Siamo
in un periodo di crescente confusione giuridica, interpretazioni e pratiche
improprie che, nell’ordine interno e internazionale, fanno passare
standard che sembrano ben piantati in una zona di “soft law”. Questo clima politico-giuridico
favorisce l’arbitrarietà dei più potenti.
Questa
decostruzione del diritto internazionale e del diritto umanitario ha degli
attori privilegiati: lo stato israeliano è molto più che un seguace di
Washington. I giuristi israeliani hanno un immaginario che influenza gli
americani stessi: sono loro, ad esempio, all’origine della nozione delirante di
“legittima difesa preventiva”, che altro non è che una nuova definizione
dell’aggressione, condannata dalla Carta delle Nazioni Unite!
Sono
ancora loro ad aver stimolato il messianismo americano con una sempre più
insistente invocazione alla “moralità” man mano che si presenta una violazione
della legalità! Israele completa questo falso sostituto del diritto con una
pretesa legittimità di tutte le sue azioni basate su radici religiose molto
lontane che, se applicate all’insieme delle relazioni internazionali, sarebbero
la fonte di una terza guerra mondiale!
Israele,
sul piano ideologico, con l’aiuto dei suoi alleati in Europa e negli Stati
Uniti, è anche riuscito a imporre in una parte dell’opinione pubblica l’idea
che la critica alla politica israeliana sia sinonimo di antisemitismo! Questo
oscurantismo quasi ufficiale osa assimilare anti-sionismo e antisemitismo!
Il
sito anti-imperialista “Investig’Action”, con sede a Bruxelles, diretto da
Collon, editore influente che ha pubblicato libri su Palestina, Libia, Siria e
al quale collaboro, è oggetto di numerosi attacchi e azioni penali nel nome di
un preteso antisemitismo! Qualsiasi critica allo stato di Israele si ridurrebbe
così a un razzismo anti-ebraico, legittimando proibizioni e sanzioni. Perché
l’obiettivo è chiaro: bisogna mettere a tacere Investig’Action! Questo caso non
è che uno tra gli altri.
Questi
tentativi di anestesia dell’opinione internazionale e di “desensibilizzazione”
a una politica criminale non possono comunque impedire di stilare un elenco non
esaustivo di pratiche che violano la legalità internazionale, in particolare il
diritto umanitario, del regime di Tel Aviv, la cui origine, abbiamo la tendenza
a dimenticarlo, è il sostegno britannico a un focolare nazionale ebraico in
Palestina!
L’unilateralismo
israeliano (come quello degli Stati Uniti) e la sua quasi totale indifferenza
verso la legalità internazionale è una vecchia storia e i palestinesi non ne
sono le sole vittime.
Tutte
le relazioni internazionali, in particolare ovviamente le relazioni tra i
popoli arabi e l’Occidente, sono interessate. I governi occidentali, in
particolare la Francia, che hanno cercato di strumentalizzare i diritti umani e
l’umanitarismo per giustificare le loro ingerenze, sono essi stessi turbati
dalle pratiche israeliane. Hanno dovuto “banalizzarli” e cercare per
convenienza di sviare l’indignazione “umanista” contro altri obiettivi!
Il
contrasto è emblematico dell’abituale attitudine degli occidentali a
distribuire note buone e cattive all’intero pianeta, tranne che alle “dittature
amiche” e …. a Israele!
Le
violazioni del diritto da parte di Israele sono tuttavia numerose.
·
Israele è l’ultimo stato a perseguire un
processo di colonizzazione diretta attraverso un’accelerata moltiplicazione di
“insediamenti” in tutto il territorio palestinese, al fine di rendere la
soluzione dei “Due Stati” non praticabile, mentre lo stato “ebraico” in
progetto non può lasciare spazio a rilevanti quote di cittadini arabi,
nonostante l’evoluzione demografica delle due popolazioni. In assenza del
“processo di pace” (che senza dubbio non è mai realmente esistito), c’è
un’operazione di frammentazione e dissoluzione dell’intera società palestinese
e c’è fin da ora un crimine di apartheid poiché per Israele, ebrei e
palestinesi sono qualificati come “razza”.
