La lotta alla povertà non sta dando i frutti sperati e
anche in Italia rischiamo di non raggiungere l’Obiettivo. Il prossimo High
level political forum è un momento di riflessione con contributi da altri 47
Paesi.
di Donato Speroni
Se si guarda il World poverty clock, il contatore che fa il
punto su quante persone sono in povertà estrema, cioè guadagnano meno di 1,90
dollari al giorno, la prima impressione non è del tutto negativa perché il
numero complessivo scende. Mercoledì 26 giugno, alle 16, indicava che 643.416.500
persone erano in questa situazione e che nella giornata 16.144 erano
precipitate sotto la linea, ma 77.650 ne erano uscite. Tutto questo però non
basta per raggiungere il primo target dell’Obiettivo 1 degli SDGs: abolire la
povertà estrema entro il 2030. Infatti lo stesso sito ci informa che siamo “off
track” di oltre 37 milioni, cioè che la riduzione è più lenta del percorso
previsto e che questo ritardo sta progressivamente aumentando. Osserva la
Cnn che la Nigeria è diventata il Paese con il maggior numero di poveri, 87
milioni pari a circa la metà della popolazione, nonostante i ricchi proventi
del petrolio. Il grande Paese dell’Africa occidentale ha sopravanzato l’India,
che è sette volte più popolosa, ma dove la povertà estrema decresce e
interessa attualmente 71,5 milioni di persone. Più in generale, dei 18 Paesi
dove la povertà sta aumentando, 14 si trovano in Africa dove nel 2030 sarà
collocato il 90% del totale di poveri che non sarà stato possibile recuperare.
In Italia la povertà si misura con altri criteri, perché per
fortuna ben pochi connazionali possono collocarsi al disotto della soglia della
“povertà estrema”, che è pari più o meno a 50 euro al mese. Ma i dati diffusi
dall’Istat martedì 26 ci dicono che più di 5 milioni di persone non sono in
grado di permettersi un paniere di beni essenziali: sono cioè in situazione di
“povertà assoluta”. Il dato è in aumento ed è il più alto dall’inizio di questa
rilevazione nel 2005. Dunque non stiamo raggiungendo il target 2 dell’Obiettivo
1, che impone il dimezzamento della povertà secondo gli standard nazionali
entro il 2030.
Diversi commentatori hanno messo in evidenza che l’aumento
della povertà è coinciso con una fase di ripresa economica. Scrive Linda
Laura Sabbadini sulla Stampa:
Pare strano che la povertà possa crescere in
concomitanza con la crescita – da ben 15 trimestri – del Pil, seppure a ritmi
piuttosto blandi. Sapete che cosa vuol dire? Se c’è chi peggiora sempre di più
la propria condizione, ma il Pil aumenta, vuol dire che c’è chi la migliora e
anche di molto”.
La coincidenza tra ripresa e aumento della povertà fa
giustizia di una tesi: che basti aumentare il Pil perché la ricchezza discenda
per i rami e si diffonda a tutti. Anche l’Ocse, in un suo recente documento, ha
messo in evidenza che non basta stimolare l’economia per ridurre la povertà, ma
che bisogna fin dall’inizio concepire misure di politica economica che siano
attente all’inclusione sociale.
Che fare contro l’aumento della povertà in Italia? Sul Corriere
della Sera, Dario Di Vico raccomanda di distinguere tra misure
contro la povertà e misure contro la disoccupazione, entrambe necessarie, ma
diverse nella strumentazione. E Nando Santonastaso sintetizza così il
messaggio del portavoce dell’ASviS Enrico Giovannini in una intervista
al Mattino:
“Serve un patto bipartisan sulle misure di contrasto alla
povertà, una scelta politica così forte da diventare la prima, assoluta
priorità della prossima legge di Bilancio”. Il professore parla di «auspicio»,
oltre non può spingersi. “Ma le condizioni ci sarebbero”, insiste. E spiega:
“Il Pd e Leu chiedono più risorse per il Reddito di inclusione, il M5s si batte
per istituire il Reddito di cittadinanza che in fondo è molto simile; un
accordo non mi sembra così impossibile”».
