Gwynne
Dyer, giornalista, L’Internazionale
“Dobbiamo parlare con voce ferma
e denunciare il regime per quel che è: una minaccia alla pace e alla sicurezza
di tutto il mondo”, ha dichiarato nel dicembre 2017 l’ambasciatrice degli Stati
Uniti alle Nazioni Unite, Nikki Haley, cercando di ottenere un maggiore
sostegno alle sanzioni internazionali contro l’Iran, e forse un vero e proprio
attacco al paese. Adesso ci risiamo.
Chi ha una certa età ricorderà
quello che è accaduto dopo l’invasione statunitense dell’Iraq, con il diluvio
di rapporti d’intelligence statunitensi d’alto livello sulle presunte armi di
distruzione di massa irachene, usati per giustificare l’attacco. “Tutti” erano
in pericolo, probabilmente anche Bolivia, Svizzera e Nepal, e quindi tutti
dovevano sostenere l’invasione.
Il presidente George W. Bush
voleva rovesciare Saddam Hussein, il dittatore iracheno, e i servizi
d’intelligence statunitensi hanno lavorato per trovare delle ragioni che sostenessero
questo programma. Ci è stato detto che Saddam aveva cercato di comprare uranio
in Niger (una falsità, fondata su documenti inventati). Gli Stati Uniti non
potevano permettersi di aspettare le prove definitive delle intenzioni di
Saddam “in forma di fungo atomico”, dichiarò allora il presidente Bush.
Gli errori si ripetono
Alla fine gli Stati Uniti hanno
avuto la loro guerra, senza trovare alcuna prova di un programma di produzione
di armi di distruzione di massa in Iraq. Ma non hanno imparato nessuna lezione.
All’Onu Haley ha provato a gettare le fondamenta per un’analoga avventura di
Trump in Medio Oriente. Stessa storia, giorno diverso.
Il copione è il seguente. L’Iran
è una potenza aggressiva ed espansionistica che minaccia chiunque in ogni luogo
del mondo. La prova sarebbe che sta aiutando i cattivi nello Yemen, gli houthi,
a scagliare missili sugli innocenti cittadini sauditi. Anzi sta proprio
fornendo i missili ai malvagi houthi.
Questi ultimi, un’ampia tribù
sciita dello Yemen settentrionale, sono effettivamente dei ribelli, e
controllano ormai buona parte del paese, compresa la capitale. La cosa ha fatto
infuriare i sauditi, che avevano messo al potere il precedente governo, nel
2012, con l’obiettivo di reprimere le rivolte che avevano infiammato lo Yemen
durante le primavere arabe.
Ai sauditi non è piaciuto vedere
il loro uomo rovesciato, e hanno quindi creato una coalizione di nove stati
arabi sunniti e hanno cominciato a bombardare lo Yemen nel 2015.
Secondo l’Onu almeno 8.670
persone sono state uccise e 49.960 ferite da quando la coalizione è intervenuta
nella guerra in Yemen. Ma il 25 marzo uno degli assai poco precisi missili
degli houthi ha ucciso una persona nella periferia di Riyadh, la capitale
dell’Arabia Saudita.
La macchina della propaganda
antiraniana si è infiammata. “Questa azione aggressiva e ostile da parte del
gruppo houthi, sostenuto dall’Iran, dimostra che il regime iraniano continua a
sostenere il gruppo armato (houthi) con strumenti militari”, ha dichiarato il
portavoce della coalizione Turki al Maliki. E l’inimitabile Nikky Haley ha
dichiarato che il missile “aveva forse degli adesivi ‘made in Iran’ attaccati”.
È questo il nocciolo della
questione: l’Iran sta effettivamente fornendo agli houthi i missili lanciati
contro l’Arabia Saudita? Se è così, gli Stati Uniti – il principale alleato
dell’Arabia Saudita – hanno una scusa per attaccare l’Iran.
La loro accusa dipende
fondamentalmente dalla distorta ma diffusa convinzione che gli yemeniti, e in
particolare i ribelli sciiti del nord, siano troppo “arretrati” per poter
costruire o perfezionare missili da soli. Ma buona parte delle armi delle forze
armate yemenite, compresa una serie di missili balistici a corto raggio
elaborati a partire dai vecchi scud sovietici, è caduta nelle mani degli houthi
nel 2015-2016.
Nessuno di questi missili
potrebbe aver raggiunto Riyadh, ma aumentare la gittata di un semplice razzo
come lo scud non sarebbe un’operazione fantascientifica. Basterebbe ridurre il
peso della testata missilistica e allungare il corpo del razzo in modo da
permettergli di contenere più carburante.
Tra gli houthi ci sono molte
persone che sanno come farlo, e pare che sia proprio quello che hanno fatto. Il
missile aggiornato non è preciso (una sola vittima saudita su almeno quaranta
lanci), poiché allungarlo e alleggerire la testa modifica l’equilibrio, ma la
cosa rinfranca il morale degli houthi perché gli permette di rispondere a tutti
i bombardamenti subiti.
Il Jane’s information group,
creato nel 1898, è il principale gruppo indipendente al mondo che si occupa
d’intelligence e analisi su questioni militari. Ecco quel che nel 2017 Jeremie
Binnie – editor per il Medio Oriente e l’Africa – ha scritto a proposito dei
razzi nello Yemen su Jane’s Intelligence Review.
“Il Burkan-2h sembra utilizzare
un nuovo tipo di testata fabbricata localmente. Sia l’Iran sia la Corea del
Nord hanno mostrato di possedere derivati dello scud dotati di testate a forma
di pennuto, ma nessuno di questi corrisponde alla versione osservata in Yemen.
La gittata dei missili Burkan sembra inoltre essere stata aumentata grazie a
una riduzione del peso delle sue testate”.
Non inganniamoci sugli adesivi
“made in Iran”. Gli yemeniti non sono stupidi, sono in grado di modificare i
missili da soli. Anche se l’altra versione dei fatti si adatta meglio agli
obiettivi dell’amministrazione Trump.
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