Un
secolo dopo il sostegno del governo britannico per una patria ebraica genera
ancora controversie. Ecco perché
di Amanda Thomas-Johnson – Middle
East Eye, da Nena news
Nena News – È battuta a macchina
su un singolo foglio di carta. È lunga meno di 70 parole. Il suo linguaggio è
privo di emozioni e difficilmente potrebbe essere chiamata poetica. Ma la
Dichiarazione Balfour, emessa dal governo britannico cento anni fa questa
settimana, ha cambiato il corso della storia per ebrei, arabi e resto del
mondo.
Dietro alla breve asserzione –
nascosta in una lettera di 112 parole – sta la promessa ai sionisti di una
patria per il popolo ebraico. Una promessa corroborata dalla spinta di Londra
verso la vittoria nella guerra, dal romanticismo biblico dei cristiani
dell’establishment e, nelle parole di Avi Shlaim, professore israeliano, dal
“freddo calcolo degli interessi imperialisti britannici”.
Capire come la dichiarazione è
stata prodotta è la chiave per comprendere come, un secolo dopo, resta fonte di
intensa controversia, celebrata da molti ebrei ma anche avversata da molti
arabi.
Tempo
di guerra
È l’autunno 1917, tre anni
dall’inizio della prima guerra mondiale. Le truppe britanniche sono quasi alle
porte della città di Gerusalemme in Palestina. Il territorio, insieme a buona
parte del Medio Oriente, è sotto il controllo dell’impero ottomano che, con la
Germania, sta combattendo la Gran Bretagna.
Per farsi aiutare a vincere la
guerra, i britannici incoraggiano gli arabi alla rivolta contro gli ottomani in
cambio di una patria pan-araba. Ma nel 1916 Francia e Gran Bretagna avevano
firmato in segreto gli Accordi di Sykes-Picot, che hanno fatto a pezzi il Medio
Oriente e lo hanno spartito tra i due poteri europei.
In quello che è il secondo
tradimento delle aspirazioni politiche arabe, Arthur Balfour, il segretario
agli Affari esteri britannico, scrive il 2 novembre a Lord Walter Rothschild,
preminente membro della comunità ebraica britannica. La dichiarazione è il
culmine di numerose bozze, che erano state attentamente lette dai membri del
governo.
Rothschild, un finanziere, è
membro di una delle più ricche famiglie europee. È anche il primo ebreo a
sedere nella Camera dei Lord e un leader del movimento sionista che ha lavorato
per creare uno Stato per gli ebrei in Palestina – anche se la sua popolazione
all’epoca era per oltre il 90% araba.
Il
Regno Unito appoggia la causa sionista
Gli ebrei stavano immigrando in
Palestina da qualche decennio, spinti dai pogrom antisemiti nell’impero russo
alla fine degli anni Ottanta del XIX secolo. Ma è nel 1897, con la fondazione
dell’Organizzazione Sionista in Svizzera per volere di Theodore Herzl,
giornalista austro-ungarico, che le aspirazioni del sionismo politico – una
casa per il popolo ebraico in Palestina – cominciano a prendere forma.
Negli anni a seguire, i sionisti
iniziano a fare premere per una maggiore migrazione in Palestina nella speranza
che i grandi poteri – Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti – sostengano la loro
campagna. Ma mentre una parte dell’establishment britannico è simpatetica con
la causa sionista, il governo passa nel 1905 una legge che limita l’ingresso di
ebrei nel paese.
Il primo ministro britannico,
David Lloyd George, che l’accademico israeliano Avi Shlaim ha descritto come
“l’energia” dietro la Dichiarazione, è un gallese di origine
cristiano-evangelica. È un membro del gruppo di devoti politici cristiani che
guardano alla creazione di uno Stato ebraico come il compimento di una profezia
biblica: che un popolo a lungo perseguitato sarà in grado di tornare
dall’esilio alla propria patria.
Subito dopo lo scoppio della
guerra nel 1914, il leader sionista Chaim Weizmann prende contatti con
Rothschild e comincia a fare lobby sui membri del governo britannico. Nel
gennaio 1915 il governo discute per la prima volta l’idea di una patria per gli
ebrei in Palestina.
John Bond del Progetto Balfour
spuega che la discussione tra i politici britannici era focalizzata poco sulla
religione e molto sulla sicurezza geopolitica: “I motivi non erano religiosi,
ma di cocciuto imperialismo. La loro religione era l’impero britannico ben
prima che esistesse il sionismo”.
La Gran Bretagna vede il
beneficio strategico nel creare quello che Ronald Storrs, un futuro governatore
di Gerusalemme, avrebbe descritto come “un’Irlanda del Nord ebraica fedele in
un mare di arabismo potenzialmente ostile”. La Palestina, realizza Londra, è
essenziale alla protezione dei propri interessi nella regione, specialmente il
Canale di Suez e le vie di comunicazione con l’India, il gioiello della corona
imperiale britannica a quel tempo.
E
i palestinesi?
Nel 1917 la popolazione della
Palestina (700mila persone) è dominata da arabi – parte della “esistente
comunità non ebraica” di cui parla la Dichiarazioni. La maggior parte delle
comunità è musulmana, ma ci sono anche cristiani. C’è anche un piccolo numero
di palestinesi ebrei che vivono in Palestina da secoli e condividono con gli
altri palestinesi la lingua, gli usi e le tradizioni.
