Iniziamo
oggi a pubblicare una serie di approfondimenti sulla vicenda della possibile
chiusura della Casa Internazionale delle Donne a Roma.
Alessio Ramaccioni, Contropiano
27 luglio 2018
La questione rientra a pieno
diritto nello scontro tra legalità e diritti inaugurata a Roma dalla giunta
Marino con la famigerata delibera 140 del 2015, proseguita dal Commissario
Tronca e resa modello di gestione da parte dell’amministrazione pentastellata.
Il Comune – in breve – vuole 800
mila euro di arretrati, ignorando sia il valore e l’utilità sociale della
struttura, sia i soldi spesi per la manutenzione, sia il valore anche economico
dei servizi erogati negli anni alla collettività
La scorsa settimana è stata
approvata in Aula Giulio Cesare una mozione che chiede la “messa a norma” della
gestione dello stabile, che in poche parole significa liquidazione
dell’esperienza della Casa Internazionale delle Donne e la messa a bando del
servizio.
Insomma, un nuovo capitolo della
messa a profitto del patrimonio pubblico cittadino che viene ormai regolarmente
sottratto alle strututre che da anni operano nel sociale ed offrono servizi
gratuiti o a basso costo alla collettività. Una linea di condotta politica ben
precisa che sta trovando nel legalitarismo “duro e puro” del Movimento Cinque
Stelle un volano perfetto.
In questa prima parte dello
Speciale proponiamo una intervista con Francesca Koch, presidente della Casa
Internazionale delle Donne.
Koch, proviamo a riassumere gli
avvenimenti di questi ultimi mesi fino ad arrivare all’approvazione della
mozione Guerrini.
“La storia inizia a novembre, nel
momento in cui abbiamo ricevuto improvvisamente l’ingiunzione di pagamento di
un debito pregresso di più di 800 mila euro, pena la chiusura. A quel punto si
è aperto un tavolo con l’assessore al Patrimonio, che ci rassicurò rispetto
alla possibilità di uno sgombero: finchè era in corso la trattativa, non erano previste
soluzioni estreme.
Siamo andati avanti fino a
gennaio: noi abbiamo consegnato una memoria in cui ribadivamo le nostre
proposte insieme alla nostra visione della situazione.
Secondo noi il valore del debito
va decurtato almeno della metà, in nome dei crediti che la Casa Internazionale
delle Donne vanta con il comune di Roma: parliamo della manutenzione, dei
lavori di restauro deliberati e non finanziati… Noi abbiamo prodotto questa
documentazione all’Assessorato al Patrimonio ed abbiamo lanciato delle
proposte, a cominciare dall’utilizzo della legge sul terzo settore che prevede
il canone gratuito o quantomeno solo simbolico per le realtà che fanno attività
sociale.
A quel punto abbiamo iniziato ad
attendere le risposte, che in questi mesi non sono mai arrivate. Forse
sull’onda della mozione Guerrini qualcosa si è sbloccato, e domani (oggi, ndr)
andremo a sentire cosa hanno da dirci”.
Si
parla di soldi e di burocrazia, ma il problema è più di natura politica,
giusto?
“Beh, l’argomento è un
contenzioso finanziario, però è chiaro che il problema non è quello. Il
problema sta nella volontà di questa giunta di fare piazza pulita e di chiudere
con tutte le realtà associative romane che agiscono nel sociale, tanto è vero
che la nostra situazione è simile a quella di molte altre realtà che si sono
viste revocare convenzioni, hanno ricevuto ingiunzioni di pagamento della sede
a prezzi di mercato, hanno subito il mancato rinnovo di convenzioni scadute… Un
trattamento molto rigido di cui non si capisce il senso: dal mio punto di vista
una giunta dovrebbe far tesoro delle realtà che collaborano al benessere ed
alla vita della città.
Noi ad esempio riteniamo di
essere una risorsa per il Comune di Roma, non una realtà solo morosa: è questo
punto di vista che non riusciamo a far accettare, e che permetterebbe di
spostare il ragionamento su un piano di carattere più politico che
ragionieristico, con al centro del dibattito le prospettive della città”.
L’approccio legalitario e
“ragionieristico”, come lo hai definito, sembra una delle caratteristiche più
evidenti di questa giunta, che appare molto rigida rispetto questioni e temi –
come quello sociale appunto – che forse necessiterebbero di un atteggiamento
diverso.
“Molta rigidità, si, e anche – se
posso dire – una visione asfittica, limitata. Una città non si gestisce
guardando solo i conti, ma valutando anche il valore anche economico, tra
l’altro, delle attività svolte.
Nel nostro caso, ad esempio, lo
stesso Ufficio del Patrimonio aveva riconosciuto il valore economico dei nostri
servizi, valutati intorno ai 700.000 euro l’anno. Di che parliamo, quindi? Si
tratta di giocare con le cifre, anche perchè poi noi non siamo solo una realtà
che offre servizi, siamo un soggetto a carattere internazionale, abbiamo
relazioni con tutte le reti internazionali… Tutto questo ha anche un valore
economico di cui la Giunta farebbe bene a tener conto”
Il fatto di anteporre i conti e
la legalità ai servizi e all’effettivo benessere della collettività è iniziato
– nella nostra città – con la Giunta Marino. L’attuale amministrazione ha
estremizzato il concetto, facendolo coincidere con il legalitarismo che è
caratteristica del Movimento 5 Stelle…
“Più che caratteristica appare
come una gabbia! La legalità astratta fa scempio di tutta la giustizia sociale:
penso agli sgomberi delle famiglie di via Curtatone, di via Quintavalle… Cosa
si è ottenuto, applicando il principio di legalità in modo così assoluto? Si è
aumentato il disagio sociale e l’ingiustizia sociale”.
Tornando
alla questione della Casa Internazionale delle Donne: si tratta “solo” di
legalitarismo o intravedi una volontà politica rispetto alla fine di quella
storica esperienza?
“Non tocca a me dirlo. Vedremo
nei prossimi giorni nquale sarà la risposta. Ovviamente ci auguriamo che non ci
sia una volontà politica: loro hanno sempre detto che la volontà di proseguire
il progetto c’è, poi… le chiacchiere stanno a zero. Staremo a vedere i fatti, a
partire da domani
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