Il 18 giugno il ministro dell’interno Matteo Salvini
ha annunciato un censimento su base etnica dei rom in Italia, suscitando molte
critiche, ma raccogliendo anche molto consenso nell’opinione pubblica in un
paese in cui l’antiziganismo, cioè il discorso di odio verso i rom, è molto
diffuso. Il ministro del lavoro Luigi Di Maio ha subito preso le distanze dal
suo alleato di governo e ha detto: “Se è incostituzionale, non si può fare”.
Mentre Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21
luglio, ha chiarito che “una schedatura su base etnica è vietata in Italia”,
Salvini su Twitter ha ribadito la sua volontà di andare avanti con il progetto,
su cui i funzionari del ministero starebbero già lavorando.
Molti politici e analisti hanno sottolineato che il
censimento di un gruppo di persone, in base alla loro etnia, evoca pagine nere
del passato, come la circolare dell’8 agosto 1926 quando il ministro
dell’interno del governo guidato da Benito Mussolini ordinò “l’epurazione dal
territorio nazionale delle carovane di zingari”, oppure la schedatura degli
ebrei che ottant’anni fa coincise con l’approvazione delle leggi razziali. In
una sola frase, insomma, il ministro dell’interno ha espresso tre concetti
controversi: la possibilità di fare un censimento su base etnica, l’espulsione
dei rom irregolari e il discorso discriminatorio verso i rom italiani.
Le norme violate
Il censimento
su base etnica dei rom è contrario innanzitutto all’articolo 3 della
costituzione italiana che stabilisce: “Tutti i cittadini hanno pari dignità
sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza,
di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e
sociali”. Inoltre viola una serie di norme internazionali tra cui: l’articolo 9
del regolamento europeo sui dati personali (Gdpr), che stabilisce che è vietato
“il trattamento di dati personali che rivelino l’origine razziale o etnica”. La
schedatura è contraria inoltre agli articoli 8 e 15 della Convenzione europea
dei diritti umani (Cedu).
L’avvocato Salvatore Fachile dell’Associazione italiana studi giuridici
sull’immigrazione (Asgi) ricorda che “La corte di Strasburgo nel caso Sand and Marper vs Regno Unito ha stabilito che
‘l’identità etnica dell’individuo’ rientra nella definizione di vita privata e
familiare e che le impronte equivalgono a dati personali”. È utile ricordare
che tra il 2009 e il 2011 anche il ministro dell’interno leghista Roberto
Maroni organizzò una schedatura su base etnica dei rom. Per questa ragione,
l’Italia fu condannata dalle autorità europee.
“Si trattò
di una vera e propria schedatura – ricorda Carlo Stasolla di Associazione 21 luglio – con tanto di foto, impronte digitali, rilievo dell’altezza e dei
tatuaggi”. Il comitato europeo dei diritti sociali (Ceds) con una decisione del
2009 ha dichiarato all’unanimità la violazione da parte dell’Italia del
principio generale di non discriminazione di cui all’articolo E della Carta
sociale europea e di altri diritti tra cui il diritto all’abitazione.
Il 18 maggio 2010 la corte di Strasburgo, esprimendosi
nel caso Udorovic vs Italia, ha criticato l’incapacità dei tribunali italiani
di pronunciarsi nel merito degli aspetti discriminatori del piano emergenza
nomadi di Maroni. Questa incapacità, spiega Fachile, “è stata considerata
come una violazione dell’articolo 6 della Cedu”, secondo cui “ogni persona ha
diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un
termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale”. Per il
censimento del 2009 il Consiglio di stato ha condannato il governo italiano a risarcire
gli schedati con 18mila euro ciascuno, conclude Stasolla. Poi nel 2013 è
arrivata la condanna del tribunale di Roma che ha riconosciuto un risarcimento
di ottomila euro a un cittadino che era stato schedato nel 2010 nel piano
emergenza nomadi del governo di centrodestra.
Azioni impraticabili e
discriminatorie
Il censimento
annunciato dal ministro dell’interno dovrebbe servire, secondo Matteo Salvini,
a rimpatriare i rom di origine straniera che sono presenti in maniera
irregolare sul territorio italiano. Tuttavia i rom stranieri con il permesso di
soggiorno scaduto sono pochissimi, fa notare Stasolla. L’Italia è uno dei paesi
dell’Unione europea in cui abitano meno rom (tra le 120mila e le 180mila
persone, lo 0,2 per cento della popolazione).
La maggior parte dei rom che vivono in Italia sono di
nazionalità italiana, un altro gruppo importante è costituito dai rom romeni –
che sono cittadini dell’Unione europea e quindi possono muoversi liberamente –
e infine c’è un piccolo gruppo di rom che provengono dall’ex Jugoslavia: circa
tremila di loro sono apolidi, cioè non hanno cittadinanza e passaporto,
condizione conseguente alla dissoluzione della Jugoslavia. E infine molti di
loro hanno un permesso di soggiorno regolare.
Gli espellibili sarebbero pochissimi. Il ministro dell’interno, infine, ha
espresso un principio discriminatorio molto forte dicendo che “purtroppo ci
dobbiamo tenere i rom italiani”. Sempre Carlo Stasolla dell’Associazione 21
luglio fa notare che “si tratta di cittadini italiani da più di mezzo
millennio, ‘italianissimi’ fino al midollo. Quasi tutti abitano in case
ordinarie, lavorano, pagano le tasse. Qualcuno ha anche acquisito notorietà per
aver combattuto nella Resistenza come partigiano”.
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