corbyn ha iniziato a parlare con passione di
porre fine all’austerità, abolire le rette universitarie, rinazionalizzare il
sistema sanitario e le ferrovie; tramite i social media manda un messaggio
politico che ispira un rinnovato movimento di giovani, le persone scendono in
strada quando è necessario e hanno il forte sostegno delle organizzazioni dei
lavoratori. Il messaggio è chiaro: per vincere dobbiamo essere radicali,
coraggiosi, idealisti. Dobbiamo pretendere quello che ieri non osavamo nemmeno sperare.
I sindacati in Europa si sono focalizzati su obiettivi
immediati, come retribuzioni più alte, migliori condizioni di lavoro e pensioni
decenti. Questo approccio ha portato a importanti vittorie, ma la storia ci
insegna che quando non si riesce a ingaggiare una contesa più ampia per un
futuro più democratico, sostenibile ed equo, l’equilibrio del potere si
allontana, fino a che anche le battaglie per i salari e per le condizioni di
lavoro diventano inaccessibili. Con sindacati coraggiosi e movimenti popolari
possiamo riscrivere le regole del gioco
Nessun commento:
Posta un commento