Decine di
migliaia di persone sono scese in strada per protestare contro la legge sulla
maternità surrogata. I palestinesi e gli altri dovranno aspettare il loro
turno. Copertina: i partecipanti Pro-LGBT partecipano a una manifestazione a
Tel Aviv il 22 luglio 2018 (AFP)
Gideon Levy, Invictapalestina
26 luglio 2018
Circa 80.000 persone, per la
maggior parte giovani, hanno affollato Rabin Square lo scorso sabato sera. La
piazza più grande di Tel Aviv non aveva visto un raduno così grande da molto
tempo; certamente non per una manifestazione di protesta.
La manifestazione ha chiuso una
giornata di proteste durante le quali in migliaia hanno marciato per le strade
della città. Le principali vie sono state bloccate e molte persone hanno
scioperato con la benedizione dei loro datori di lavoro. Anche alcune delle
maggiori compagnie del Paese hanno aderito allo sciopero. Dopo anni senza
proteste pubbliche di tali dimensioni, la società israeliana ha mostrato segni
di risveglio dal suo sonno profondo.
Gli oltre 160 Palestinesi
disarmati che sono stati uccisi sul confine di Gaza; il crudele assedio della
Striscia; l’intensificarsi della discriminazione contro gli arabi in Israele;
le sfide che devono affrontare i disabili israeliani, i richiedenti asilo africani e i lavoratori
delle fabbriche israeliane chiuse: nessuno di questi problemi è stato in grado
di suscitare anche solo una minima parte delle proteste che hanno interessato
Israele lo scorso fine settimana.
Progresso per la comunità LGBT
Quindi chi è riuscito a destare
Israele dal suo letargo di indifferenza? La comunità LGBT. Gli Israeliani sono
scesi in piazza, per la prima volta dopo anni, dopo che la legge sulla
maternità surrogata appena approvata dalla Knesset non ne includeva il sostegno
per le coppie gay (o per gli uomini single). Ciò ha provocato, e continua a
provocare, grande rabbia.
La comunità LGBT in questo paese
ha fatto molta strada negli ultimi anni, diventando uno dei gruppi più trendy e
potenti. Il suo progresso è il risultato di uno sforzo prolungato e le sue
conquiste sono motivo di orgoglio.
Ma resta ancora molto da fare. I
gay, le lesbiche e le persone transgender in Israele sono ancora discriminati e
non godono della piena eguaglianza. Non possono sposarsi nel loro Paese e in
certi ambienti della società sono ancora oggetto di scherno. Ma la distanza che
hanno percorso per raggiungere la loro attuale posizione di potere, per
diventare parte del consenso israeliano, è impressionante.
Dozzine di importanti società
hanno permesso ai loro lavoratori di scioperare. Hanno difeso la loro decisione
con il sostegno di addetti alle public relation altamente retribuiti. Non hanno
fatto lo stesso per i disabili, o per i richiedenti asilo, e certamente non per
i Palestinesi sotto occupazione. Sanno che andare d’accordo con la comunità
LGBT è una mossa sicura, che supportare la richiesta di uguali diritti per gli
israeliani LGBT suscita grande consenso. Sostenere la comunità LGBT in Israele
è il modo migliore per placare la propria coscienza.
Tuttavia c’è qualcosa di sospetto
su questa solidarietà delle grandi compagnie. Cosa stavano rivendicando
esattamente con questa protesta? Giustizia? Uguaglianza? Ridicolo. Permetteranno ai loro dipendenti di
dimostrare e scioperare per altre cause, lasciando che ogni lavoratore “segua il suo cuore”? Ancora
più ridicolo.
Queste sono, comunque, domande
insignificanti. La comunità LGBT è riuscita a coinvolgere nella sua lotta il
settore economico; complimenti per il successo della loro campagna.
La
“comfort zone” di Israele
Ciò che rimane molto critico
nella società israeliana è l’ordine delle priorità, la sua bussola sociale e
morale, la sua coscienza collettiva. Israele ha scioperato per una questione,
la maternità surrogata, che in termini oggettivi non è tra le più urgentemente
meritevoli di protesta, ha scioperato per un gruppo che non è in cima alla
lista degli emarginati, privi di diritti, oppressi e discriminati: la comunità
LGBT.
La verità è che oggi ci sono
pochi altri gruppi potenti e ben collegati come la comunità LGBT. Il relativo
successo di questo gruppo non dice nulla sul suo dovere di continuare la lotta
per i propri diritti, né sulla giustizia del suo percorso.
Lo sciopero dice invece tutto
sulla società israeliana, che ha scelto ancora una volta di fuggire nella sua
“comfort zone”, dove non viene pagato alcun prezzo per le proteste, all’interno
com’è del regno del “permesso e
accettato”, dove si tratta solo di far sì che Israele si senta bene con sé
stesso, abbellisca la sua immagine e,
soprattutto, pulisca gli strati di
sporcizia che sporcano la sua coscienza a causa dei suoi crimini.
