sabato 30 giugno 2018

Rabbino israeliano: bruciare i palestinesi non è solo permesso ma obbligatorio



Il rabbino razzista israeliano, Shmuel Eliyahu, ha chiesto di bruciare i palestinesi, accusandoli di essere responsabili dei recenti incendi nei territori palestinesi occupati.

"Bruciare i palestinesi non è solo lecito ma obbligatorio," ha scritto Eliyahu Venerdì sul suo account Facebook riferendosi agli incendi che hanno causato decine di migliaia di sfollati in varie parti dei territori occupati.

Egli ha anche ricordato le dichiarazioni del Primo Ministro regime di Israele, Benyamin Netanyahu, che ha descritto la situazione come "una nuova forma di terrorismo" e ha detto che uno dei funzionari israeliani considerati i fuochi recenti come una scusa per il massacro dei palestinesi.

"Se avessi sparato ai palestinesi, gli incendi non si sarebbero mai verificati nella città di Haifa (nord) e in altre aree", ha detto.

Funzionari israeliani accusano i palestinesi di essere responsabili degli incendi per deviare l'opinione pubblica e coprire l'incapacità delle autorità israeliane di spegnere gli incendi.

Decine di migliaia di persone sono state evacuate e un gran numero di persone sono state ferite a causa degli incendi iniziati da martedì scorso in varie parti dei territori palestinesi occupati, soprattutto ad Haifa.

Un portavoce della polizia israeliana ha annunciato Sabato che quasi un migliaio di coloni sono stati costretti a lasciare le case dopo la diffusione del fuoco per le aree nei pressi degli insediamenti nella Cisgiordania occupata.



Fonte: Alwaght Agency

Agisci per la liberazione di Khalida Jarrar



La leader palestinese Khalida Jarrar, una parlamentare femminista di sinistra imprigionata dall’occupazione israeliana, è in carcere  senza accusa né processo dal 2 luglio 2017.

Giugno 2018

Mentre i suoi amici, familiari e compagni attendevano la sua liberazione, il ​​14 giugno sono stati informati che la sua detenzione amministrativa è stata rinnovata per la terza volta per altri quattro mesi. Agisci per chiedere limmediato rilascio di Khalida Jarrar e dei suoi compagni prigionieri palestinesi!

Firma la petizione:  http://bit.ly/FreeKhalidaJarrar

Mentre i palestinesi marciano a Gaza nella Grande Marcia del Ritorno e mentre scendono in piazza in Cisgiordania nel movimento Lift the Sanctions, l’occupazione israeliana sta estendendo la detenzione di Khalida Jarrar senza accusa né processo, per mantenere questa leader forte e potente lontano dalle piazze  e dalla sua gente.
Il rinnovo della detenzione amministrativa di Khalida dovrebbe essere approvato da un tribunale militare israeliano il 2 luglio. Prima che avvenga l’approvazione, è importante sentire la solidarietà internazionale che, ad alta voce e chiaramente, chiede la sua libertà!
Khalida Jarrar è un’attivista che da lungo tempo si batte per la  libertà dei prigionieri palestinesi, è vicepresidente di Addameer Prisoner Support and Human Rights Association ed ex direttore esecutivo. Membro del Consiglio legislativo palestinese è stata eletta nella coalizione di sinistra Abu Ali Mustafa, aderente al Fronte popolare per la liberazione della Palestina, è presidente del Comitato per i prigionieri del PLC.
È anche una leader che lotta apertamente per portare i funzionari israeliani responsabili dei crimini di guerra alla Corte penale internazionale. È membro di una commissione palestinese incaricata di presentare denunce e documenti dinanzi al tribunale internazionale sui crimini israeliani in corso contro il popolo palestinese, dagli attacchi a Gaza alla  confisca delle terre, alla costruzione delle colonie, agli arresti di massa e alla reclusione.
Questa non è la prima volta che si trova ad affrontare arresto e persecuzioni. Nel 2014, ha resistito – e ha sconfitto – un tentativo israeliano di allontanarla forzatamente dalla sua casa di famiglia a El-Bireh a Gerico. Solo nove mesi dopo, nell’aprile 2015, fu sequestrata dalle forze di occupazione israeliane e condannata alla detenzione amministrativa, reclusione senza accusa né processo. Dopo una protesta globale, è stata portata di fronte ai tribunali militari israeliani e ha dovuto affrontare 12 accuse basate sulla sua attività politica, dal tenere discorsi agli eventi a sostegno dei prigionieri palestinesi.
Dopo essere stata rilasciata nel giugno 2016, ha ripreso il suo ruolo da protagonista nel movimento di liberazione palestinese, per poi essere nuovamente arrestata il 2 luglio 2017 e ancora una volta gettata in prigione senza accuse né processo.
La sua detenzione amministrativa è stata già rinnovata per altri sei mesi nel dicembre 2017, ed è chiaro che l’occupazione israeliana non ha intenzione di rilasciare Khalida, una dei leader tra i 6.200 prigionieri palestinesi (inclusi quasi 500 detenuti amministrativi) nelle carceri israeliane.
Lei, insieme ai suoi compagni detenuti amministrativi, boicotta le corti militari israeliane che firmano gli ordini di detenzione militare. Chiedono la fine della pratica della detenzione amministrativa,  introdotta in Palestina dal mandato coloniale britannico prima di essere adottata dall’occupazione sionista. Gli ordini di detenzione amministrativa possono essere emessi fino a sei mesi alla volta e sono rinnovabili a tempo indeterminato. I palestinesi hanno trascorso anni in carcere senza accuse né processo sotto detenzione amministrativa.
All’interno della prigione d’occupazione israeliana, ha svolto un ruolo di primo piano nel sostenere l’educazione delle ragazze minori nelle carceri. Quando l’autorità carceraria negò alle ragazze un insegnante, organizzò corsi sui diritti umani e di preparazione per gli esami obbligatori del liceo, .
Sappiamo che l’udienza militare israeliana è una finzione. Ma è più importante che mai che le nostre voci siano ascoltate e le nostre azioni siano visibili per tutta la prossima settimana per chiedere la libertà per Khalida Jarrar. Le proteste sono già state organizzate a New York e in altre parti del mondo.

