Il numero di giovani che contraggono l'Hiv è in crescita, anche a causa dell'assenza di campagne informative adeguate. E per effettuare i controlli sanitari bisogna avere il consenso dei genitori: per questo molti rinunciano
(l'Espresso)
Ospedale Sacco di Milano, passano alcuni
secondi, una dottoressa risponde e, ascoltando la richiesta, dirotta la
chiamata al reparto di pediatria. Ad accogliere la domanda è una voce: «Non so
se esistono dei modi per poter fare un test dell’Hiv senza chiedere ai tuoi
genitori, lasciami il numero di cellulare e ti faccio sapere».
È necessario fingersi un adolescente per
comprendere la zona grigia in cui si muove il personale medico quando si parla
di minorenni e Aids. Sono circa 500 i ragazzi in Italia che hanno
contratto il virus dell’Hiv, un numero che, in base agli ultimi
dati, sembra essere in costante crescita. L’Istituto Superiore di Sanità
segnala «un’incidenza maggiore» della sindrome nei giovani con un’età compresa
tra i 25-29 anni, non escludendo che il virus possa essere stato contratto
quando erano ancora minorenni. Colpa dell’assenza d’informazione, di una
mancata prevenzione ma soprattutto di una diagnosi tardiva, vietata a chi
ancora non ha compiuto il diciottesimo anno d’età, se non accompagnato. Una
precauzione, quest’ultima, che, nella verità dei dati, provoca ulteriori
contagi e condanna un giovane all’assenza di cure tempestive.
In tutta Italia ogni reparto di malattie infettive
ha una propria idea sulla procedura da applicare nel caso in cui un adolescente
chieda di sapere se ha contratto il virus dell’Hiv, sottoponendosi a un
accertamento senza essere condotto in reparto da un genitore. Obbligo che la
legge impone. È questa la barriera che deve superare un adolescente per poter
effettuare il test. Ma c’è una via d’uscita. L’avvocato Matteo Schwarz,
consulente legale del telefono Verde Aids e Ist, spiega: «In Italia effettuare un test dell’Hiv su un minore è vietato, ma è
possibile, qualora vi siano particolari criticità, chiedere di poter procedere
tramite l’autorizzazione del giudice tutelare. A farlo sono pochi
operatori sanitari, anzi pochissimi». Centralini che non rispondono, chiamate
dirottate, medici che non conoscono le norme. I forum si riempiono di richieste
d’aiuto e per molti ragazzi i motori di ricerca diventano l’unico approdo
possibile, anche psicologico.
Al Sant’Elia di Caltanissetta prima
rispondono «è assolutamente vietato senza il permesso dei genitori», ci mettono
in attesa, a prendere la telefonata è un assistente sanitario: «Vieni, te lo
facciamo quando vuoi, tanto è tutto anonimo». All’ospedale Umberto I di Ancona
sanno con chiarezza la procedura e tentano di convincere l’interlocutore con
poche frasi: «Se risultassi positivo non potresti comunque nasconderlo ai tuoi
genitori, perché la tua vita cambierebbe radicalmente». Alziamo di nuovo il
telefono. Trentino Alto Adige, ospedale Santa Chiara, alla richiesta non hanno
esitazioni: «Puoi presentarti qui da noi alla stanza numero Sei, reparto dermatologia.
Ti facciamo l’esame e anche le analisi per vedere sei hai contratto l’Epatite
C, se risulti positivo a qualcosa chiamiamo i tuoi». Al Santa Maria della
Misericordia di Perugia parliamo con quattro persone diverse. Siamo costretti a
spiegare ogni volta la stessa cosa: «Sono un minore posso fare il
test dell’Hiv senza doverlo dire ai miei genitori?». La risposta è
un secco no. Il viaggio continua in un elenco di mancanze: nessun servizio di
consulenza, nessuna domanda sul perché di tale richiesta, nessuna parola di
conforto, nessuna richiesta di presentarsi in reparto e parlarne con
tranquillità. Un vuoto che coincide con l’aumento di infezioni da Hiv tra
giovani e giovanissimi. Testimoni i dati dell’Istituto Superiore di Sanità che
segnala: «Negli ultimi anni si osserva un lieve aumento della quota delle
persone con una nuova diagnosi di infezione in fase clinica avanzata». Non fare
il test dopo un comportamento a rischio può significare peggiorare l’evoluzione
della malattia. Spiega la dottoressa Stefania Bernardi, pediatra infettivologo
dell’ospedale Bambino Gesù di Roma: «Oggi è dimostrato che l’infezione da Hiv
trattata in fase molto precoce, cioè appena contratta, ha uno sviluppo diverso
rispetto a chi inizia le cure in una fase ormai avanzata. I danni al sistema
immunitario, se la terapia viene assunta troppo tardi possono essere
irreversibili».
L’unica vera cura per la sindrome da
immunodeficienza è una diagnosi precoce, ma un report del ministero della
Salute lancia l’allarme: «La comunicazione della diagnosi tra gli adolescenti è
scarsa e complessa. Gli operatori non sono preparati ed esiste un grosso
rischio che la terapia venga interrotta una volta comunicata la diagnosi.
Inoltre la comunicazione del proprio stato al partner è rara negli adolescenti».
«Chiedere ai miei? No, mi spaventa»
Analisi, studi scientifici, terapie
avanzate che si intrecciano alla fragilità di essere ragazzi. Stefania Bernardi
racconta la storia di due minori omosessuali: «Mi hanno confidato di avere
una relazione e di essere stati incauti. Ci sono volute alcune ore di pazienza,
ma alla fine sono riuscita a farli tornare con la scusa di fare qualche esame
di routine insieme ai genitori ed è stato in quel momento che ho proposto di
effettuare il test dell’Hiv, fortunatamente era negativo».