Israele avrebbe dovuto
scioperare, con il sostegno delle principali corporazioni, contro la legge
dello stato-nazione approvata la scorsa settimana dalla Knesset. Avrebbe dovuto
scioperare in solidarietà con i residenti arabi di questo Paese dopo che la
Knesset ha loro sputato in faccia mentre
presentava un comunicato ufficiale nel
quale si afferma che sono cittadini di seconda classe.
Quale profonda guarigione, che
infusione di speranza, sarebbe stata prodotta da uno sciopero di tale portata,
in sintonia con Sakhnin e Nazareth, Umm el-Fahm e Taibeh, e come segno di
solidarietà con tutti i cittadini arabi di Israele per i quali la legge dello
stato-nazione è un pugno nello stomaco!
Che atmosfera di fratellanza
avrebbe potuto scaturire; quale frutto prezioso per l’intera società sarebbe
stata una dimostrazione di solidarietà. Ma ciò richiederebbe coraggio e una
chiara bussola morale, due cose che mancano tra le aziende leader del paese
come nell’intera società israeliana nel suo complesso.
Lavaggio
del cervello alimentato dall’odio
Nessuno si aspetta più che
Israele organizzi proteste di massa contro l’occupazione, l’assedio o gli
insediamenti nei territori: quasi tutti in Israele sono sottoposti al lavaggio
del cervello e dell’odio.
Ma la legge dello stato-nazione,
approvata dopo poche ore dalla legge sulla maternità surrogata, è di gran lunga
la più decisiva, fatale, oltraggiosa, discriminatoria ed escludente. Non
regolamenta un requisito sulla genitorialità. Legifera un requisito per
l’appartenenza al proprio Paese. È, per alcuni israeliani, un cartello che
segna la loro uscita dall’appartenenza qui. Segnala a tutti gli Israeliani che
d’ora in poi vivranno in uno stato di apartheid, non solo nella pratica, ma
anche nella legge.
Anche gli sviluppi sono diversi.
La comunità LGBT è sulla strada del successo. Un’altra dimostrazione, un’altra
votazione, e la maternità surrogata,
quel percorso problematico alla genitorialità a volte visto con più repulsione
che la prostituzione, sarà approvata anche per gli uomini.
La legislazione contro gli arabi
ci sposta esattamente nella direzione opposta. La legge dello stato nazionale è
solo l’inizio di ciò che sta arrivando. C’è una chiara corsa in avanti, e nulla
può fermarla. Una protesta di massa avrebbe potuto segnalare un cambiamento e
bloccare la valanga.
La legge dello stato-nazione,
tuttavia, era di interesse per relativamente pochi israeliani e ne ha portati
ancora meno nelle strade, anche se avrebbe dovuto toccare la coscienza di ogni
israeliano, ebreo o arabo, che abbia a cuore il tipo di Paese in cui vive, del
tipo di regime in cui vive.
La legge dello stato-nazione ha
segnato il cammino che Israele sta percorrendo, definendo a parole, in diritto,
ciò che era già noto: Israele è uno stato di apartheid, d’ora in poi non solo
nei Territori Occupati, ma nell’intero paese tra il fiume Giordano e il Mar
Mediterraneo.
Evasione
dalla realtà
Questo fatto non ha offeso la
maggior parte degli Israeliani, né i suoi leader aziendali, né i suoi
cittadini. Nel profondo del loro cuore, forse, sanno verso cosa sta andando la
loro nazione, ma non hanno il coraggio di resistere “alla mandria al galoppo”
che sostiene questo governo di estrema destra.
Forse è questo il motivo per cui
queste società hanno sostenuto in modo così evidente il diritto dei gay alla
maternità surrogata. Forse pensavano che se si fossero uniti a questa lotta
relativamente più marginale, la loro coscienza un giorno li avrebbe disturbati
di meno. O forse speravano di purificare la macchia dei loro crimini. Ma questa
è un’illusione, ovviamente.
L’incredibile fuga dalla realtà,
la negazione e la repressione di Israele sono visibili ovunque: nell’apatia per
l’occupazione, nell’ignoranza, nelle menzogne che la
gente racconta a sè stessa e
nell’indifferenza per ciò che sta accadendo, e ora anche nelle
proteste.
Questo è un fenomeno nuovo e
affascinante: l’evasione dalla realtà. Questo è quello che è successo questa
settimana in Israele. Immaginate cosa avremmo pensato se in Sud Africa durante
l’era dell’apartheid i bianchi fossero scesi in piazza per difendere il diritto
degli uomini di diventare genitori attraverso la maternità surrogata, mentre la
popolazione nera continuava a vivere sotto un regime orrendo. È proprio quello
che è successo in Israele questa settimana.
I veri oppressi possono
aspettare. Israele sta marciando nel gay pride.
Trad. Grazia Parolari –
Invictapalestina.org
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