Nuovi
elementi rivelano le complicità dello Stato e il ruolo di Licio Gelli
nell'attentato che il 2 agosto del 1980 è costato la vita a 85 innocenti. Ve li
raccontiamo nel numero in edicola da domenica 29 luglio
Paolo Biondani e Giovanni Tizian, L’Espresso
30 luglio 2018
30 luglio 2018
Il capo della P2, i finanziamenti
e il misterioso documento “Bologna”. Le protezioni che i servizi hanno fornito
ai terroristi neri coinvolti nella strage e un secondo covo rimasto finora
segreto. L'ombra di Gladio sul curriculum criminale del quarto neofascista
sotto processo con l'accusa di essere uno degli esecutori.
Insomma, sulla bomba del 2 agosto
1980 alla stazione dei treni di Bologna che ha ucciso 85 innocenti, i misteri
sono ancora molti. Conosciamo gli esecutori, ma non i nomi degli ideatori
politici. Per questo attentato, il più sanguinario, c’è un processo in corso
contro un terrorista di destra accusato di essere il quarto complice, dopo i
tre stragisti già condannati. E c’è una nuova indagine, ancora aperta, sui
mandanti occulti
A 38 anni dalla strage,
L’Espresso in edicola a partire da domenica 29 luglio, pubblicherà un ampio
servizio esclusivo sull’attentato: con tutte le sentenze e altri documenti,
finora inediti, che disegnano la stessa trama nera, una strage di Stato. La
mano di alcuni uomini dei servizi fedeli non alla Costituzione ma a Licio
Gelli, il fondatore della loggia segreta P2.
Prendiamo, per esempio, Valerio
Fioravanti, il terrorista di destra condannato in via definitiva come esecutore
materiale dell’attentato alla stazione. Vito Zincani, il giudice istruttore
della maxi-inchiesta sulla strage, ricorda bene le vecchie carte ora ritrovate
da L’Espresso: «Fioravanti aveva rubato un’intera cassa di bombe a mano,
modello Srcm, quando faceva il servizio militare a Pordenone. Era stato ammesso
alla scuola ufficiali quando risultava già denunciato e implicato in gravi
reati. Per capire come avesse fatto, abbiamo acquisito i suoi fascicoli. E
negli archivi della divisione Ariete abbiamo trovato un documento dell’Ufficio
I, cioè dei servizi militari: indicava proprio Fioravanti e Alessandro
Alibrandi come responsabili del furto delle Srcm. Quelle bombe sono state poi
utilizzate per commettere numerosi attentati. Sono fatti accertati, mai
smentiti».
C'è poi l'imputato del nuovo
processo di Bologna, Gilberto Cavallini. Al centro di un caso ancora più
inquietante. Il mistero di una banconota spezzata. Il 12 settembre 1983 i
carabinieri perquisiscono a Milano un covo di Cavallini. Tra le sue cose,
elencate nel rapporto, il reperto numero 2/25: una mezza banconota da mille
lire, con il numero di serie che termina con la cifra 63. Tra migliaia di atti
ufficiali dell’organizzazione Gladio,la famosa rete militare segreta
anticomunista, L'Espresso ha recuperato le foto di banconote da mille lire,
tagliate a metà, e i fogli protocollati che spiegano a cosa servivano: erano il
segnale da utilizzare per accedere agli arsenali, per prelevare armi o
esplosivi, in particolare, dalle caserme in Friuli. Su una foto si legge il
numero di una mezza banconota: le ultime due cifre sono 63. Le stesse delle mille
lire spezzate di Cavallini.
Infine il ruolo del Gran Maestro
della P2: Licio Gelli, morto nel 2015, senza aver scontato neppure un giorno di
carcere per il depistaggio ordito dopo la strage di Bologna. A suo carico,
oggi, emergono nuovi fatti, su cui indaga la Procura generale nel filone sui
mandanti. E che L'Espresso è in grado di rivelare: tra le sue carte dell’epoca
sequestrate a Gelli ora emerge un documento classificato come «piano di
distribuzione di somme di denaro». Milioni di dollari usciti dalla Svizzera
proprio nel periodo della strage e dei depistaggi, tra luglio 1980 e febbraio
1981. Il documento ha questa intestazione: «Bologna - 525779 XS». Numero e
sigla corrispondono a un conto svizzero di Gelli. Altre note, scritte di pugno
da Gelli, riguardano pacchi di contanti da portare in Italia: solo nel mese che
precede la strage, almeno quattro milioni di dollari.
A chi erano destinati quelle
somme indicate nel documento “Bologna”? Paolo Bolognesi, il presidente
dell’associazione dei familiari delle vittime del 2 agosto 1980, è convinto di
una cosa: «Mani esterne hanno sempre lavorato contro la verità. Esiste ancora
un pezzo delle nostre istituzioni che rema in direzione contraria alla verità»
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