Ma sono tanti gli adolescenti che
preferiscono evitare il test pur di non dirlo ai genitori. Fuori da
un liceo di Roma le opinioni sono diverse. «Io non lo farei mai, dirlo ai miei
mi spaventa», dice un ragazzo. «Io ne parlerei con mia madre, ma molti coetanei
non hanno la fortuna di avere un buon rapporto con i genitori», risponde
un’altra.
C’è chi lamenta l’assenza di educazione
sessuale nelle scuole: «Non ci preparano ai rischi che corriamo». Poco
informati sulle modalità di trasmissione, disorientati e alcune volte
inconsapevoli. Colpa di una strategia assente, come denunciano
le associazioni che da anni si battono al fianco delle persone con Hiv e per
una corretta prevenzione.
Massimo Oldrini, presidente di Lila,
denuncia: «Nel 2017 i soldi a budget per la campagna pubblicitaria contro
l’Aids ammontavano a soli 80 mila euro. Ci hanno informato che nel 2018 ci sarà
una cifra analoga, e che esistono altri fondi, ma nessuno ha saputo dirci i
soldi a disposizione. Certo è che, per un’adeguata informazione,
ci vorrebbe molto di più. Altre nazioni europee stanziano milioni di euro».
Ma se le campagne progresso appaiono poche e mirate, a risentirne maggiormente
sono sempre loro: i giovani. Nel 2015 Miur e ministero della Salute avevano
istituito un tavolo di lavoro per dar vita a un “piano di educazione della
salute incentrato sull’Hiv”. Il tavolo dal 2015 ad oggi non si è mai
incontrato, eppure il Ministero è consapevole dei rischi. Come riporta il
report datato 2017: «Negli ultimi anni, gli interventi di prevenzione sembrano
aver subito, nella scuola e tra la popolazione giovanile in generale, un
processo involutivo, accompagnato da un marcato calo di interesse sia delle
Istituzioni, sia tra i giovani stessi».
In Italia sono pochi i centri di
consulenza a cui è possibile rivolgersi per chiedere aiuto. E c’è chi in
assenza di un luogo opta per il Telefono Verde Aids e Ist (800.861.0.61)
dell’Istituto Superiore di Sanità, attivo da oltre trenta anni e raggiungibile
dal lunedì al venerdì dalle 13 alle 18. La dottoressa Anna Maria Luzi,
responsabile del servizio nazionale, spiega: «Abbiamo giovani che chiamano per
chiedere informazioni sul test e noi forniamo con un adeguato intervento di
counseling, tutte le informazioni necessarie. Molti si preoccupano quando
spieghiamo loro che per potersi sottoporre alle analisi serve il consenso del
genitori o l’autorizzazione del giudice tutelare».
Il racconto di una ragazza che, facendo
esami di routine prima di un intervento, ha scoperto di aver contratto il
virus. E che ora racconta: «Molti della mia generazione pensano che questo
problema non esista più»
Per combattere il virus «servirebbero più
efficaci interventi di educazione sessuale e di prevenzione delle infezioni
sessualmente trasmesse, nonché l’attivazione di procedure di accesso al test
omogenee e mirate ai minori», insiste la dottoressa Anna Maria Luzi, che
conclude invitando «a collegarsi al sito www.uniticontrolaids.it che integra
l’attività di counseling del Telefono Verde. Il sito attivo dal 2013 presta
particolare attenzione ai bisogni informativi dei giovani, non solo in merito
all’Hiv, ma più in generale alle altre infezioni sessualmente trasmesse». Ma la
verità è che l’Assemblea generale delle Nazione Unite aveva chiesto a tutti gli
Stati membri, compresa l’Italia, di eliminare, soprattutto per le generazioni
più giovani, ogni barriera, permettendo così una progressiva riduzione delle infezioni.
Ad avere abbassato il limite d’età a sedici anni sono stati
Danimarca, Estonia, Portogallo, Slovenia e Spagna. In Germania,
Svizzera e Regno Unito è invece possibile effettuare il test senza essere
accompagnati dai genitori al compimento del quattordicesimo anno d’età. In
Lettonia serve avere 15 anni.
L’Italia è rimasta ad ascoltare in
silenzio. Nell’ultimo piano nazionale di interventi contro Hiv e Aids c’è una
sola riga dedicata al test: «Definire le procedure che permettano l’accesso ai
minori, senza obbligo di richiesta del consenso da parte dei genitori, con
interventi normativi adeguati». Nulla viene aggiunto sulle possibile
tempistiche di attuazione, né su come procedere su base nazionale. Uno stallo
normativo che ha del paradosso, se si pensa che l’auto-test è facilmente
accessibile. Poco pubblicizzato, comodamente acquistabile in farmacia o nei
distributori che vendono profilattici, ne sono provvisti anche i siti internet.
Costo dai 20 ai 30 euro, dipende dalla casa
farmaceutica produttrice.
Nel foglio illustrativo appare in piccolo
la dicitura “vietato ai minori di 18 anni”, ma una volta solcata la linea
gialla di riservatezza di una qualsiasi farmacia, in pochi chiedono l’età.
Dentro la scatola tutto il kit necessario per procedere alla diagnosi. Se
appare una linea il test è negativo. Due è meglio rivolgersi a un medico. Il
tutto può essere eseguito dentro un bagno, senza un’assistenza medica, senza
sapere che l’auto-test è attendibile solo se il comportamento a rischio risale
a tre mesi prima, ma soprattutto solo nel caso in cui sia positivo.
Adolescenti, soli senza un aiuto psicologico. Divieti, disinformazione, assenza
di centro di counseling, ospedali impreparati: ecco la lista delle mancanze.
Mancanze che hanno il marchio del fiocco rosso pronto a tornare più presente di
prima.
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