Unisciti a noi per agire!

trad. Invictapalestina.org

Candidata pro-Palestina un passo più vicina al Congresso dopo la vittoria del voto di New York



29 giugno 2018

Il Partito Democratico degli Stati Uniti questa settimana ha subito un vero shock quando una 28enne ex-organizzatrice della candidatura presidenziale di Bernie Sanders ha cacciato un veterano del partito dal suo piedistallo al Congresso con una campagna su giustizia sociale, uguaglianza e sostegno del popolo palestinese.
Alexandria Ocasio-Cortez, figlia di  operai immigrati , ha vinto martedì scorso le primarie democratiche nel quattordicesimo distretto congressuale di New York, battendo Joe Crowley, in carica da dieci anni, che era uno dei favoriti a diventare il leader del partito. Il risultato ha prodotto un’onda d’urto con politici e esperti che chiedono cosa significhi la vittoria di una sostenitrice progressista della giustizia sociale per una qualsiasi carica.
La campagna di Ocasio-Cortez, che si è collegata con le comunità di base ed è stata condotta su una piattaforma per la giustizia sociale e l’uguaglianza, ha ricevuto consensi. Alcuni democratici hanno descritto il suo approccio come la ricetta per riportare i Democratici al potere.
La visione di Ocasio-Cortez su Israele e Palestina ha anche ricevuto un’ampia attenzione dei media. La candidata democratica ha espresso il suo sostegno ai palestinesi durante le proteste della Giornata della Terra a Gaza, in cui 135 palestinesi sono stati uccisi dalle forze di occupazione israeliane e altri 13.000 sono rimasti feriti.
“Questo è un massacro”, ha twittato Ocasio-Cortez.
“Spero che i miei colleghi abbiano il coraggio morale di chiamarlo così”.
“Nessuno Stato o entità è assolto dalle sparatorie di massa su manifestanti. Non c’è giustificazione. Il popolo palestinese merita dignità umana fondamentale, come chiunque altro.”
Glenn Greenwald, un esperto di Intercept, ha detto che il tweet ha attirato molta attenzione perché è raro vedere qualcuno nella politica ufficiale parlare con “così chiari termini morali che denunciano in questo modo l’aggressione militare del governo israeliano”.
Greenwald ha osservato che era politicamente suicida per i candidati prendere una posizione anti-israeliana. I candidati di successo, ha detto, avevano bisogno di dimostrarsi “inflessibilmente fedeli a Israele”. Alla domanda di Greenwald se sentiva di dover prendere una posizione così dura contro Israele nonostante il costo politico, Ocasio-Cortez ha detto che è stata costretta a prendere la posizione che ha preso riguardo alla Palestina per motivi morali.
“Il mio background è di educatrice, organizzatrice e attivista”, ha detto Ocasio-Cortez. “E penso di essere stata costretta principalmente da motivi morali, perché posso solo immaginare che 60 persone potessero essere uccise a colpi di arma da fuoco a Ferguson o che 60 persone potessero essere uccise a colpi di arma da fuoco durante lo sciopero degli insegnanti nella Virginia dell’Ovest” riferendosi ai diritti civili e alle proteste dei diritti dei lavoratori tenute negli Stati Uniti negli ultimi anni.
“L’idea che non dovremmo parlare di persone che muoiono quando prendono parte ad una espressione politica mi ha davvero colpita. E in corsa per la carica, vedere un silenzio del genere su questa questione per me è stato piuttosto interessante.”
Ocasio-Cortez ha sottolineato che la sua famiglia è portoricana, un territorio statunitense “a cui non viene concesso alcun diritto o rappresentanza civica”. “Non posso immaginare che potesse calare il silenzio se 60 persone fossero state uccise per le proteste contro la negligenza degli Stati Uniti nella FEMA [l’agenzia federale di gestione delle emergenze] e per il modo in cui ci tengono su quell’isola,” ha aggiunto, facendo riferimento alla lenta risposta federale alla devastazione operata sull’isola dall’uragano Maria che ha colpito l’anno scorso.
La candidata democratica ha anche fatto notare la diversità del suo distretto congressuale e ha affermato che molti elettori ebrei e musulmani l’hanno ringraziata per la posizione che ha assunto su Twitter.
“La gente a New York dice che questo è un suicidio politico, e così via, ma ho tanti dei miei elettori che mi ringraziano per aver preso quella posizione”, ha continuato Ocasio-Cortez. “Penso che con la stessa lente che ho usato io, le persone stiano separando le azioni e lo status dei palestinesi dalla geopolitica dell’area. Penso che le persone stanno cominciando a guardare solo alla situazione umanitaria del popolo palestinese attraverso una lente umanitaria“.
Anche il senatore del Vermont Bernie Sanders, ex capo di Ocasio-Cortez, ha preso allo stesso modo linee dure contro il governo israeliano.

Traduzione: Simonetta Lambertini – Invictapalestina.org

Fonte:https://www.middleeastmonitor.com/20180629-pro-palestine-candidate-step-closer-to-congress-after-new-york-vote-victory/

Al prezzo di un preservativo…




Invisibile, non rilevabile, il dispositivo sale rapidamente a decine di metri …

(Foto: corrispondente di Assawra)



Al Faraby – Mardi, 26 juin 2018

Un preservativo è a priori innocuo. Tranne che qui, gonfiati con un gas più leggero dell’aria, mettendone insieme diversi, possono trasportare una lattina di soda preparata con un panno imbevuto di un liquido infiammabile e affiancata da uno stoppino acceso, diventa un’arma formidabile.

Invisibile, non rilevabile, il velivolo sale rapidamente a decine di metri di altezza, e vola per centinaia di metri, finché i preservativi esplodono a causa del panno che prende fuoco e cade come una torcia nei campi degli insediamenti confinanti con Gaza.

Il sistema costa circa due dollari ($ 1 equivale a NIS 3.8).

400 incendi sono stati provocati così dal 30 marzo 2018, devastando migliaia di ettari di terreni agricoli e causando danni stimati in oltre mezzo milione di dollari.

Vi lascio calcolare il ritorno sull’investimento … Non dimenticate di includere l’essenziale: lo spirito di resistenza che si acuisce con ogni preservativo che sale nell’aria. Questo spirito non ha prezzo. Non si può né comprare né vendere.



W i partigiani palestinesi
Fonte: https://assawra.blogspot.com/2018/06/au-prix-dun-preservatif.html

Bolton detta la linea a Trenta




da Lista Disarmo Peacelink



Il Ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, ha ricevuto il 26 giugno 2018 a Palazzo Baracchini l’Amb. John Bolton, Consigliere per la Sicurezza Nazionale del Presidente degli Stati Uniti d’America
Libia, Afghanistan, Iraq, Niger, Libano. I principali dossier internazionali sono stati al centro dell’incontro tra il Ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, e il Consigliere per la Sicurezza Nazionale del Presidente degli Stati Uniti d’America, Amb. John Bolton.
Una prima occasione di incontro, durante la quale Trenta e Bolton hanno confermato gli ottimi rapporti esistenti tra Italia e Stati Uniti d’America e l’impegno comune nella lotta al terrorismo e per la sicurezza internazionale.
“Il Nostro Paese è uno dei maggior contributori alla sicurezza internazionale in ambito Nato, Nazioni Unite e Coalizione anti Daesh” ha ricordato nel corso del colloquio il Ministro Trenta, che dal Consigliere Bolton ha ricevuto il ringraziamento per il grande contributo e sostegno offerto dall’Italia.
Riguardo la Libia, esiste una sostanziale convergenza di vedute diItalia e USA circa la necessità di supportare pienamente il processo dipace a guida ONU.
A tal proposito, il Ministro Trenta – che ieri a Lussemburgo ha preso parte alla Ministeriale dell’Unione Europea – ha rimarcato l’esigenza di trovare reali soluzioni sull’immigrazione anche per quanto riguarda il confine Sud della Libia.
Infine, riguardo l’impegno economico richiesto ai Paesi della Nato, stata rilevata la tendenza positiva degli ultimi anni anche da parte dell’Italia nonché il valore di altri contributi dati a sostegno della difesa e sicurezza internazionale come quello alla cyber defence.

