A. Fab– Il manifesto
02 Ottobre 2018
Claudio Gemme, il commissario straordinario per la
ricostruzione del ponte di Genova già incoronato a mezzo stampa, resta in
attesa. La sua nomina, annunciata «a ore» del presidente Conte ieri mattina, e
«mi auguro in giornata» dal vice presidente Salvini in visita a Genova, non è
arrivata. A fermarla il malumore dei 5 Stelle, che con ritardo si sono accorti
di aver consegnato l’incarico a un una figura con ottime relazioni con la Lega
e con quelli che in queste settimane sono stati il contraltare dei grillini a
Genova: il presidente della regione Toti, il sindaco Bucci e il vice ministro
Rixi. In più il non trascurabile conflitto di interessi – Gemme è manager di
Fincantieri, l’azienda di stato alla quale Di Maio e Toninelli hanno da tempo
indicato come sicura vincitrice dell’appalto per la ricostruzione – stride con
le più insistite campagne moralizzatrici a 5 Stelle.
Proprio il fatto che Gemme non si sia ancora
dimesso dal suo incarico in Fincantieri, ma abbia annunciato che lo farà dopo
la nomina – dopo quindi il decreto del presidente del Consiglio che ieri non è
arrivato, bruciando il terzo dei dieci giorni disponibili per la scelta – non
fa che confermare le difficoltà nel governo. Le diverse interviste che Gemme ha
già concesso in qualità di commissario, allora, più che un passo azzardato
appaiono il tentativo di dare per chiusa una partita ancora aperta. E Salvini
non ha fatto grandi sforzi per nascondere i problemi sul nome che proprio lui
aveva suggerito per superare lo stallo su Toti: «Non c’è stato alcun
ripensamento su Gemme, da parte mia».
Il ministro dell’interno è stato assai esplicito
anche a proposito delle divergenze con i 5 Stelle sui contenuti del decreto.
«Si deve cambiare», ha detto tassativo al termine di un incontro con gli sfollati
dalle case sotto il ponte Morandi. Non sono bastate quindi le due settimane di
litigi e mediazioni seguite a quel giovedì 13 settembre in cui il decreto
«urgenze» fu trionfalmente varato dal Consiglio dei ministri. Per rivelarsi
però immediatamente una scatola vuota.
Per riempirla la presidenza del Consiglio si è
dovuta impegnare in lunghe trattative con gli enti locali e i due partiti della
maggioranza. E non è finita perché il decreto, che da ieri è assegnato alle
commissioni ambiente e trasporti della camera, sarà certamente modificato in
fase di conversione.
Gli sfollati hanno chiesto a Salvini più risorse,
non accontentandosi delle promesse. «Anche l’incontro con Toninelli era andato
bene e poi abbiamo visto com’è andata a finire con il decreto», ha detto il
presidente del comitato degli sfollati Franco Ravera. Il nodo torna a essere
quello dell’esclusione di Autostrade dai lavori di ricostruzione, malgrado la
società dei Benetton sia ancora la concessionaria di quel tratto autostradale,
per di più obbligata a ricostruire in base alla convenzione in vigore. Per
quanto moralmente comprensibile, l’ostinazione mal gestita di Di Maio e
Toninelli sta provocando effetti a cascata: il primo è la necessità di coprire
con risorse pubbliche la ricostruzione: sono stati individuati 360 miliardi per
i prossimi 12 anni, togliendoli ai fondi per le altre infrastrutture (alla
faccia del grande piano per la manutenzione delle opere pubbliche). Di
conseguenza, anche gli sfollati temono che Autostrade non vorrà versare tutti i
soldi in teoria destinati a risarcirli pienamente per la perdita delle case.
«Vedremo di restituire ciò che è stato tolto cambiando il decreto», ha promesso
Salvini, «se per questo bisognerà aumentare il deficit chi se ne frega»
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