Governo
nel tunnel. Restano tanti i nodi politici: il futuro del Tav, la consistenza
del M5Stelle di fronte allo strapotere dell’alleato leghista, la vera natura
del prof. Conte (presidente del Consiglio o ventriloquo a voci alterne?)
Livio Pepino, Il manifesto
28 luglio 2018
28 luglio 2018
Siamo alla sceneggiata. Il
ministro delle infrastrutture Toninelli rompe un troppo lungo silenzio e,
confermando il «contratto di governo», dice, finalmente, che la Torino-Lione va
«integralmente ridiscusso».
Toninelli aggiunge inoltre che,
nell’attesa, «nessuno deve azzardarsi a firmare nulla ai fini dell’avanzamento
dell’opera, perché ciò costituirebbe un atto ostile». Passa un giorno ed è il
presidente del Consiglio Conte a proclamare in modo esplicito che «il Tav non
si farà più».
I promotori dell’opera, i loro
sponsor politici, l’establishment affaristico finanziario che la sostiene e i
grandi media che ne sono espressione entrano in fibrillazione e gridano alla
scandalo, diffondendo fake news su penali miliardarie a carico dell’Italia in
caso di rinuncia all’opera. Dopo una notte di riflessione interviene il
ministro dell’interno Salvini gridando ai quattro venti che il Tav si farà.
Nessuna sorpresa. Che Salvini sia, in versione scamiciata e urlante, il
rappresentante nel governo dei poteri economici del Nord è noto (del resto lo
avete mai sentito, sul Tav, dire cose diverse da Renzi e Delrio o discostarsi
dalla narrazione di Stampa e Repubblica?). E che non ci siano governi amici il
movimento No Tav lo sa e lo proclama da sempre. Tutto vero, ma restano i nodi
politici: il futuro del Tav, la consistenza del M5Stelle di fronte allo
strapotere dell’alleato leghista, la vera natura del prof. Conte (presidente
del Consiglio o ventriloquo a voci alterne?). In attesa di venirne a capo,
alcune puntualizzazioni.
La Torino-Lione è priva di ogni
utilità economica. Lo era fin dalla sua ideazione alla fine del secolo scorso.
Lo è doppiamente oggi. La linea storica è utilizzata per un quinto delle sue
potenzialità e i traffici (ferroviari e stradali) sulla direttrice est-ovest
sono in continuo calo. Lo ammette persino l’Osservatorio della Presidenza del
Consiglio riconoscendo che «molte previsioni fatte 10 anni fa, anche
appoggiandosi a previsioni ufficiali dell’Unione Europea, sono state smentite
dai fatti». Per sostenere l’opera i proponenti ne modificano in toto le ragioni
giustificatrici adducendo la necessità di un «ammodernamento» della linea di
cui non vengono documentati i benefici. In realtà la prosecuzione del progetto
si spiega, oggi, solo con le esigenze di immagine di un ceto politico che
sarebbe travolto dall’abbandono dell’opera e con gli interessi di corto respiro
di chi pensa che da cantieri aperti per decenni (una riedizione della
Salerno-Reggio Calabria) verrebbe, comunque, un po’ di ossigeno a un sistema
economico collassato. Essendo tali motivazioni poco ostensibili, le mosse dei
promotori mirano a mettere le istituzioni di fronte al fatto compiuto.
Per questo si stanno accelerando
i tempi degli appalti per i lavori sulla tratta internazionale (per un importo
complessivo di 5,5 miliardi) pur in assenza di alcuni requisiti indispensabili,
segnalati in apposita diffida di tecnici e amministratori. In parallelo
continua la campagna terroristica fondata sulla bufala di ingenti penali
conseguenti alla rinuncia all’opera, mentre nessuna penale è prevista in
documenti sottoscritti dall’Italia o può derivare da inadempienze contrattuali
(posto che, ad oggi, non sono stati banditi né, tanto meno, aggiudicati appalti
per opere relative al tunnel di base).
Né – superfluo dirlo – ha maggior
fondamento cercare di giustificare nuovi sprechi con quelli (di circa un
miliardo e mezzo di euro) già consumati in danno dei cittadini con opere
propedeutiche.
In questo quadro la strada è una
sola. Passare dalle parole ai fatti e aprire immediatamente il confronto con il
Governo francese sull’opportunità di proseguire nell’opera. Sapendo che la
Francia, a differenza di quanto si dice, è anch’essa ferma a lavori per
«discenderie» e non mostra alcuna fretta nel procedere, manifestando dubbi
destinati a crescere se l’Italia metterà sul tappeto, insieme all’inutilità
dell’opera, l’evidente iniquità di una distribuzione delle spese per la tratta
internazionale (57,9 per cento a carico dell’Italia e 42,1 per cento a carico
della Francia benché il tunnel insista per l’80 per cento in territorio
francese) prevista al solo scopo di rendere appetibile l’impresa per un partner
riluttante (l’argomento potrebbe sembrare secondario, ma non è il ministro
Salvini a ripetere ogni giorno, a proposito e a sproposito, «prima gli
italiani»?).
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