L’esercito siriano avanza contro i terroristi a Dara’a; Israele in allerta sul Golan




L’esercito siriano è riuscito a strappare il controllo su diverse città e villaggi nella strategica provincia meridionale di Dara’a, portando Israele ad alzare il livello di allerta nelle Alture del Golan.

da Controinformazione



L’agenzia ufficiale SANA della Siria ha riferito venerdì che l’esercito ha riconquistato al-Herak, Rakham, al-Soura, Alma, al-Mliha al-Sharqia e al-Mliha al-Gharbia nella campagna di Dara’a, uccidendo decine di terroristi Takfiri.
Le unità di ingegneria militare siriana hanno in seguito iniziato a smantellare le gallerie scavate dai terroristi ed hanno scoperto ordigni esplosivi installati dai miliziani prima che fuggissero nelle zone limitrofe, secondo il rapporto.
Un comandante sul campo siriano ha detto alla agenzia SANA che l’Esercito avrebbe continuato le sue operazioni a Dara’a fino allo sradicamento totale dei terroristi appoggiati dall’estero.
Separatamente, la SANA ha riferito che i militanti sostenuti dagli stranieri nei villaggi di Um Walad, Jbib e al-Aslaha nella campagna orientale di Dara’a avevano accettato di deporre le armi e riconciliarsi con il governo siriano.
Un comandante militare siriano, che stava parlando in condizione di anonimato, ha sottolineato che le conquiste territoriali dell’esercito avevano lasciato i militanti anti-Damasco “senza scelta” se non quella di arrendendersi o perire.
“I gruppi terroristici si stanno orientando verso la resa, il deporre le armi e la riconciliazione”, ha aggiunto.
Inoltre, il cosiddetto “Osservatorio siriano per i diritti umani” (SOHR), con sede a Londra, ha confermato che ben otto città erano in fase di negoziati di riconciliazione.
“Ci sono colloqui in corso tra i russi da una parte e le fazioni dell’opposizione dall’altra, attraverso i mediatori locali, sul destino di otto città nelle campagne di Dara’a”, ha detto il gruppo di monitoraggio britannico.
Il capo del SOHR Rami Abdel-Rahman ha detto che la polizia militare russa sta conducendo le discussioni per ciascuna città separatamente. “Molti di loro sembrano disposti a riconciliarsi” con il governo siriano e consegnare le loro armi pesanti, ha detto.
La riconquista di Dara’a è molto importante perché confina con le alture del Golan occupate che Israele ha usato per anni, per sostenere i miliziani ed assistere i loro feriti negli ospedali di Israele.
Il ritorno del territorio sotto il controllo del governo siriano taglierebbe la tanto annunciata collaborazione tra Israele e miliziani e infliggerà un duro colpo ai piani di Tel Aviv di annettere le alture del Golan.
Israele ha conquistato le alture del Golan dalla Siria durante la Guerra dei Sei Giorni del 1967 e da allora ha continuato a occupare i due terzi del territorio strategicamente importante da allora, in una azione che non è mai stata riconosciuta dalla comunità internazionale.
Il regime di Tel Aviv ha costruito decine di insediamenti illegali nella zona sin dalla sua occupazione e ha utilizzato la regione come trampolino di lancio per condurre attacchi aerei contro posizioni militari siriane, in appoggio ai gruppi terroristi.

Netanyahu sulle Alture del Golan
L’ONU esorta i gruppi armati a lasciare la zona cuscinetto del Golan
Inoltre, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato all’unanimità la risoluzione 2426 (2018), che invitava i gruppi armati a lasciare la zona cuscinetto del Golan.
“Non dovrebbero esserci forze militari nell’area della separazione diverse da quelle dell’UNDOF”, ha letto la risoluzione, riferendosi alla Forza di disimpegno degli osservatori delle Nazioni Unite, una missione di mantenimento della pace che pattuglia il Golan.

L’ONU ha inoltre condannato “i continui combattimenti” nella zona cuscinetto del Golan e ha esortato tutte le parti coinvolte nel conflitto siriano “a cessare le azioni militari nell’area delle operazioni UNDOF” e “a rispettare pienamente i termini dell’Accordo sulla disimpegno delle Forze del 1974”.

Fonte: Press Tv
Traduzione: L.Lago

La Cgil accusa: clima di odio e intolleranza contro i lavoratori stranieri




Il sindacato trentino commenta le minacce di morte al lavoratore: atteggiamenti alimentati da chi ora sta al governo

da Globalist



Odio razzista che diventa ‘miele’ per tanti fascisti padroni delle ferriere. Per chi è cascato nella retorica del ‘popolo’ (popolo bue che alla fine apre i portoni all’estrema destra) sarà molto facile vedere che alcuni atteggiamenti padronali stanno trovando nuove motivazione.

La Cgil punta l’indice contro questo clima di odio e di sopraffazione: «L’audio registrato dal lavoratore, assunto con un contratto da metalmeccanico, è agghiacciante. Da un lato, la rabbia. Dall’altra, una voce tremante. Una situazione che ci ha spinti immediatamente a prendere posizione» ha detto Romano Vicentini, direttore dell’Ufficio vertenze della Cgil del Trentino, sottolineando che questa non è una situazione isolata. «Erano almeno dieci anni che non mi ritrovavo a trattare casistiche simili, ma da qualche tempo c’è stata una riacutizzazione con un aumento dell’intolleranza non solo verso i lavoratori nordafricani ma anche verso i lavoratori meridionali. Un capitolo della storia italiana che pensavo non avremmo mai più dovuto aprire» specifica Vicentini.

