Scacchetti
(Cgil) a RadioArticolo1: “La crescita del numero degli indigenti in Italia,
soprattutto tra i più giovani, è la conseguenza del crollo della qualità
dell'occupazione. Bisogna ripartire dagli investimenti e dallo sblocco della
spesa pubblica”
Dati
molto recenti certificano una crescita continua della povertà assoluta
in Italia, che colpisce in particolare i minori e i giovani tra i 18 e 34 anni.
Un'emergenza nell'emergenza, “che però non è una priorità nel dibattito
pubblico e nelle scelte di politica economica del nuovo governo”. A dirlo, ai
microfoni di RadioArticolo1, è Tania Scacchetti, segretario nazionale
della Cgil.
“I
dati sulla povertà sono dati drammatici – ha continuato Scacchetti –. Un
milione e duecentomila minori sono in povertà, tre giovani su dieci sono neet,
il fenomeno del lavoro povero è dilagante. Sono segnali di un pesante
fardello sul futuro del nostro paese. È ormai saltato un equilibrio che per anni
aveva fatto sì che avere un lavoro garantisse una vita dignitosa e una serie di
protezioni sociali”. Per uscirne, quindi, “non ci restano altri interventi che
non siano la ripartenza degli investimenti, lo sblocco della spesa pubblica, la
creazione di nuove opportunità di lavoro e l'idea di rimettere al centro il
lavoro di qualità”.
L'obiettivo
della Cgil resta dunque quello di “superare una fase storica in cui si è
radicata l'idea di un lavoro basta che sia”. Anche se tutto ciò rimane
fuori dall'agenda di questo legislatore, “che per ora produce molti slogan e
poche azioni concrete”. E soprattutto “non elabora un'idea di riprogettare il
paese che parta dal lavoro e dalla sua centralità”. La costituzione del Rei (il
reddito di inclusione) come strumento di contrasto alla povertà è stato un
risultato importante, che il sindacato rivendica “perché si tratta di una
misura strutturale e non estemporanea”. Ma è anche necessario superare “questa
fase in cui si parla esclusivamente del sostegno al reddito, dato che questa
misura copre solo una parte dei poveri”. Bisogna infatti dare ai meno abbienti
“anche la possibilità di riattivarsi nella società, trovare nuove occasioni di
lavoro e mettere al centro l'emancipazione come strumento di crescita per
l'Italia intera”.
Servono
dunque, a detta di Scacchetti, investimenti “per dare sostanza alla seconda
gamba del Rei, quella rete di servizi pubblici collegati allo strumento di
integrazione economica che dovrebbero ricostruire la cittadinanza per il
soggetto in povertà attraverso la formazione, la creazione di lavoro e
l'inclusione attiva”. Però anche in questo caso è indispensabile “andare
oltre il dogma del superamento del perimetro pubblico e dell'indebolimento
degli investimenti”. L'Italia arriva da anni di disinvestimento nel sociale, in
cui “sono mancate risposte dal punto di vista della protezione dei soggetti e
dell'infrastrutturazione necessaria allo sviluppo e alla crescita”. Anche
questo tema fondamentale, però, “resta totalmente assente dal dibattito pubblico”.
La
povertà, tra l'altro, aumenta nel momento in cui il numero di occupati ha ormai
raggiunto livelli pre-crisi. “Il problema, però, sta nella qualità
del lavoro che si è generato in questi ultimi vent'anni – spiega ancora
Scacchetti –. l dati Istat misurano le teste, considerando occupati anche
persone che hanno svolto pochissime ore di lavoro in una settimana. I dati
analitici sull'occupazione ci raccontano invece una verità drammatica. I posti
recuperati riguardano soprattutto i lavori con meno ore, con molto tempo
determinato e spesso di breve o brevissima durata”.
“Se
non affrontiamo il tema della qualità del lavoro – conclude la dirigente
sindacale – comprendendo che il lavoro che è andato perso era prevalentemente
nei settori industriali, e quello recuperato prevalentemente nell'area di un
terziario spesso non qualificato, se non facciamo insomma un'analisi
qualitativa dell'occupazione che si sta generando, rischiamo di non comprendere
la realtà sociale del nostro paese. Se avessimo riconquistato un lavoro di
qualità, non avremmo i dati sulla povertà che ci fornisce l'Istat e che
misurano una netta divaricazione fra settori e territori. Questo è un ulteriore
vincolo alle possibilità di una crescita sostenibile”.
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