mercoledì 27 giugno 2018

Contro la povertà non serve a nulla il «lavoro basta che sia»



Scacchetti (Cgil) a RadioArticolo1: “La crescita del numero degli indigenti in Italia, soprattutto tra i più giovani, è la conseguenza del crollo della qualità dell'occupazione. Bisogna ripartire dagli investimenti e dallo sblocco della spesa pubblica”

Dati molto recenti certificano una crescita continua della povertà assoluta in Italia, che colpisce in particolare i minori e i giovani tra i 18 e 34 anni. Un'emergenza nell'emergenza, “che però non è una priorità nel dibattito pubblico e nelle scelte di politica economica del nuovo governo”. A dirlo, ai microfoni di RadioArticolo1, è Tania Scacchetti, segretario nazionale della Cgil.

“I dati sulla povertà sono dati drammatici – ha continuato Scacchetti –. Un milione e duecentomila minori sono in povertà, tre giovani su dieci sono neet, il fenomeno del lavoro povero è dilagante. Sono segnali di un pesante fardello sul futuro del nostro paese. È ormai saltato un equilibrio che per anni aveva fatto sì che avere un lavoro garantisse una vita dignitosa e una serie di protezioni sociali”. Per uscirne, quindi, “non ci restano altri interventi che non siano la ripartenza degli investimenti, lo sblocco della spesa pubblica, la creazione di nuove opportunità di lavoro e l'idea di rimettere al centro il lavoro di qualità”.

L'obiettivo della Cgil resta dunque quello di “superare una fase storica in cui si è radicata l'idea di un lavoro basta che sia”. Anche se tutto ciò rimane fuori dall'agenda di questo legislatore, “che per ora produce molti slogan e poche azioni concrete”. E soprattutto “non elabora un'idea di riprogettare il paese che parta dal lavoro e dalla sua centralità”. La costituzione del Rei (il reddito di inclusione) come strumento di contrasto alla povertà è stato un risultato importante, che il sindacato rivendica “perché si tratta di una misura strutturale e non estemporanea”. Ma è anche necessario superare “questa fase in cui si parla esclusivamente del sostegno al reddito, dato che questa misura copre solo una parte dei poveri”. Bisogna infatti dare ai meno abbienti “anche la possibilità di riattivarsi nella società, trovare nuove occasioni di lavoro e mettere al centro l'emancipazione come strumento di crescita per l'Italia intera”.

Servono dunque, a detta di Scacchetti, investimenti “per dare sostanza alla seconda gamba del Rei, quella rete di servizi pubblici collegati allo strumento di integrazione economica che dovrebbero ricostruire la cittadinanza per il soggetto in povertà attraverso la formazione, la creazione di lavoro e l'inclusione attiva”. Però anche in questo caso è indispensabile “andare oltre il dogma del superamento del perimetro pubblico e dell'indebolimento degli investimenti”. L'Italia arriva da anni di disinvestimento nel sociale, in cui “sono mancate risposte dal punto di vista della protezione dei soggetti e dell'infrastrutturazione necessaria allo sviluppo e alla crescita”. Anche questo tema fondamentale, però, “resta totalmente assente dal dibattito pubblico”.

La povertà, tra l'altro, aumenta nel momento in cui il numero di occupati ha ormai raggiunto livelli pre-crisi. “Il problema, però, sta nella qualità del lavoro che si è generato in questi ultimi vent'anni – spiega ancora Scacchetti –. l dati Istat misurano le teste, considerando occupati anche persone che hanno svolto pochissime ore di lavoro in una settimana. I dati analitici sull'occupazione ci raccontano invece una verità drammatica. I posti recuperati riguardano soprattutto i lavori con meno ore, con molto tempo determinato e spesso di breve o brevissima durata”.

“Se non affrontiamo il tema della qualità del lavoro – conclude la dirigente sindacale – comprendendo che il lavoro che è andato perso era prevalentemente nei settori industriali, e quello recuperato prevalentemente nell'area di un terziario spesso non qualificato, se non facciamo insomma un'analisi qualitativa dell'occupazione che si sta generando, rischiamo di non comprendere la realtà sociale del nostro paese. Se avessimo riconquistato un lavoro di qualità, non avremmo i dati sulla povertà che ci fornisce l'Istat e che misurano una netta divaricazione fra settori e territori. Questo è un ulteriore vincolo alle possibilità di una crescita sostenibile”.

Nessun commento:

Posta un commento