Ovviamente l’estrema destra razzista al potere non ha fatto che rinfocolare questa deriva. «Questi comportamenti stanno trovando legittimazione nel clima di odio e rancore che viene alimentato anche da chi è attualmente alla guida del nostro Paese – ha aggiunto il segretario della Cgil del Trentino, Franco Ianeselli, spiegando — Non si possono sottovalutare né tacere i casi singoli: tutti gli attori sociali, sindacati e imprese incluse, hanno la responsabilità di prendere posizione contro questa deriva».

Da qui, la decisione del sindacato di rendere nota la vicenda. «Il sindacato, almeno per come lo intendiamo noi, tutela tutti i lavoratori e le lavoratrici e non può arretrare di fronte al clima di odio razziale e all’avanzamento della barbarie» scrive in una nota la Cgil. Le carte, ora, sono nelle mani dell’avvocato che garantirà tutela legale ad A. E la stessa Cgil del Trentino si costituirà parte civile nell’eventuale processo a carico del datore di lavoro.

Il padrone al lavoratore straniero: "ora che c'è Salvini posso ucciderti"




L'audio registrato da A., lavoratore marocchino, della risposta del suo capo quando ha provato a chiedere un giorno per malattia. Scattata la denuncia



da Globalist



Una vergogna. Il fascismo sdoganato. L'arroganza dei padroni che hanno trovato nel sedicente governo del Cambiamento nuova linfa per prendersela con i più deboli.

Quello che è accaduto a Trento (tutto registrato) è solo la punta dell'iceberg: "Ti posso anche ammazzare, ora che è andato su Salvini. Ti brucio vivo, bastardo islamico".

Quando A., lavoratore marocchino della provincia di Trento, ha provato a chiedere al suo capo di rimanere un giorno a casa per malattia, questa è stata la risposta che ha ricevuto. Risposta che A. ha registrato e portato alla Cgil e alle forze dell'ordine per sporgere denuncia.

A pronunciare gli insulti islamofobi è S., titolare dell'azienda dove lavora A., che ha continuato: "Islamico di merda, che muoia tutta la tua razza. Cos'è che c'hai? Il tuo ramadam? Vedrai che ti mando Casapound, sai cos'è Casapound a Trento? Per rapirti ti bruciamo vivo. Stai attento, stai attento che ti mangiamo. E domattina, al capannone, hai capito?». «Ma io non sto bene, non vengo» ha replicato il lavoratore.

Conclusa la conversazione, il lavoratore ha chiesto aiuto alla Cgil che gli ha suggerito di avviare le dimissioni per giusta causa. Ed è scattata la denuncia: "L' audio registrato dal lavoratore, assunto con un contratto da metalmeccanico, è agghiacciante. Da un lato, la rabbia. Dall' altra, una voce tremante", commenta il suo legale.

Migrazioni, le cause rimosse dal governo



Lampedusa, 10 anni fa la porta d'Europa. Il primo elemento importante per ridurre la migrazione è far crescere il reddito della popolazione dell’Africa e qui, anche se l’impegno dell’Europa è importante, occorre intervenire soprattutto nei grandi partenariati (non solo a livello di aiuti) come gli Accordi di Partenariato Economico o Ape (Economic Partnership Agreement), e gli accordi Acp (Africa, Caraibi e Pacifico) perché siano più equi



Fabrizio Floris, Il Manifesto



Il 28 giugno 2008 venne inaugurata a Lampedusa la Porta di Mimmo Paladino, un monumento che intendeva mostrare l’Europa come un luogo aperto a chi si trovava dall’altra sponda del Mediterraneo. Un ricordo di coloro che avevano perso la vita in mare perché questo non accadesse più. Ne furono promotori l’Associazione Amani for Africa, l’associazione Alternativa Giovani di Lampedusa e Arnoldo Mosca Mondadori.

E basterebbe leggere le statistiche sulla popolazione dei due continenti a suggerire un’unità e collaborazione tra gli stessi: nel 2100 l’Europa avrà 639 milioni di abitanti, l’Africa 4,2 miliardi. È noto che la scelta di migrare permane finché il differenziale di reddito tra due paesi è superiore a tre, il costo e la fatica di lasciare la propria terra sono «ripagati» solo se puoi triplicare il tuo benessere: ci si sposta se nel proprio paese si guadagna 100 e nel paese limitrofo almeno 300.

Tra i paesi dell’Africa e l’Europa questa differenza è superiore a 100, ad esempio il reddito pro-capite annuo in Italia è di 30.527 mila dollari nella Repubblica Centrafricana è di 382 dollari, ma le differenze di reddito e opportunità sono significative all’interno dello stesso continente africano infatti la maggior parte delle migrazioni sono interne allo stesso, solo una parte minima si sposta verso l’Europa.

Il primo elemento importante per ridurre la migrazione è far crescere il reddito della popolazione dell’Africa e qui, anche se l’impegno dell’Europa è importante, occorre intervenire soprattutto nei grandi partenariati (non solo a livello di aiuti) come gli Accordi di Partenariato Economico o Ape (Economic Partnership Agreement), e gli accordi Acp (Africa, Caraibi e Pacifico) perché siano più equi.

La seconda causa di movimento delle popolazioni è la violenza armata anche qui l’Europa può fare molto sia a livello internazionale per limitare la vendita di armi da parte dei paesi del patto atlantico sia per far rispettare tale impegno ai propri paesi, sia a livello diplomatico. Fin qui tutti i governi che si sono alternati in Italia non hanno agito sulle cause dell’immigrazione, ma sugli effetti e l’unica opzione possibile in questo senso è quella militare, ma in outsourcing: pagare governi più o meno democratici perché blocchino il flusso migratorio verso l’Europa.

La Porta di Lampedusa rappresenta il tentativo di investire a livello culturale, appare strano che chi si occupa di questioni umanitarie preferisca destinare fondi ad un monumento rispetto all’emergenza, ma la questione migrazione in Europa non propriamente economica, militare o di altro genere, ma attiene alla cultura a come si guarda al continente e i fatti non sono veri o falsi in sé, ma lo diventano nelle loro conseguenze: se vedo l’altro come ostile diventerà un nemico. E se si sta alle cronache di questi mesi si può affermare che questa battaglia in Italia è stata persa.

Solo gli economisti sono rimasti a considerare l’opportunità di avere vicino un continente giovane, pieno di risorse, un mercato di un miliardo di persone, ma quelli che guardano alle persone in quanto esseri umani sono rimasti isolati. Il dibattito a smesso di essere ragionamento, dialogo, confronto ed è diventato tifo.

Per questo, spiega Gian Marco Elia di Amani, noi abbiamo pensato di ricordare questi dieci anni, regalando la poesia che Alda Merini ci donò nel 2008 «Una volta sognai…/ Così, figli miei,/ una volta vi hanno buttato nell’acqua/ e voi vi siete aggrappati al mio guscio/ e io vi ho portati in salvo/ perché questa testuggine marina/ è la terra/ che vi salva/ dalla morte dell’acqua».

