Redazione – Il manifesto
02 Ottobre 2018
Il Viminale nega ogni modifica al testo del
decreto sicurezza e immigrazione approvato lo scorso 24 settembre, ma il fitto
scambio di pareri che da giorni intercorre tra i tecnici del ministero e quelli
del Colle sarebbe arrivato a termine con un accordo su almeno uno dei punti più
controversi del provvedimento: quello riguardante la possibilità di sospendere
l’esame della domanda di protezione internazionale nel caso il richiedente
asilo abbia commesso un reato. Una misura restrittiva particolarmente dura,
priva però di alcun fondamento giuridico e che si sarebbe prestata a
un’obiezione di possibile incostituzionalità da parte del presidente della
Repubblica (che ieri ha incontrato il premier Conte).
La soluzione pensata dal Viminale per aggirare
l’ostacolo sarebbe invece inoppugnabile: in casi di denuncia, anziché essere
sospesa la richiesta di asilo verrebbe sottoposta a una procedura accelerata da
parte della Commissione territoriale incaricata di esaminarla. In caso di
accoglimento e quindi di riconoscimento dello status di rifugiato, il migrante
che ha commesso un reato verrebbe processato. Nel caso contrario, se quindi la
richiesta venisse respinta,. a quel punto il Viminale avrebbe tutte le carte in
regola per procedere alla sua espulsione immediata anche in caso di
presentazione di ricorso. Un’altra modifica riguarderebbe una richiesta fatta
dal Mef per prevedere che le future disposizioni non comportino nuovi o
maggiori oneri a carico dello Stato.
Almeno per ora, invece, non sarebbe stato toccato
un altro dei punti più discussi, vale a dire la possibilità di revocare la
cittadinanza per i cittadini di origine straniera condannati per reati legati
al terrorismo.
Stando a fonti del Viminale il decreto dovrebbe
essere stato inviato a Colle ieri sera.
Intanto uno studio condotto dall’Ispi, l’Istituto
per gli studi di politica internazionale, punta l’indice sulle politiche anti
immigrazione del Viminale rilevando come le politiche di contrasto degli arrivi
di migranti abbiano provocato un aumento di morti nel Mediterraneo.
La ricerca, che si basa sui dati forniti
dall’Unhcr e dall’Oim, ha esaminato gli effetti che il giro di vite imposto
negli ultimi quattro mesi dal governo ha avuto sui «viaggi della speranza». E i
risultati sono drammatici.
Il calo degli arrivi comincia con l’estate del
2017. Prima di quella data ogni giorno si contavamo 12 morti in mare, scese in
seguito a 3 al giorno in corrispondenza delle «politiche Minniti». Per risalire
poi a 8 al giorno da giugno di quest’anno, da quando cioè sono entrate in
vigore le nuove disposizioni del governo.
«A quattro mesi dall’inizio della stretta
selvaggia in mare – scrive l’Ispi – appare come minimo dubbia l’utilità delle
politiche di deterrenza nei confronti del soccorso in mare che a fronte di una
diminuzione modesta degli sbarchi in Italia ha coinciso con un forte aumento
del numero di morti e dispersi».
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