Si
aggravano in modo preoccupante le condizioni di vita delle popolazioni Maasai
che abitano le pianure sconfinate del Serengeti, uno dei parchi naturalistici
più spettacolari del continente, vittime di politiche conservazioniste del
governo, attuate a suon di sfratti forzati, dietro le quali si celano interessi
stranieri nel business del turismo di lusso.
28 luglio 2018
La natura del Parco Nazionale del
Serengeti, nel nord della Tanzania, attrae ogni anno turisti da tutto il mondo.
A fare le spese delle politiche di conservazione del paese africano sono le
popolazioni semi-nomadi Maasai, almeno secondo il recente rapporto pubblicato
dal centro studi californiano The Oakland Institute. In “Losing the Serengeti:
the Maasai land that was to run forever” (Perdere il Serengeti: la terra dei
Maasai che doveva correre per sempre) il centro studi denuncia l’impatto che
hanno avuto, e che hanno ancora oggi, le leggi sulla conservazione e il turismo
sulle popolazioni che abitano le terre del nord della Tanzania. Attraverso
missioni sul campo, interviste e analisi, i ricercatori fanno emergere un
quadro preoccupante, per il peggioramento delle condizioni di vita dei Maasai
nell’area.
Secondo le testimonianze raccolte
dall’Oakland Institute ai pastori semi-nomadi viene impedito l’accesso alle
fonti d’acqua e alla terra, utilizzata sia per il pascolo che per la
coltivazione di sussistenza. La polizia avrebbe anche fatto uso della violenza
per impedire l’accesso alle aree protette. Alcuni testimoni hanno raccontato ai
ricercatori di aver visto bruciare le proprie abitazioni e aver subito il
sequestro delle mandrie da parte dei poliziotti. Capi tradizionali Maasai e
insegnanti sarebbero stati arrestati per aver protestato contro la politica di
sfratti del governo.
I ricercatori del centro studi
puntano il dito contro lo stato che avrebbe favorito, fin dalle prime leggi
sulla conservazione, gli investimenti di società straniere. Dodoma, infatti,
dalla metà del ventesimo secolo, avrebbe privato progressivamente i Maasai
delle loro terre, confinandoli in aree sempre più piccole. Secondo il governo
invece, le leggi hanno avuto come unico scopo la conservazione dell’ambiente
naturale e la protezione della fauna selvatica.
Il report si concentra sull’area
di Loliondo, nel distretto di Ngorongoro, in cui operano due compagnie: la
Tanzania Conservation Ltd, una controllata della società di Boston Thomson
Safaris, specializzata in turismo, e Ortello Business Corporation, originaria
degli Emirati Arabi Uniti.
La compagnia statunitense ha
ottenuto, nel 2006, una concessione di circa 5 mila ettari, per 96 anni. Un
affitto di lunghissimo periodo contestato da alcuni villaggi della zona che,
nel 2013, hanno intentato una causa contro la compagnia parastatale Tanzania
Breweries Ltd (TBL) che concesse il terreno alla Tanzania Conservation Ltd.
Secondo i querelanti, infatti, la TBL avrebbe ottenuto le terre, nel 1984,
senza il consenso della popolazione e senza alcuna azione compensativa. La
corte, nel 2015, diede ragione ai Maasai solo in parte. Dei 5.000 ettari
concessi alla Tanzania Conservation Ltd, infatti, circa mille ettari sarebbero
stati dati illegalmente, perché non appartenenti alla compagnia parastatale. La
decisione del tribunale però non previde alcun rimborso per i danni subiti dai
Maasai. Nel 2017 i villaggi hanno presentato ricorso in appello e il caso è
ancora in discussione.
Secondo i ricercatori
dell’Oakland Institute la popolazione della zona vivrebbe in un clima di paura
nei confronti delle autorità, e nel timore di sfratti e violenze. La compagnia
Thomson Safaris, dal canto suo, ha rigettato ogni accusa, definendo false le
informazioni riportate nel documento. In alcune dichiarazioni pubbliche la
compagnia statunitense ha sottolineato, inoltre, il suo impegno nell’impiego di
personale Maasai, all’interno della sua controllata, e ha assicurato di
garantire il costante accesso all’acqua e ai pascoli per le comunità dell’area.
Diversa la vicenda che riguarda
la Ortello Business Corporation, che controllerebbe 150.000 ettari nella zona
di Loliondo. Per 25 anni quest’area sarebbe stata la riserva di caccia della
famiglia reale degli Emirati. Una concessione che avrebbe permesso anche la
realizzazione di una pista di atterraggio per garantire l’arrivo degli aerei
privati. La licenza di caccia è stata revocata nel 2017, dopo lunghi anni di
proteste. Nonostante la revoca, secondo le testimonianze raccolte dall’Oakland
Istitute, la compagnia sarebbe ancora presente nella regione.
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