lunedì 1 ottobre 2018

ITALIA & LAVORO Un sindacalista «infiltrato» tra i riders


Chiara Mancini – Rassegna sindacale
02 Ottobre 2018

Andrea Frangiamore, ti sei inserito nella realtà dei riders quasi come un infiltrato speciale: un’azione decisamente innovativa da un punto di vista sindacale. Com’è nata questa esigenza e che ruolo ha avuto la tua organizzazione sindacale? 
A marzo, in un clima di crescente attenzione da parte dell’opinione pubblica sul tema, a Pavia abbiamo cercato di capire quale potesse essere la modalità per organizzare i lavoratori che stanno all’interno di queste aziende definite “piattaforme” che hanno un modello di organizzazione del lavoro inedito nella storia. La risposta è stata quella di inserirci tra questi lavoratori, partendo dal lavoro stesso: sono andato quindi a lavorare per le due piattaforme operanti a Pavia. La valutazione che abbiamo fatto è partita da due presupposti: il primo è quello di conoscere dall’interno l’organizzazione tecnica del lavoro e con essa le condizioni contraddittorie di cui è portatrice; il secondo è capire se esiste uno spazio per provare a socializzare e sindacalizzare questi lavoratori, intercettandoli sul luogo di lavoro che in questo caso è lo spazio dilatato della città. Insomma, la nostra è stata una nuova risposta organizzativa che nasce dal sindacato.

Quali sono stati i principali passi di questa azione? 
Per farmi assumere ho innanzitutto oscurato il profilo Facebook per evitare un facile controllo; dopo aver fatto l’applicazione online, sono stato contattato dalle aziende ed è bastato che mi sia detto disponibile e in possesso di bicicletta e macchina. Insomma, nessuna formazione da parte di una piattaforma e pochissima (qualche minuto) da parte di un’altra. A quel punto ho dato le prime disponibilità orarie e mi sono ritrovato subito a fare consegne.

Quali condizioni di lavoro hai trovato, ma soprattutto quali luoghi e modalità di socializzazione tra i riders? 
Le condizioni sono in parte ormai note: si lavora a cottimo puro (pagamento della consegna) e questo genera pressione sul lavoratore e contrapposizione tra colleghi. L’unico interlocutore è lo smartphone e questo genera alienazione. Non esiste alcun tipo di tutela a partire dalla malattia, per cui quando si sta poco bene non solo si resta senza paga, ma si viene penalizzati poiché non in grado di garantire affidabilità: oltre il danno la beffa. Vi sono dei luoghi di ritrovo informali, spesso centrali rispetto alla posizione degli esercenti operanti sull’applicazione: questo concentramento permette anche una prima socializzazione informale, anche solo per scambiarsi informazioni lavorative.

Come è stata percepita la tua presenza una volta che hai svelato la tua identità? 
Molto bene: sono stati subito molto incuriositi dalla presenza di un giovane sindacalista che con loro condivideva quel tipo di lavoro. All'inizio sono stati un paio di loro a individuarmi dopo aver letto un articolo di giornale che parlava di un infiltrato della Cgil fra i riders. Successivamente si sono avvicinati al sindacato e ora abbiamo un discreto riconoscimento sul territorio.

Adesso che rapporto c’è con i riders? 
Abbiamo diversi iscritti e con loro stiamo muovendo i primi passi per stabilizzare il sistema di relazioni nel sindacato, per organizzare le loro istanze sul territorio. Stiamo cercando di costruire e stabilizzare una prassi con loro, creando un sistema di servizi che possa migliorare la qualità dei tempi di lavoro e le loro vite in generale.

C’è un punto qualificante di questa tua esperienza che può insegnarci qualcosa su come fare sindacato in un mondo del lavoro che cambia? 
La nostra è stata una sperimentazione esportabile, ma senza pretesa di diventare un modello. Ciò che qualifica l'esperienza è così sintetizzabile: per nuovi modelli di organizzazione del lavoro, il sindacato confederale può sperimentare nuovi modelli di organizzazione dei lavoratori. Laddove in tanti sostenevano che fosse un mondo del lavoro difficilmente intercettabile e sindacalizzabile, noi abbiamo sperimentato una tipologia di approccio che nel nostro caso ha funzionato.

Come si lega questo tema a quello della democrazia, oggetto delle Giornate del lavoro di Lecce?
Credo che il tema della democrazia sia anche il tema delle formazioni sociali e della loro organizzazione. È imprescindibile dunque provare a dare una risposta alle formazioni sociali vecchie e nuove. Anche organizzare i riders nel sindacato significa costruire una cultura democratica che passi per l’intermediazione e non il contrario.

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