Vincenzo Vita, Il manifesto
28 luglio 2018
Attenzione al linguaggio. Ciò che
sta avvenendo sulle nomine dei vertici della Rai non una «normale» spartizione
di poltrone né una lottizzazione vecchio stile.
Tutt’altro.
Con il termine lottizzazione si
indicava, con qualche giusto disprezzo, la pratica dei partiti (in particolare
quelli del centrosinistra degli anni settanta-ottanta) di spartirsi le
postazioni di comando.
Tuttavia, a parte la qualità
delle persone indicate, quel metodo deprecabile seguiva un percorso: sedi di
partito, commissione di vigilanza, consiglio di amministrazione.
E nel tragitto succedeva pure che
un nome cambiasse perché considerato inadeguato o inopportuno.
Nostalgia? Niente affatto. Nel
1993 con fatica passò una legge innovativa, che toglieva lo scettro alle forze
politiche per consegnarlo ai presidenti di camera e senato. Ma la legge dell’ex
ministro Gasparri del 2004 abrogò il tutto.
Fino al pasticcio del 2015 voluto
dalla maggioranza di Matteo Renzi, che ha dato il potere tout court al governo.
E, infatti, ciò che sta accadendo è figlio proprio dell’attribuzione
all’esecutivo di funzioni abnormi. Contro una consolidata giurisprudenza
costituzionale.
Ecco perché è improprio evocare
la lottizzazione.
L’attuale forma del potere è un
vero e proprio assalto guerresco, deciso sì e no da quattro persone e, forse,
con qualche suggerimento arrivato da altri luoghi.
Dopo la vicenda di Cambridge
Analytica e i soprassalti filo-putiniani testi e sottotesti si complicano.
Intendiamoci, finora la decisione
proveniente da palazzo Chigi riguarda i due consiglieri mancanti, dei quali uno
– Fabrizio Salini, ex Fox, La7, Stand by me società che lavora con la Rai – è
indicato come il nuovo amministratore delegato, e l’altro – Marcello Foa, ex de
il Giornale e della società che edita il Corriere del Ticino – al momento è
solo un componente del cda di viale Mazzini.
Come hanno fatto notare la
federazione della stampa e il sindacato dei giornalisti della Rai. Il designato
Foa sarà pure proposto dai suoi colleghi come presidente ma dovrà ottenere il
gradimento dei due terzi della commissione parlamentare.
Non sarà affatto una passeggiata
e per lo meno intempestiva è la sicurezza esibita dalla biografia che si
leggeva ieri su Wikipedia già nel primo pomeriggio.
Il conclamato sovranismo, il
giudizio sul presidente Mattarella, un certo leghismo da tifoseria come emerge
da twitter non giovano certamente al profilo di una presidenza teoricamente di
garanzia.
Diventerà davvero presidente?
È sicuro, invece, che il servizio
pubblico cambierà seccamente e neppure resisteranno le tradizionali rose di
nomi per reti e telegiornali, costruite con troppe analogie con il passato.
Ci sarà un colpo di spugna e ne
vedremo delle belle. E sì, la Rai sarà non più un territorio di compensazione e
di compromesso, bensì la prima fila della lotta gialloverde per l’egemonia e
per il controllo sull’informazione.
Il vecchio «partito Rai» è
devastato e i riti del servizio pubblico cambieranno i loro breviari. Una rottura
«epistemologica», direbbe la filosofia.
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