Migranti, l’inarrestabile declino dell’Europa



Porti in faccia. Macron fa le parti del leader “umano” perché accoglie pochi scampati ai naufragi, mentre la sua polizia sigilla le frontiere. Angela Merkel è esclusivamente interessata ad assicurare gli alleati bavaresi che la “barca è piena”, e che quindi saranno prese le necessarie misure per non far salire più nessuno a bordo. E tutti gli altri, i fascisti o para-fascisti austriaci, polacchi, slovacchi, ungheresi, che le burocrazie europee si guardano bene dal sanzionare, si chiudono in un isolamento identitario sempre più feroce



Alessandro Dal Lago, Il Manifesto



L’Europa comprende 48 stati, esclusa la Russia, e ha 730 milioni di abitanti, poco più di un decimo della popolazione mondiale. Solo negli ultimi cent’anni gran parte dei paesi europei è stata coinvolta in una successione di guerre che hanno provocato un centinaio di milioni di morti. E stiamo parlando della cosiddetta culla della “civiltà” mondiale, che ha diffuso (insieme alla propaggine americana) il suo patrimonio di tecnologie e stili di vita dapprima con la violenza coloniale e imperialista, e poi con la forza dell’economia.

Ebbene, l’Europa – che, dopo la catastrofe della seconda guerra mondiale, aveva cercato di imboccare la via della pacificazione e della cooperazione – sta cavalcando di nuovo, e con un’accelerazione impressionante, le tendenze nazionalistiche che ne avevano quasi causato la distruzione, 73 anni fa. E qual è il fattore determinante dell’implosione dell’utopia europea? Le migrazioni verso il vecchio continente di alcune centinaia di migliaia di immigrati e rifugiati dall’Africa e dai paesi asiatici in guerra. Il confuso Consiglio europeo del 28 giugno con i suoi equivoci e le sue finzioni non è che una tappa di questa prevedibile entropia. Giuseppe Conte, che solo la beffa di un dio ha proiettato nel ruolo di presidente del consiglio italiano, annuncia il suo successo al vertice perché tutti gli altri leader hanno promesso di accettare i migranti su base “volontaria”, cioè ipotetica, cioè inesistente.

Macron fa le parti del leader “umano” perché accoglie pochi scampati ai naufragi, mentre la sua polizia sigilla le frontiere. Angela Merkel è esclusivamente interessata ad assicurare gli alleati bavaresi che la “barca è piena”, e che quindi saranno prese le necessarie misure per non far salire più nessuno a bordo. E tutti gli altri, i fascisti o para-fascisti austriaci, polacchi, slovacchi, ungheresi, che le burocrazie europee si guardano bene dal sanzionare, si chiudono in un isolamento identitario sempre più feroce.

Infine ecco Salvini, il quale, da “ministro e papà”, come esige la sua retorica ributtante, condanna alla fame, alla sete e alla morte centinaia di naufraghi alla deriva sui barconi o sulle navi delle Ong. Bisogna ripeterlo: più di 700 milioni di abitanti di un continente sviluppato (o 400 se consideriamo solo la Ue) manifestano dovunque reazioni di rigetto, che si spingono sino al razzismo attivo, verso un numero di richiedenti asilo e migranti irrisorio, se consideriamo le proporzioni. E i governi, dopo aver aizzato per anni le popolazioni nazionali, vellicandone il senso di insicurezza, si adeguano, cambiando solo le tattiche. Se Minniti ha organizzato gli internamenti in Libia – in cui agonizza, tra umiliazioni, torture, stupri e uccisioni, un milione di migranti subsahariani – Salvini sfrutta le tragedie in mare per negoziare un po’ di spazio in Europa, che ovviamente non otterrà, e soprattutto per raccattare consensi in un elettorato spaurito, impoverito e ignaro delle vere poste in gioco. Naturalmente, con la connivenza dei grillini al governo, che fanno la parte dei poliziotti buoni, se non dei gonzi.

E così africani e asiatici muoiono in mare, se sono scampati ai trafficanti in Niger, alle bande armate in Libia e alla guardia costiera di Tripoli. Più di cento solo il 28 giugno, mentre Salvini chiudeva i porti e ruggiva contro Malta. E gli altri, i salvati? Posta di ridicoli conflitti tra staterelli europei, che si illudono di contare qualcosa come ai tempi della regina Vittoria o del Kaiser, migranti e rifugiati saranno palleggiati tra leader piccolissimi che blaterano di taxi del mare, missioni di civiltà, identità nazionali e frontiere da difendere contro le invasioni. Esseri di carne e sangue come noi, i migranti, persi nelle terre di nessuno, morti assiderati, reclusi sine die nei campi di concentramento.

I capetti europei pensano di essere realistici, ma stanno gettando le basi di un declino inarrestabile, mentre le vere potenze egemoni nel mondo osservano ghignando.

Fico attacca il governo: «Sbagliato chiudere i porti»



In visita all'hotspot di Pozzallo. Di Maio: «Fico parla a titolo personale». E poi minaccia l’Unione europea

Leo Lancari, il Manifesto



Parla da uno dei luoghi simbolo dell’emergenza migranti come Pozzallo, in Sicilia, e ogni frase, ogni singola parola contraddicono le azioni del governo gialloverde. A partire dalla decisione presa dal ministro degli Interni Matteo Salvini di chiudere i porti alle navi delle Ong non solo per sbarcare uomini, donne e bambini strappati al mare, ma anche per fare rifornimento e sostituire l’equipaggio. «Io non lo avrei fatto», dice il presidente della Camera Roberto Fico uscendo ieri dall’hotspot della città portuale. Non cita mai Salvini, né il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli sempre allineato alle decisioni del leghista, ma è chiaramente a loro che si riferisce. «Come terza carica dello Stato dico che bisogna essere solidale con chi emigra, che sono storie drammatiche che toccano il cuore. Tocca all’Europa farsi carico di quest’emergenza, non solo all’Italia e bisogna tirare fuori gli estremismi perché la solidarietà si fa insieme». Gli risponde il vicepremier Luigi Di Maio: «Fico parla a titolo personale», dice il capo politico dei 5 Stelle che ha appena minacciato l’Unione europea: «Versiamo all’Europa 20 miliardi di euro l’anno: se questi signori smentiscono un documento appena firmato dobbiamo rivedere tutto», dice riferendosi al mezzo accordo siglato a Bruxelles. E in serata interviene anche Salvini: le parole di Fico: «Un suo punto di vista personale», dice da Pontida: «Divergenze? Non siamo in una caserma, è giusto che ognuno esprima le proprie idee. Poi i ministri fanno i ministri».