Nell’intervista si ricorda anche che Giovannini, come
ministro del Lavoro del governo Letta, lanciò la prima sperimentazione di una
misura antipovertà.
“Sì, per la verità si chiamava ‘Sostegno per l'inclusione
attiva’ e già in queste parole c'era il senso di una proposta che non voleva
limitarsi al solo aspetto monetario per contrastare la povertà. Pensavo
soprattutto ad uno strumento che riattivasse le persone, non le lasciasse cioè
in una condizione di immobilità sociale e dunque economica che in particolare
al Sud, per una serie di difficoltà anche di carattere amministrativo,
pesa indubbiamente di più”.
Non solo sulla povertà, ma su tutti gli SDGs, questo è tempo
di consuntivi. Il 9 luglio a New York si aprirà l’High level political forum
(Hlpf) che fa il punto annualmente sull’attuazione dell’Agenda 2030. Un
documento delle Nazioni unite introduce la discussione su tutti i 17 Obiettivi,
ma analizza in particolare gli SDGs ai quali l’Hlpf dà priorità quest’anno e
cioè 6 (Acqua pulita e servizi igienico-sanitari), 7 (Energia pulita e
accessibile), 11 (Città e comunità sostenibili), 12 (Consumo e produzione
responsabili), 15 (Vita sulla terra) e 17 (Partnership per gli Obiettivi). Come
abbiamo già visto per la Povertà estrema, anche sugli altri SDGs il quadro è
ricco di luci e ombre, tanto da indurre il segretario generale dell’Onu Antònio
Guterres a lanciare un appello preoccupato nell’introduzione del documento:
Mancano solo 12 anni alla scadenza del 2030; dobbiamo
procedere con urgenza. Abbiamo bisogno di azioni immediate da parte dei Paesi e
di partnership collaborative fra i governi e gli stakeholder a tutti i livelli.
Questa agenda ambiziosa richiede cambiamenti profondi, che vanno oltre il
business as usual.
È interessante segnalare che 47 Paesi presenteranno le loro Voluntary
national reviews (Vnr), cioè il punto sull’attuazione dell’Agenda,
nell’incontro di quest’anno. Si aggiungono ai 65 (compresa l’Italia) che hanno presentato
la loro Vnr nel 2016 e nel 2017.
È sempre più evidente che il successo nella realizzazione
dell’Agenda 2030 dipende da un corretto approccio alle interrelazioni fra i
diversi Goal e dalla capacità dei governi di esprimere politiche che siano complessivamente
coerenti con un percorso di sviluppo sostenibile. Lo ricorda con forza l’Ocse
che prima dell’Hlpf ha diffuso un documento dedicato alla Policy
coherence for sustainable development, nel quale si analizzano le Vnr
presentate finora da 20 Paesi membri dell’organizzazione. Sulla base di questo
esame si mettono in evidenza otto “mattoni” su cui costruire e implementare con
coerenza la realizzazione degli SDGs: 1) Impegno politico e leadership; 2)
integrazione delle politiche; 3) orizzonti di pianificazione di lungo termine;
4) analisi e valutazioni dei potenziali effetti delle politiche; 5)
coordinamento istituzionale; 6) coinvolgimento dei livelli territoriali
sottostanti; 7) impegno degli stakeholder; 8) monitoraggio e reporting.
Il messaggio che emerge da questa grande mobilitazione
internazionale è chiaro: anche se ci sono difficoltà, c’è una generale
disponibilità a rendicontare e a confrontarsi, scambiandosi le pratiche
migliori. È un work in progress che coinvolge tutto il mondo (col
prossimo anno saranno 140 i Paesi che avranno presentato le loro Vnr) in un
grande impegno globale, nonostante miopie e particolarismi che in questo
momento non mancano.
Nessun commento:
Posta un commento