·
A livello territoriale, possiamo anche
ricordare la quasi annessione del Golan siriano, il processo di annessione del
Sinai egiziano, l’integrazione della parte palestinese di Gerusalemme e la sua
trasformazione (contrariamente alle risoluzioni delle Nazioni Unite) in
capitale di Israele. Bisogna aggiungere la costruzione del “Muro”, che sconfina
nei territori riconosciuti come soggetti all’Autorità Palestinese, condannata dalla
Corte internazionale di giustizia (9 luglio 2004).
·
Israele ha usato unilateralmente la
forza armata, senza l’avallo del Consiglio di sicurezza, senza restrizioni. Le
sue operazioni militari che minano la sovranità di vari paesi sono numerose,
con la complicità degli Stati Uniti e degli Stati europei. Israele si è anche
accordato il monopolio regionale nel campo delle armi nucleari, fondato
sull’idea di essere l’unico stato ad avere il diritto di possederle, a
differenza dell’Iran!D’altra parte, un accoltellamento o il lancio di un razzo
sarebbe una minaccia terroristica alla sicurezza di Israele e alla pace
regionale e internazionale!
·
Israele non tiene in alcun conto il
fatto che la Palestina è uno stato, riconosciuto da più di 130 stati, ammesso
all’UNESCO e elevato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite allo status di
“Stato non membro” delle Nazioni Unite (risoluzione del 29 novembre 2012).
Maltrattando i palestinesi, Israele viola apertamente la Carta delle Nazioni
Unite in tutte le sue disposizioni, poiché violando i suoi obblighi legali,
questo Stato nega le prerogative di cui gode lo Stato palestinese.
Questa
criminalità cumulativa si è “arricchita” dei massacri di marzo 2018 alla
barriera di Gaza, “chiusa” da anni dall’esercito israeliano. È passato il tempo
in cui le strategie israeliane giocavano su “Hamas” contro “Fatah”! Oggi è
giunto il momento per la distruzione di tutte le strutture palestinesi,
qualunque esse siano, incluso Hamas qualificato come organizzazione
terroristica la cui “pericolosità” deve essere massimizzata. Poco importa che,
per la maggior parte, questi dimostranti siano civili venuti in massa per
ricordare al pubblico internazionale che esistono e resistono nonostante
l’asfissia loro inflitta.
Questi
massacri (che hanno provocato centinaia di morti e migliaia di feriti) di
manifestanti disarmati (a parte le fionde) non avevano alcuna giustificazione
difensiva (sebbene Israele abbia osato invocare la protezione di alcuni
villaggi israeliani).
Non
sono i primi. Il potere israeliano da sempre usa la forza armata in modo
sproporzionato e illegale contro popolazioni civili.
Possiamo
ricordarne alcuni che risalgono alle origini di Israele. La carneficina di Deir
Yassin, dell’aprile 1948, quando furono assassinati quasi 200 civili, quella di
Safsaf, di Salha, ecc. fino alle incursioni aeree o ai massicci bombardamenti
di Gaza nel 2006, 2008, 2009, per non parlare delle migliaia di morti nei campi
di Sabra e Shatila nel 1982, o delle centinaia di profughi civili (Operazione
Grape of Wrath), o della sanguinosa operazione della città di Jenin nel 2002
che fece almeno 200 morti fra i palestinesi, mentre nel diritto, l’occupante è
responsabile dell’ordine pubblico del territorio conquistato e della sicurezza
dei civili sottoposti a occupazione, e del rispetto delle loro proprietà.
La
confisca delle terre, la distruzione delle case, ecc. in Cisgiordania sono
ovviamente altre violazioni illecite che sono andate avanti al di là di una
qualsiasi necessità militare.
Nel
marzo 2018, l’esercito israeliano ha superato tutti i limiti della
“proporzionalità” imposta dal diritto: sembra che sia guidato dalla sua
superiorità, cosa che lo porta a commettere ciò che la legge internazionale
qualifica come “crimini” di guerra” e “crimini contro l’umanità” se non
“genocidio”.