I palestinesi sono vissuti sotto
il dominio dell’impero ottomano per quattro secoli, ma con la prima guerra
mondiale il sostegno ai turchi è precipitato. Un nuovo regime turco
nazionalista è ora a capo dell’impero e, con l’appoggio britannico, le
aspirazioni politiche arabe sembrano più raggiungibili che mai.
Durante la guerra, la Gran
Bretagna e i suoi alleati inseguono i territori ottomani. Ma le tensioni
iniziano a montare in Palestina quando ondate di ebrei europei cominciano ad
arrivare, a comprare le terre e a utilizzare la lingua ebraica, il tutto con
l’obiettivo di creare uno Stato. Costruiscono anche insediamenti: uno viene
chiamato Tel Aviv. I leader palestinesi temono una sconfitta e si lamentano con
le autorità ottomane.
Lo scrittore arabo Abdullah
Mukhlis riassume le parole di molti palestinesi quando, in anticipo sui tempi,
nel 1910, scrive: “La creazione di uno Stato ebraico dopo migliaia di anni di
declino…noi (arabi) temiamo che la nuova colonia espellerà gli indigeni e
dovremo lasciare il nostro paese in massa”.
Prima della Dichiarazione non
c’era unità tra i sionisti fuori dal Medio Oriente. Nel Regno Unito, ad
esempio, solo 8mila dei 300mila ebrei presenti appartenevano ad
un’organizzazione sionista prima della Dichiarazione Balfour.
Chris Doyle, il direttore del
Council for Arab-British Understanding, spiega: “Gli ebrei sicuramente non erano
uniti. Ce n’erano molti che pensavano che avrebbe avuto un impatto negativo. Il
sionismo non aveva catturato l’immaginazione delle comunità ebraiche”
Come
è stata ricevuta la Dichiarazione
Quando è divenuta pubblica, la
Dichiarazione Balfour ha segnato un punto di svolta nella campagna tra gli
ebrei. In Gran Bretagna è guidata dalla Federazione Sionista, un gruppo
ombrello che preme per l’idea che il principale obiettivo del sionismo sia
l’aliyah, ovvero l’immigrazione in Palestina. Una celebrazione viene
organizzata nella Royal Opera House, durante la quale intervengono importanti
leader sionisti e membri del governo.
I membri delle organizzazioni
sioniste aumentano drasticamente anche negli Stati Uniti. Tuttavia, alcuni
ebrei ortodossi si oppongono alla creazione di una patria ebraica in Palestina
sulla base di convinzioni religiose.
Weizmann continua a fare lobby
sui ministri, i diplomatici, i funzionari. Partecipa alla Conferenza di pace di
Versailles nel 1919, quella che definisce i termini della pace per gli
sconfitti. Weizmann prova a tenere i britannici ancorati alle loro promesse.
Herbert Samuel, il parlamentare
sionista che aveva avviato le discussioni nel governo su una patria ebraica in
Palestina, viene nominato governatore della Palestina nel 1920.
I
successivi cento anni
I leader arabi palestinesi
diventano furiosi quando la notizia della Dichiarazione emerge, nelle settimane
successive. Dal 1920 in avanti, i palestinesi commemorano l’anniversario della
Dichiarazioni con proteste che in alcuni casi si fanno violente.
Nel 1922 la Palestina finisce
sotto il mandato britannico, che avrebbe dovuto preparare la popolazione
all’eventuale auto-determinazione. Ma il documento del mandato lascia fuori la
parola “arabo”. Al contrario, consacra la Dichiarazione Balfour all’interno di
un contesto legale internazionale.
La Dichiarazione porta nel 1947
alla realizzazione del sogno sionista di una patria per gli ebrei quando le
neonate Nazioni Unite si accordano per la spartizione della Palestina in un
territorio arabo e uno ebreo. ,a questo genera ulteriore ostilità tra i vicini
arabi di Israele. Quando Israele dichiara l’indipendenza nel 1948, la guerra
scoppia. Israele esce vincitore ma i suoi abitanti vivranno da quel momento in
poi sotto la costante minaccia del conflitto.
Nel 1948 i palestinesi vivono la
Nakba, la catastrofe: centinaia di migliaia di loro vengono violentemente
portati via dalle loro case e costretti a vivere sotto occupazione o fuori
dalla Palestina.
I sionisti, intanto, celebrano
Balfour. Strade delle principali città, compresa Gerusalemme, prendono il suo
nome. Balfouria, un insediamento a sud di Nazareth, era stata fondata in suo
onore nel 1922. La sua scrivania si trova nel Museo del Popolo Ebraico a Tel
Aviv. La Giornata Balfour viene celebrata ogni anno il 2 novembre.
Da parte sua Balfour non ha mai
mostrato alcun rimorso. Nel 1919 dice al suo successore, George Curzon, che non
concordava con lui sulla politica britannica verso la Palestina, che “il
sionismo, che sia giusto o sbagliato, è radicato in tradizioni vecchie di anni,
nei bisogni presenti e nelle speranze future ed è di più profonda importanza
dei desideri e i pregiudizi dei 700mila arabi che oggi vivono quell’antica
terra”.
Nessun commento:
Posta un commento