martedì 26 giugno 2018

Rider: la tutela contro gli infortuni è un miraggio

di Lisa Bartoli, Rassegna sindacale

Di fronte a un incidente sul lavoro, gli ostacoli non sono più soltanto quelli frapposti dall’azienda. Anche l’Inail ci mette del suo, con procedure burocratiche e rigidità interpretative. Lo dimostra il caso di un ciclofattorino milanese 

Già è difficile per un qualsiasi rider vedersi riconoscere lo status di “lavoratore subordinato”, ma anche quando il “miracolo” riesce, di fronte ad un infortunio sul lavoro gli ostacoli non sono più solo quelli frapposti dall’azienda: “l’Inail ci mette del suo, con procedure burocratiche e rigidità interpretative ingiustificate delle norme, che rendono le tutele antinfortunistiche una meta assai lontana”. La denuncia è dell’Inca di Milano, che sta assistendo un dipendente di una società tedesca, vittima di un infortunio, riconosciuto come da lavoro dallo stesso Istituto, avvenuto più di un anno fa. Tutto è cominciato un maledetto giorno di febbraio 2017, quando il “non più giovane fattorino” (ultracinquantenne), mentre cercava di bruciare i tempi della consegna, tra un semaforo e l’altro nel caos urbano, è stato investito dalla portiera di un’ auto, aperta improvvidamente da un automobilista, che lo ha fatto cadere rovinosamente sull’asfalto. 
Per un mese circa, l’Inail riconosce l’inabilità temporanea al lavoro, ma poi chiude precipitosamente la pratica il 4 aprile, anche se le condizioni di salute del lavoratore risultavano ancora fortemente precarie. Il dolore alla spalla era tale da richiedere un ulteriore accertamento sanitario, a cui si sarebbe sottoposto il giorno dopo (5 aprile). “Nonostante l’Inail fosse al corrente della programmata visita specialistica ha comunque deciso di precludergli ogni altra possibilità di tutela”, spiega Laura Chiappani, responsabile dell’Area Danno alla salute di Inca Milano. Visita che peraltro ha effettivamente accertato una sublussazione acromion claveare. Ma niente da fare.
A maggio 2017, il lavoratore è costretto a tornare al lavoro, ma quasi subito si rivolge al Patronato della Cgil, che avvia il ricorso amministrativo contro la decisione di Inail; ricorso che però viene respinto a settembre 2017, benché i medici legali del Patronato avessero accertato e documentato un danno permanente alla spalla del 6%. “Stante la situazione – chiarisce Chiappani –, l’unica strada percorribile per il riconoscimento pieno del diritto alla tutela  resta la via giudiziaria, che stiamo valutando. Ma è davvero paradossale – aggiunge – che l’Inail invece di agevolare l’accesso alle prestazioni da parte di chi è vittima di infortunio si comporti come una qualsiasi compagnia di assicurazione, comprimendo diritti a chi già ne può vantare pochi, e dimostrandosi più rigida dei tribunali, considerando l’elevatissima percentuale di successo in sede giudiziaria dei nostri ricorsi”. Affermazioni gravi che si inseriscono in un contesto già difficile per i rider: solo a Milano sono circa 3 mila gli addetti, per lo più inquadrati come lavoratori autonomi, pagati a partita Iva o con ritenuta d’acconto, senza posizione previdenziale presso l’Inps, né assicurativa contro infortuni e malattie professionali.
Una situazione drammatica, più volte denunciata dalla Cgil e dalla Filt, che dopo aver indetto il primo sciopero nazionale il 25 maggio scorso, hanno proclamato una nuova giornata di mobilitazione il 15 giugno prossimo, con un presidio davanti alla prefettura di Milano, per chiedere una legge nazionale, anche sulla scorta della Carta dei diritti Universali, che riconosca il diritto alla tutela Inps e Inail,  il diritto alla maternità e ai congedi parentali. “Ovviamente – spiega Luca Stanzione, segretario generale Filt Cgil di Milano – sappiamo che non tutti questi lavoratori sono ascrivibili alla categoria dei dipendenti, ma ad una larga parte di loro devono essere riconosciuti i diritti alla contrattazione, all’applicazione del contratto nazionale del trasporto merci, alla formazione e alla sicurezza”.
Questioni che non si risolvono con la proposta, avanzata dal governo, di una legge sul salario minimo, a prescindere dalla contrattazione. “Se si procedesse in questa direzione – osserva Stanzione – si rischierebbe di dividere in due il mercato del lavoro e non si risolverebbero i problemi legati ai carichi di lavoro, all’algoritmo e alla sicurezza; oltre a togliere a questa categoria di lavoratori il diritto alla rappresentanza sindacale, che rappresenta la vera sfida, per la quale c’è bisogno di un’azione unitaria di tutto il sindacalismo confederale”.

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