Non è la prima volta che il presidente della Camera, che è anche figura di spicco del M5S, prende le distanze dall’operato del governo manifestando pubblicamente il dissenso provocato da certe scelte. La stessa cosa la fece lo scorso 11 giugno quando si recò, anche allora unico esponente delle istituzioni, nella tendopoli di San Ferdinando, in Calabria, dove viveva Soumayla Sacko, il sindacalista maliano ucciso pochi giorni prima a colpi di fucile. «Vengo per portare le condoglianze dello Stato alla famiglia e agli amici di Soumayla», disse.

Oggi a dividerlo dal governo sono le posizioni estremiste assunte nel confronti dei migranti e delle organizzazioni non governative. A Pozzallo Fico le ha viste lavorare e il giudizio che ne trae non lascia spazio a dubbi: «Quando si parla di ong bisogna capire cosa si vuole intendere. Fanno un lavoro straordinario di supporto alla Capitaneria di porto, lavorando insieme per salvare i migranti», avverte. Sottolineando per di più come la campagna condotta contro di loro non abbia portato a nessuna accusa concreta. «C’era un’inchiesta su Palermo che è stata archiviata, da più di un anno è stata aperta un’inchiesta a Catania ma sembra che non riesca a cavare u ragno dal buco», ricorda. «Quando si parla di ong bisogna fare nomi, cognomi, da chi sono finanziate se non si sta dicendo niente e di fa una cattiva informazione».

Fatta eccezione per la senatrice Paola Nugnes («la penso esattamente come Fico. Qui parliamo di diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione, rispetto ai quali non si possono accettare forzature»), e per lo sfogo di Di Maio con i suoi collaboratori con i quali avrebbe negato che il governo chiude i porti alle navi, ma solo alle ong , ancora una volta è il silenzio a caratterizzare le reazioni dei pentastellati ormai completamente sottomessi, anzi «asfaltati» come direbbe probabilmente Beppe Grillo, dall’iniziativa leghista. Apprezzamento per le parole del presidente della Camera arrivano invece, come è ovvio, dall’opposizione. «Ho apprezzato le parole del Presidente Fico», dice il reggente del Pd Maurizio Martina. «Sono parole giuste. Ora mi auguro che voglia muoversi sia verso la maggioranza di governo e nel suo movimento perché si rifletta con serietà sulla situazione e si fermino scelte sbagliate come quelle fatte sino a qui dall’esecutivo».

D’accordo con Fico anche l’ex presidente di Montecitorio Laura Boldrini, che si chiede però come farà d’ora in poi Fico a relazionarsi con la maggioranza formata dal Movimento 5 stelle e dalla Lega che, afferma, «vuole fare il contrario di quello che dice lui».

L’Open Arms accusa: «Italia responsabile del naufragio»



A porti in faccia. L’ong spagnola sulla tragedia di venerdì scorso. E ieri salva 59 migranti. Salvini le chiude i porti: «Pericolo per la sicurezza»



Adriana Pollice, il manifesto



«Si scordino di arrivare in Italia», dice Matteo Salvini. Il ministro degli Interni se la prende questa volta con la ong spagnola Proactiva Open Arms che ieri, al largo della Libia, ha tratto in salvo 59 migranti, tra loro quattro bambini di cui due non accompagnati: erano «alla deriva e in pericolo di vita», spiega l’ong. Salvini nega l’approdo nei porti italiani fin dal mattino, ma a sera dal Viminale arriva una spiegazione che ha tutta l’aria del pretesto: «L’attracco può provocare rischia per la sicurezza», spiega una nota.

Per intervenire l’Open Arms ha deciso di non aspettare l’arrivo della Guardia costiera di Tripoli. Venerdì avevano rispettato l’ordine del Centro di coordinamento di Roma ma, accusano, dopo un ritardo nei soccorsi di un’ora e mezza, i libici hanno trovato in vita solo 16 dei 120 stipati sul barcone, affondato da ore. Ieri sono stati gli stessi attivisti catalani ad avvistare il gommone in difficoltà. Cosa è successo lo racconta l’eurodeputata Eleonora Forenza del Gue, che era a bordo della nave dell’Ong insieme a tre colleghi spagnoli: «Più volte l’Open arms ha contattato le autorità italiane segnalando il pericolo di naufragio, sentendosi rispondere di contattare la Guardia costiera libica. Il mancato soccorso in mare è un reato grave, oltre che un atto disumano. Le persone a bordo ci urlavano ‘No Libia’. A differenza di Salvini, le persone che erano su quel barcone sapevano che la Libia è spesso detenzione, tortura, stupro». Il capitano dell’Open arms ha poi spiegato: «Le autorità libiche non rispondevano né via radio né al telefono. Così Roma ci ha detto che toccava a noi decidere cosa fare». La motovedetta libica è poi arrivata quando il soccorso era già in corso, hanno fatto un’inversione della rotta e sono andati via dicendo alla nave dell’Ong ti tornarsene in Spagna. Il più piccolo dei naufraghi ha appena 9 anni: viene dalla Repubblica Centraficana, era con i genitori, l’equipaggio l’ha messo al posto di comando chiamandolo capitano.

Matteo Salvini ieri mattina ha twittato: «Si scordino di arrivare in Italia. Questa nave si trova in acque Sar della Libia, porto più vicino Malta» innescando così l’ennesima polemica con La Valletta che ha replicato «Basta con le bugie, il salvataggio è avvenuto tra la Libia e Lampedusa». Il direttore operativo della Proactiva, Riccardo Gatti, ha spiegato: «Continuiamo a proteggere il diritto alla vita degli invisibili. La Spagna è lo stato di bandiera della nave, spetta al governo iberico mettersi in contatto con le autorità maltesi, italiane e oltre per trovare un porto sicuro». La nave ha però chiesto di attraccare in Spagna, il Consiglio comunale di Barcellona ha dato la sua disponibilità ma ci vuole il via libera del governo, prudente dopo aver concesso lo sbarco a Valencia dell’Aquarius.

