Gwynne Dyer, giornalista, da Internazionale
Gioia e orgoglio per le donne
saudite che finalmente hanno avuto il permesso di guidare. Contentezza per i
concessionari che prevedono tanti nuovi affari. E sgomento per le famiglie del
milione e quattrocentomila autisti, quasi tutti provenienti dall’Asia
meridionale, che guadagnavano circa mille dollari al mese scarrozzando in giro
le donne saudite. Tuttavia per cambiare l’Arabia Saudita servirà molto altro.
Poco prima che la guida
diventasse legale per le donne, sono state arrestate diciassette attiviste che
avevano protestato per anni contro il divieto di guidare. Otto sono state
liberate, ma le altre potrebbero essere processate in un tribunale speciale
contro il terrorismo e vedersi inflitte pesanti condanne. La mano destra sa
cosa fa la mano sinistra? Certo che sì.
Consentire alle donne di guidare
rientra nel progetto del principe ereditario Mohammed bin Salman finalizzato
alla conquista del sostegno popolare attraverso la modernizzazione di alcuni
aspetti della vita quotidiana. Dare l’impressione di arrendersi alle pressioni
popolari di sicuro non rientra nel suo programma. Il cambiamento deve sembrare
piuttosto una concessione elargita, non un cedimento di fronte alle proteste.
È un’iniziativa meno spettacolare
rispetto alla campagna contro la corruzione condotta l’inverno scorso, che ha
portato alla detenzione di 56 importanti esponenti della famiglia reale e
uomini d’affari (nel miglior albergo della capitale) finché non hanno “restituito”
parte dei loro guadagni illeciti.
L’idea
che Mohammed bin Salman stia liberalizzando il sistema saudita è una fantasia
Tutta la vicenda pare abbia
fruttato 100 miliardi di dollari al governo, anche se nessuno dei ladri ha
visto un’aula di tribunale, men che meno una prigione. Il messaggio però era lo
stesso: io sto dalla parte della gente comune e faccio le cose giuste, ma
decido io quando e come.
L’idea che Mohammed bin Salman
stia aprendo il sistema saudita è una fantasia. Dopo aver messo da parte in
modo spietato tutti i pretendenti al trono - suo padre, re Salman, ha 82 anni
ed è malato – ha centralizzato il potere come mai in passato. L’Arabia Saudita
era una monarchia tradizionale, profondamente conservatrice che ha sempre
garantito alle élite la possibilità di esprimersi. Adesso è una dittatura.
Mohammed bin Salman è noto per
essere un uomo impulsivo e uno dei suoi errori più grandi è stato quello di
invitare l’inviato speciale delle Nazioni Unite Ben Emmerson a visitare il
paese affinché riferisse sul modo in cui al suo interno si conciliava la
necessità di prevenire il terrorismo con il rispetto per i diritti umani.
Emmerson è tornato all’inizio di maggio. Il suo rapporto è stato insolitamente
sincero per essere un documento ufficiale, e in una successiva intervista è
andato ben oltre quanto aveva scritto.
Al Guardian ha riferito come le
norme antiterrorismo saudite siano scritte in modo tale da criminalizzare
qualsiasi forma di dissenso. La tortura nelle carceri saudite è un luogo
comune, i funzionari colpevoli non vengono puniti e l’Arabia Saudita “sta
vivendo la più spietata repressione del dissenso politico mai sperimentata dal
paese negli ultimi decenni”.
“Le notizie sulla
liberalizzazione dell’Arabia Saudita sono completamente fuori luogo”, ha detto
Emmerson. “Il sistema giudiziario adesso è completamente sotto il controllo del
re ed è privo di qualsivoglia parvenza di indipendenza rispetto all’esecutivo.
In parole povere, non esiste alcuna forma di separazione dei poteri in Arabia
Saudita, né libertà di espressione, stampa libera, sindacati efficienti o una
società civile funzionante”.
Fallimenti internazionali
I successi riportati da Mohammed
bin Salman nel reprimere il dissenso interno lo hanno inoltre reso fin troppo
sicuro di sé riguardo le sue doti di politica estera. Ha convocato il primo
ministro libanese Saad Hariri a Riyadh e lo ha costretto a dimettersi, salvo
poi vedere Hariri tornare al potere in alleanza con Hezbollah, un gruppo
islamista sciita che Mohammed bin Salman detesta con tutto se stesso.
Ha dichiarato un blocco ai danni
del piccolo ma ricchissimo vicino dell’Arabia Saudita, il Qatar, per
costringerlo a chiudere il canale televisivo Al Jazeera, il più influente
notiziario in arabo, e a spezzare i suoi legami con l’Iran, il paese che
Mohammed bin Salman detesta più di qualsiasi altro. Un anno dopo Al Jazeera è
viva e vegeta e il Qatar si è ulteriormente avvicinato all’Iran.
Il suo più grosso abbaglio lo ha
preso lanciando un intervento militare nella guerra civile in Yemen per
sconfiggere gli houthi, una tribù sciita che ha conquistato la maggioranza del
territorio yemenita e che a suo parere (errato) è controllata e armata
dall’Iran.
I bombardamenti aerei dell’Arabia
Saudita hanno ucciso migliaia di persone, i suoi alleati degli Emirati Arabi
Uniti hanno migliaia di soldati sul campo e tre anni dopo i primi attacchi gli
houthi controllano ancora le aree più popolose dello Yemen, compresa la
capitale.
Non è proprio il Vietnam
dell’Arabia Saudita, visto che i sauditi non hanno truppe sul campo e gli
emiratini fanno ricorso in larga misura a mercenari stranieri, ma l’intervento
in Yemen è molto costoso, profondamente imbarazzante e senza possibilità di
vittoria. Nel lungo periodo, potrebbe significare la rovina di Mohamed bin
Salman.
In Arabia Saudita la ricchezza è
stata ampiamente condivisa più che nella maggioranza dei paesi ricchi di
petrolio, e per la maggioranza che non si interessa alla politica la vita è
ancora piuttosto bella. Persino per le donne le cose stanno piano piano
migliorando: il 60 per cento dei laureati sauditi sono donne, e adesso possono
addirittura guidare. Oggi però il paese è guidato da un dittatore volubile e
troppo sicuro di sé.
(Traduzione
di Giusy Muzzopappa)
Nessun commento:
Posta un commento