I
crimini commessi nel 2018 sono chiaramente crimini di guerra (Convenzione di
Ginevra del 1949, Protocollo addizionale del 1977 (non “ratificato da
Israele”), Statuto ICC del 1998. Esistono infatti “crimini di guerra” poiché
“attacchi deliberati” sono stati effettuati contro “una popolazione civile”; la
qualificazione è rafforzata quando questi attacchi sono “manifestamente
eccessivi” in relazione a “tutti i vantaggi militari” previsti (che in questo
caso non esistevano affatto)! Si precisa che anche nel caso di presenza
militare fra la popolazione civile, l’attacco ai civili rimane un crimine di
guerra.
In
ogni caso, da molto tempo, vari aspetti della colonizzazione dei territori
occupati rientrano nella categoria dei crimini di guerra: si tratta del
trasferimento e della detenzione in Israele di “persone protette” ai sensi
della IV° Convenzione di Ginevra (cioè, palestinesi arrestati nei territori
occupati); l’insediamento di “coloni” israeliani in questi stessi territori; la
confisca e distruzione di proprietà; sevizie e uccisioni di “persone protette”.
I
membri del personale politico, amministrativo e militare dello Stato che hanno
agito nell’esercizio delle loro funzioni possono essere messi sotto accusa. La
responsabilità principale è quindi quella dei superiori, avendo i subordinati
“l’obbligo legale di obbedire agli ordini”.
Queste
personalità responsabili possono essere portate davanti alla Corte penale
internazionale, salvo blocco del Consiglio di sicurezza o inerzia molto
“politica” del Procuratore, certamente preoccupati di trascinare la procedura
all’infinito per non dispiacere agli Stati Uniti.
Se
dunque il successo non è garantito davanti alla CPI, c’è la possibilità di
utilizzare, là dove sia stato adottato, il principio di “giurisdizione
universale” che consente ai tribunali di uno Stato di occuparsi di crimini
internazionali come i crimini di guerra, ma l’attuazione di questa
giurisdizione è complessa.
Alla
fine si torna, purtroppo, davanti alle carenze del diritto, alla solidarietà
internazionale e al risveglio della militanza attiva per la causa palestinese,
da cui il nostro incontro di oggi! Ciò non significa che il ricorso al diritto
non sia un’arma utilizzabile; tuttavia, deve essere appoggiato da una forte
copertura mediatica e da una forte volontà politica.
In
conclusione si constata che Israele contribuisce attivamente al declino del
diritto internazionale e del diritto umanitario, mentre la Palestina, al
contrario, per necessità oggettiva è portata a salvaguardarlo e persino
promuoverlo: il rispetto del diritto tende a diventare la sua unica difesa.
Ma
in questo scontro tra conquistatori e resistenti, tutti possono perdere. La
“disumanizzazione” dell’avversario diventa la regola in ogni campo: “i civili
uccisi da una parte giustificano i civili uccisi dall’altra”, scrive A. Gresh.
Nel
corso del tempo, il prolungarsi della colonizzazione, accompagnato dagli abusi
sui prigionieri (compreso l’uso “limitato” della tortura, ma legalizzato e
praticato comunemente, ha intaccato la società israeliana, abbassato le sue
barriere morali e degradato una democrazia che esclude i non ebrei.
Quanto
ai palestinesi, la loro capacità di resistenza è eccezionale, ma non può che
esaurirsi se rimane isolata, senza un intervento esterno che non sia giudice e
parte come lo sono gli Stati Uniti.
Infatti
il conflitto israelo-palestinese rappresenta una doppia sconfitta: per un lungo
periodo storico, il naufragio di una società israeliana moralmente indegna
della Shoah, in un certo senso incoraggiata da falsi amici occidentali. A.
Einstein sembra aver avuto ragione quando ha espresso la sua preoccupazione:
“Ho
paura di sconfitte interne che lo Stato di Israele comporterà sul giudaismo”
con “lo sviluppo di un rigido nazionalismo lontano dalla spiritualità della
nostra comunità …”.
I
palestinesi, inevitabilmente sconfitti militarmente, potendo contare solo su se
stessi dalla Nakba, data la debolezza della “fratellanza” araba e la natura non
vincolante delle risoluzioni dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite,
rischiano di scomparire come entità politica e forse anche come popolo.
A
questa doppia catastrofe, l’unica risposta è il risveglio della solidarietà
internazionale a favore del popolo palestinese perché, senza correre grandi
rischi, si può concludere che “la ragione del più debole è sempre la migliore”.
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