La Ong ha poi messo sotto accusa la gestione dei soccorsi: «Cento persone sono morte venerdì, Open Arms avrebbe potuto salvarle ma è stata ignorata dalle autorità libiche e italiane». Il presidente dell’Ong, Oscar Camps, ha commentato: «Sono affogate davanti alle coste libiche. Però tranquillo, Salvini, non erano italiane. Erano solo ‘carne umana’». Sul sito El Diario Gabriela Sanchez, che è a bordo dell’Open Arms, ricostruisce i fatti: venerdì alle 9 la nave ha sentito, tramite il canale radio 16, l’avviso informale di un aereo militare alla guardia costiera libica, c’era un barcone in pericolo nella zona di Al-Khums, vicino alla costa di Tripoli. Erano a 80 miglia dalla Open Arms ma nessuna comunicazione è giunta alla Ong dal Centro di coordinamento di Roma: «È lontano e hanno avvisato i libici» aveva commentato allora il capitano con la giornalista. Ma alle 10.30 arriva un mayday dal Centro di coordinamento di Malta. Il capo missione, Guillermo Canardo, chiama Roma ma è tardi: i libici erano sul luogo del naufragio, i migranti erano quasi tutti annegati, inclusi tre neonati. «Se ci avessero avvisato in tempo ci saremmo attivati, nonostante abbiamo poco carburante» ha spiegato Canardo. Hanno poco carburante perché Italia e Malta rifiutano l’accesso ai porti alle Ong persino per i rifornimenti.

Ieri i libici hanno riportato indietro 270 naufraghi, 11 i bambini. Sul naufragio di venerdì l’ammiraglio Ayoub Qassem ha spiegato: «La Guardia costiera di Roma non ha responsabilità. Le ricerche sono state interrotte perché non ci sono i mezzi e il personale necessari».

Ancora abusi e negazioni dei diritti basilari al confine franco-italiano


Il report dell’osservazione congiunta tra associazioni francesi e italiane



Nizza, 27 giugno - La crisi dell’Europa e delle politiche europee ha generato pratiche illegali che costituiscono una minaccia per la dignità e la sicurezza dei migranti e dei rifugiati, a prescindere dalle situazioni.

Quel che sta accadendo al confine franco-italiano non è un’eccezione: il ripristino dei controlli alla frontiera dal 2015 è diventato il pretesto per rendere banali numerose pratiche illegali da parte delle autorità francesi, nonostante gli interventi della Giustizia e di numerose autorità indipendenti. Le recenti osservazioni effettuate dalle nostre associazioni e dai nostri partner italiani e francesi, dal

24 al 26 giugno, confermano nuovamente le numerose violazioni dei diritti di cui sono vittima i migranti a livello di questa frontiera da parte delle autorità francesi:

·       controlli selettivi (ad esempio secondo il colore della pelle) effettuati regolarmente sui treni in provenienza da Ventimiglia, mentre invece questo tipo di controlli è vietato;

·       rinvio di 157 persone in Italia, senza aver dato loro la possibilità di richiedere asilo e senza aver vagliato la loro situazione individuale, mentre tali pratiche sono state giudicate illegali dal Tribunale amministrativo di Nizza, il 2 maggio 2018;

·       privazione della libertà di 76 persone presso i locali della polizia alla frontiera di Mentone, in condizioni indegne, senza possibilità d’accesso ad alcun diritto. Questa privazione di libertà è durata fino a 14 ore, superando ampiamente la durata di 4 ore giudicata ammissibile dal Consiglio di Stato a luglio 2017;

·       le forze di polizia non hanno preso in considerazione la minore età di 11 giovani migranti, che sono stati rinviati illegalmente in Italia e sono stati successivamente ricondotti dalle forze di polizia italiana in Francia.

Le organizzazioni firmatarie continueranno incessantemente il loro lavoro, affinché siano rispettati i diritti dei migranti e dei rifugiati, previsti dalle legislazioni nazionali, europee ed internazionali.

Lanciano un appello al governo italiano perché cessi l’escalation d’aggressività verbale contro i migranti e non rinunci ai valori d’ospitalità dell’Italia.

Si rivolgono con forza al governo francese perché interrompa definitivamente le pratiche illegali diffuse che si riproducono abitualmente al confine franco-italiano.

Si appellano ai due governi perché trovino i mezzi d’esercitare la solidarietà nell’accoglienza dei migranti e dei rifugiati, piuttosto che fare a gara nell’invettiva, nel rifiuto e nella violazione dei loro diritti.

* Le associazione che partecipano al monitoraggio congiunto sono:

Francia

Amnesty International France

Anafé

La Cimade

Médecins du Monde

Médecins sans frontières

Secours Catholique Caritas France

AdN Association pour la Démocratie à Nice

Citoyens Solidaires 06

DTC-Défends ta citoyenneté

LDH Nice

Pastorale des migrants du diocèse de Nice

Roya Citoyenne

Syndicat des Avocats de France

Tous Migrants

Italia

Amnesty International Liguria

ASGI

Caritas Intemelia OdV

Diaconia Valdese

Intersos

OXFAM Italia

Terre des Hommes Italia

WeWorld Onlus

L’Isola Europa: il reality. Il commento del Naga al vertice europeo




L’agognato vertice europeo sull’immigrazione ha partorito un meccanismo di chiusure progressive che ricorda un macabro reality in cui i concorrenti devono superare prove sempre più difficili e pericolose nel tentativo di arrivare alla meta con il rischio sempre presente di ritornare dal via. La produzione si annuncia molto costosa, i concorrenti tantissimi e l’esito scontato in termini di perdita di vite umane.

Primo step: chiusura del Mediterraneo. Si delega alla guardia costiera libica la gestione dei salvataggi in mare. Il Mediterraneo ritorna ad essere un buco nero delle vite e dei diritti. I viaggi del mare saranno ancora più pericolosi e i flussi si sposteranno verso altri varchi.

Secondo step: una volta intercettati i fuggitivi verranno riportati in "piattaforme extra UE" in Libia o negli altri stati nord africani dove saranno vagliati, rimpatriati o rilasciati e, in tutti i casi tenteranno ancora una volta di fuggire.

Terzo step: se i fuggitivi ce la fanno ad arrivare autonomamente, verranno rinchiusi in hotspot, questa volta su base europea. La solidarietà europea si traduce nella costruzione di carceri europee.

Quarto step: una volta rinchiusi verranno esaminate le domande di asilo ma si preannuncia una vigorosa stretta e un aumento dei rimpatri, per cui: si riparte dal primo step.

Quinto step: per chi supera anche la fase precedente, una volta usciti dagli hotspot si entra in una prigione più grande perché vengono impediti i movimenti all’interno della UE, quindi di fatto viene sospeso Shengen per una determinata categoria di persone in attesa che venga sospeso per tutti.

L’Europa, che isola non è, aspira a diventarla sempre di più, la solidarietà è abolita per legge e al suo posto si instaura lo stato di Polizia generalizzato interno ed esterno.

Allora ci domandiamo: questo impianto, che leva il fiato, era l’unico possibile?

Secondo noi no. Ecco cosa era possibile fare:

 Introduzione del permesso di soggiorno europeo, cioè di un permesso ancora rilasciato da ciascuno stato ma con validità in tutta la UE.

 Prevedere forme vincolate di visti di ingresso per motivi umanitari nei paesi di origine o transito investiti da conflitti armati o da gravi violazioni dei diritti fondamentali per richiedere protezione internazionale.

