Paolo Soldini, Striscia rossa
31 luglio 2018
Accendo la televisione e trovo il
ministro della Giustizia dello Stato italiano che spiega così l’attenzione dei
media per gli episodi di razzismo violento che si sono manifestati in varie
parti del Paese negli ultimi giorni: la stampa vuole creare divisioni tra la
Lega e i Cinquestelle. Questa è l’interpretazione che un autorevole
(autorevole?) esponente del governo dà di quello che sta accadendo in Italia. E
cioè – ricordiamo brevemente solo alcuni degli episodi più recenti –
l’uccisione di un presunto ladro da parte di una ronda di giustizieri della
notte, gli spari contro una bambina che forse resterà paralizzata e contro un
muratore capoverdino, il brutale pestaggio di uno ”sporco negro” davanti al bar
in cui lavora a Palermo, i colpi di fucile contro due migranti a Caserta e
contro un profugo dal Mali a Napoli, l’invito ad “andare dal veterinario” a un
senegalese che si è presentato in un ambulatorio a Roseto degli Abruzzi. E
infine l’aggressione a Daisy Osakue che davanti al ministro, in trasmissione,
ha raccontato con un bell’accento piemontese la sua storia di italiana che ha
dovuto aspettare fino a 18 anni perché la legge se ne accorgesse.
Se questo è il modo in cui il
governo pensa di affrontare l’emergenza che in modo del tutto evidente si sta
determinando con l’epidemia di piccole e grandi infamie ai danni dei migranti,
dei profughi, dei rom, degli italiani con la pelle d’un altro colore, degli
omosessuali, dei diversi d’ogni diversità siamo davvero nei guai. Qualcosa si è
rotto nella società, come è accaduto in altri momenti storici, anche recenti, e
in altre parti del mondo, anche vicine. Rotture del genere avvengono durante le
crisi gravi della convivenza civile e della sua strutturazione democratica.
Spesso prima delle guerre. Pensiamo ai Balcani, pensiamo al Medio Oriente.
L’emergenza, per Matteo Salvini,
è “una sciocchezza”: l’unico allarme “sono i reati degli immigrati”. Qualcuno
si stupisce per questa dichiarazione? No: conosciamo l’uomo. Lo abbiamo visto
con la maglietta di Casa Pound e abbiamo letto che di se stesso dice “Molti
nemici, molto onore”. Una frase che fu imbecille nella bocca di Benito
Mussolini, quando ancora non c’erano i tweet, e che è doppiamente imbecille
oggi quando l’imbecillità viaggia con la miracolosa pervasività della Rete.
Salvini è un fascista. Ora
qualcuno salterà su a spiegarci che tecnicamente non è proprio così, che il
fascismo è un fenomeno che ha una sua precisa connotazione storica e
ideologica, che il populismo (anche quello più becero) è un’altra cosa. Sì, è
vero. Scusate. Ma nell’anima, nel profondo del significato che viene trasmesso,
nell’intenzione, nella sua ottusa malvagità, il messaggio che ogni giorno
Salvini invia agli italiani è un messaggio fascista. Non diverso, se non per il
grado di impudenza, da quello mandato da quel tipaccio che intervistato alla tv
diceva che certo, hanno fatto bene a sparare alla bambina rom e peccato che si
trattava di pallini e non di proiettili veri (a proposito: l’apologia di reato
non viene più perseguita?).
Salvini è un fascista. È così
grave? Non ce ne sono tanti, di fascisti, intorno a noi? Non ce ne sono sempre
stati e l’unica differenza è, semmai, che oggi hanno rotto l’argine dei tabù,
si proclamano per quello che sono, sguazzano nel politically incorrect quanto
noi, pavidi buonisti, galleggiavamo sulla correttezza?
Sì. È grave. Perché Matteo
Salvini è il vicepresidente del Consiglio e il ministro dell’Interno della
Repubblica italiana, che è nata dalla Resistenza al fascismo. Perché con le sue
parole e i suoi comportamenti tradisce l’Italia e la sua Costituzione, nello
spirito ma anche nella lettera. Il fatto che raccolga un grande consenso e che
esso sia (finora) in crescita non cancella questo indiscutibile fatto. Non solo
perché il suo consenso comunque rappresenta una minoranza degli elettori, del
“popolo” come piace dire a lui, ma anche perché nessuna legittimazione cancella
l’obbligo del rispetto della legalità. Altrimenti dovremmo pensare che anche
Mussolini, Hitler, Stalin e chissà quanti altri dittatori ebbero il diritto
dalla loro parte, visto i plebisciti da cui si fecero confermare a furor di
popolo (appunto).
Salvini è un problema per la
democrazia. Né il pericolo che rappresenta è minimamente bilanciato dal fatto
che non sia al governo da solo. I contrasti tra la Lega e i Cinquestelle sono
molti e molto duri, ma la democrazia parlamentare, il principio della
rappresentanza, è indigesto agli uni e agli altri. E insieme stanno lavorando
per eroderlo, per distruggerlo dall’interno. Sulle rovine prospera la barbarie.
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