di
- Antonietta Nembri, Vita
Pubblicati i dati del Sipri, l’istituto svedese di
ricerca sulla pace che attestano una crescita dell’1,1% e che confermano il
trend al rialzo. La Campagna globale sulle spese militari nella dichiarazione
conclusiva - rilanciata da Rete Disarmo - del Global day of Action on Military
Spending 2018 chiama la società civile all’azione per “fermare questa tendenza”
Le spese militari mondiali hanno superato il muro dei
1.700 miliardi di dollari e sono valutati in 1.739 miliardi
di dollari, pari al 2,3% del Pil mondiale (in pratica 230 dollari a testa) e
con una crescita valutata in termini reali dell’1,1%. Numeri
certificati dalle stime del Sipri (Stockholm
International Peace Research Insitute), l’istituto svedese di ricerca sulla
pace, diffuse oggi - 2 maggio - e relative alla spesa per eserciti ed armamenti
di tutti gli Stati del mondo.
L’1,1% può essere considerata una leggera crescita, ma
prosegue un trend in atto da alcuni anni ed è il risultato dell’incremento ormai da tempo robusto nelle spese dell’area
mediorientale – Arabia Saudita su tutti – e del continuo aumento dei fondi
militari impiegati da Cina e India. Un aumento che avviene
nonostante il drastico taglio delle spese militari della Russia (- 20%) e una
stasi in quelle statunitensi che comunque, da sole, superano quelle dei successivi sette Paesi
della lista e si prevedono in rialzo già sul 2018.
I 10 Paesi ai vertici della classifica di spesa per il 2017 secondo il Sipri sono rispettivamente: Stati Uniti, Cina, Russia, Arabia Saudita, India, Francia, Regno Unito, Giappone, Germania e Corea del Sud.
I 10 Paesi ai vertici della classifica di spesa per il 2017 secondo il Sipri sono rispettivamente: Stati Uniti, Cina, Russia, Arabia Saudita, India, Francia, Regno Unito, Giappone, Germania e Corea del Sud.
Il dato relativo al Medio Oriente risulta in
crescita di oltre il 6% nonostante non siano valutabili (e quindi
esclusi dal conteggio) i dati di Paesi in guerra come Siria e Yemen oltre che
di Qatar ed Emirati Arabi.
Anche in Europa si registra un incremento generalizzato, più pronunciato in quella centrale (+12%), e comunque presente in quella occidentale (+1,7%) sia per la percezione di pericolo russo sia per le richieste di aumento di spesa che la Nato sta reiterando. I principali Paesi per spesa militare in Europa sono Francia (-1,9%) Gran Bretagna (+0,5%), Germania (+3,5%) e Italia (+2,1%). Anche il nostro Paese viene stimato con una spesa militare in rialzo e superiore ai 26 miliardi di euro, circa 29 miliardi di dollari, con un controvalore pari all’1,5% del Pil. Numeri che confermano il trend in rialzo già evidenziato dalle analisi dall’Osservatorio Mil€x.
Anche in Europa si registra un incremento generalizzato, più pronunciato in quella centrale (+12%), e comunque presente in quella occidentale (+1,7%) sia per la percezione di pericolo russo sia per le richieste di aumento di spesa che la Nato sta reiterando. I principali Paesi per spesa militare in Europa sono Francia (-1,9%) Gran Bretagna (+0,5%), Germania (+3,5%) e Italia (+2,1%). Anche il nostro Paese viene stimato con una spesa militare in rialzo e superiore ai 26 miliardi di euro, circa 29 miliardi di dollari, con un controvalore pari all’1,5% del Pil. Numeri che confermano il trend in rialzo già evidenziato dalle analisi dall’Osservatorio Mil€x.
«Siamo di fronte al pericolo di un terzo conflitto
mondiale e i grandi Paesi si stanno preparando alla guerra con massicci
investimenti in armamenti. È giunto davvero il momento che le popolazioni
facciano sentire la loro voce» osserva nella sua dichiarazione conclusiva –
diffusa oggi - del Global day of Action on Military Spending 2018 la Campagna
globale sulle spese militari (Gcoms). Che prosegue: «I fondi
attualmente destinati ad usi militari devono essere urgentemente reindirizzati
verso i veri bisogni umani! I fondi che oggi vengono spesi negli
eserciti sono necessari invece e con urgenza per ridurre le disuguaglianze, per
aumentare la cooperazione mondiale, per eliminare le ingiustizie energetiche, per
sfidare le dinamiche che stanno spingendo la massiccia crisi di rifugiati e
sfollati, per implementare regolamenti globali di mercato basati sulle persone
e per costruire un mondo pacifico».
Per la campagna occorre investire di più nelle risorse
dedicate alla prevenzione dei conflitti e per questo chiede “come primo passo”: «una riduzione del 10% della spesa militare in tutti i Paesi e le
Alleanze, compresa la Nato, al fine di uno spostamento di questi fondi verso i
veri bisogni umani e obiettivi sostenibili».
La Rete Italiana
per il Disarmo sostiene la Gcoms nella richiesta di una riduzione del 10% delle spese militari, a partire da quelle
italiane che in particolare sono sbilanciate sulla spesa per il
personale e prevedono quasi 6 miliardi di euro annui per l’acquisto di nuovi
armamenti.
La Rete Disarmo sottoscrive e rilancia del nostro Paese la dichiarazione conclusiva della Campagna internazionale che analizza la situazione che driva da scelte politiche globali influenzate dal complesso militare-industriale: «Gli affari di guerra si basano sul commercio di armi e sulla ricerca di strutture di potere, dominio e mascolinità che provocano morti civili, conflitti degradanti, sfruttamento predatorio del pianeta e contribuiscono attivamente al cambiamento climatico. Le azioni per promuovere la giustizia globale e ridurre gli effetti dei cambiamenti climatici richiedono una riduzione delle spese militari e rinnovati sforzi per utilizzare i negoziati nel risolvere i conflitti. Produrre e vendere armi è un affare molto redditizio che uccide le persone, mentre l’acquisto di armi sottrae denaro da obiettivi positivi centrati sulle esigenze umane».
La Rete Disarmo sottoscrive e rilancia del nostro Paese la dichiarazione conclusiva della Campagna internazionale che analizza la situazione che driva da scelte politiche globali influenzate dal complesso militare-industriale: «Gli affari di guerra si basano sul commercio di armi e sulla ricerca di strutture di potere, dominio e mascolinità che provocano morti civili, conflitti degradanti, sfruttamento predatorio del pianeta e contribuiscono attivamente al cambiamento climatico. Le azioni per promuovere la giustizia globale e ridurre gli effetti dei cambiamenti climatici richiedono una riduzione delle spese militari e rinnovati sforzi per utilizzare i negoziati nel risolvere i conflitti. Produrre e vendere armi è un affare molto redditizio che uccide le persone, mentre l’acquisto di armi sottrae denaro da obiettivi positivi centrati sulle esigenze umane».
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