 Revisione del regolamento di Dublino con la previsione del diritto del richiedete asilo di scegliere il paese di destinazione.

 Abolizione della procedura d’ingresso attraverso il decreto flussi.

 Rilascio di un visto di ingresso per ricerca lavoro e relativo permesso di soggiorno per ricerca lavoro della durata di almeno 12 mesi.

 Regolarizzazione ordinaria dei migranti già sul territorio che svolgano un’attività lavorativa, che abbiano concreti legami familiari o non abbiano più rapporti significativi con lo stato d’origine.

 Ampliamento delle possibilità di ricongiungimento familiare.

 Trasferimento delle competenze in materia di permesso di soggiorno dalle questure ai comuni.

Intanto, noi continueremo a dare supporto a chiunque riesca ad arrivare.

14 luglio, Ventimiglia città aperta: la piattaforma che ha indetto la manifestazione internazionale risponde al sindaco Iaculano



Libertà , uguaglianza, sorellanza e fratellanza!

In primis ci vogliamo rivolgere alla cittadinanza ventimigliese: i governi italiani e europei hanno sempre messo sotto scacco la città di Ventimiglia, la colpa non è dei migranti o dei solidali, ma dell’esistenza stessa del confine.

Sono le politiche italiane ed europee, non certo le manifestazioni di solidarietà, che stanno mettendo in discussione Shengen, facendo ricomparire per tutte un confine che non dovrebbe esistere più e che invece diventa sempre più brutale.

In questi anni i cittadini di Ventimiglia hanno dimostrato in tantissime occasioni da che parte stavano.

Partendo dai tempi del campo sugli scogli dei balzi rossi, sino ad oggi hanno portato coperte, cibo, sostegno alle migliaia di donne, uomini, bambini bloccate a Ventimiglia.

Non sono bastate le ordinanze del Sindaco Ioculano che vietavano ai suoi concittadini di portare cibo ai migranti a fermare questa solidarietà attiva e diffusa: ogni giorno erano tanti i ventimigliesi che portavano un vecchio vestito o una coperta, magari nascondendoci dentro del pane, della frutta, una bottiglia d’acqua.

Non è bastato che Ioculano facesse di tutto per far chiudere la Chiesa delle Gianchette di don Rito, unica struttura a Ventimiglia che ospitava donne e bambini, costringendo anche loro a vivere sotto un ponte.

Non è bastato neppure sostenere gli sgomberi e i rastrellamenti razziali per le strade di Ventimiglia e le conseguenti deportazioni.

Ancora oggi, ogni giorno, in Caritas, sul fiume Roya, sui sentieri, in stazione, tanti uomini e donne, ventimigliesi e non, provano a sostenere ed aiutare il viaggio di chi non ha nulla e non chiede altro che raggiungere un parente, un amico, la fine di un viaggio terrificante.

Come in passato, anche per il 14 luglio siamo sicuri che i cittadini di Ventimiglia sorprenderanno il loro sindaco e scenderanno in piazza dimostrando ancora una volta che la solidarietà attiva è un’arma, l’unica forse, che ci è rimasta contro un’idea di Europa sempre più brutale.

Interessante, infine, è notare come anche sull’economia la preparazione del primo cittadino sia scarsa e poco lungimirante.

Le code di auto francesi alla ricerca di alcolici e sigarette ci sono sempre state a Ventimiglia.

Anche in questo caso, ci sembra che il vero pericolo non sia certo la manifestazione del 14 luglio, ma la possibile crisi di Shengen: già sta accadendo che la Francia chieda i documenti a tutti i passeggeri dei treni, dagli ultimi incontri europei escono scenari molto cupi sulla futura ricomparsa dei confini interni per tutte.

Il percorso della manifestazione garantirà comunque l’accesso ai parcheggi già dal pomeriggio e le strade per la frontiera saranno solo parzialmente interessate dal percorso.

Non dimentichiamoci che migliaia di partecipanti alla giornata del #14L consumeranno chi un caffè, chi una bottiglia d’acqua, un panino o una birra a fine percorso. Come detto, quindi, l’invito è a conoscersi e a superare le differenze, è un invito ad incontrarsi percorrendo insieme le strade della città e scambiandosi idee durante il percorso.

Invitiamo tutte le persone residenti a superare le paure, la diffidenza e l’odio verso chi è diverso, provando a conoscersi senza timori nella grande festa di sabato 14 luglio.

Ricordiamo a tutte e tutti che la manifestazione è autorizzata dalla Questura di Imperia: sarà una grande marea che attraverserà le strade della città di Ventimiglia rivendicando la libertà di movimento, contro le diseguaglianze di genere, per un permesso di soggiorno Europeo e per la rinascita di un corpo sociale solidale.

Infine anche la frase del Sindaco “Le manifestazioni sono benvenute ma a casa vostra, grazie!”, ci fa capire come non si sia compreso, quanto ai solidali ventimigliesi o di altri luoghi stia a cuore il benessere della città e la tolleranza sociale.

Ventimiglia è casa per molte e molti grazie alla sua posizione e questo dovrebbe essere una ricchezza!

Sanremo News ed il sindaco definiscono la manifestazione “Contro la Francia”:

“Manifestare a Ventimiglia il 14 di luglio contro le politiche migratorie della Francia è un’idiozia incredibile oltre che una provocazione”

La manifestazione è contro le politiche migratorie della Francia? Vero in parte, ma non solo.

“Ventimiglia città aperta: manifestazione internazionale #14L” vuole mettere sotto i riflettori tutte le politiche disumane, dalle recenti decisioni europee, a quelle del governo Minniti-Orlando, da quelle di Salvini, a quelle di Macron, insieme a quelle messe in campo dall’amministrazione comunale presieduta proprio da Ioculano.

Scendere in piazza il #14L significa mettere a valore le esperienze di umanità e solidarietà, dal Mar Mediterraneo alle grandi città italiane, fino ai confini come Ventimiglia, Como e il Brennero.

Il motivo è semplice, caro sindaco: il confine è qualsiasi pensiero, muro, azione, gesto che disprezza, esclude e ghettizza; per noi il 14 Luglio è la possibilità concreta che persone di ogni provenienza possano parlare, cantare, mangiare e passeggiare serenamente per la città, avendo la libertà di esistere senza sfruttare un altro essere umano donna o uomo che sia.

In discussione non è il futuro dei migranti, ma quello di tutti.

Per concludere, ci dice che “è un’idiozia incredibile oltre che una provocazione”

Con questa frase che emana odio e disprezzo, Ioculano ci invoglia, invece, a una partecipazione e un impegno sempre maggiore per cercare e ottenere libertà, uguaglianza, fratellanza e sorellanza!