giovedì 26 luglio 2018

ITALIA Altro che predelle, la scuola deve diventare centrale nel nostro paese


Redazione Sinistra Italiana 
 26 luglio 2018



I consigli di Ernesto Galli della Loggia per modificare la scuola, pubblicati nei giorni precedenti dal Corriere della Sera, hanno alla base l’idea che alla perdita di autorevolezza dell’istituzione scuola si possa rispondere con una forma strisciante e anche un po’ grottesca di autoritarismo.

E per altro, mi pare non tenga in nessun conto le cause che hanno progressivamente condotto alla perdita di importanza e di centralità della scuola e dell’insegnamento (anche universitario, sia chiaro) nella società italiana.

Non servono a nulla le pedane. Non è sollevando gli insegnanti di qualche centimetro da terra rispetto agli studenti che gli si conferisce quel ruolo che hanno perduto. Non è imponendo ai ragazzi di alzarsi in piedi in forma di saluto ossequioso che si possa pensare di fermare la deriva di insulti e delegittimazione del corpo docente. Non è mutilando le minime residuali forme di democrazia interna alle scuole attraverso l’espulsione delle famiglie dagli organi collegiali che si restituisce alla parola degli insegnanti e della scuola il peso sacrosanto.

Anche perché, vorrei segnalare a Galli della Loggia, già da tempo sono stati introdotti con le diverse controriforme elementi striscianti di autoritarismo: si può leggere diversamente la piena discrezionalità dei dirigenti scolastici sulla scelta degli insegnanti, introdotta dalla buona scuola di Renzi?

Sì, è vero, la scuola ha perso autorevolezza, come sono in crisi di identità e di centralità tutte o quasi le istituzioni formali. Persino la cultura scientifica non ha più il carattere dell’intangibilità che ha quasi sempre avuto, per lo meno dall’Illuminismo in poi. Basti osservare le ondate anti scientifiche nel nostro paese sui temi più disparati che riguardano la salute, la prevenzione medica, la cura. L’elenco è lungo. Ma a questo non si può rispondere con l’imposizione, non serve.

Anche perché la causa di questo decadimento, in particolare nel mondo della scuola, non risiede nelle tanto odiate forme di democrazia, o negli spazi minimi di cogestione. Piuttosto le cause stanno tutte in capo alla classe dirigente di questo paese, che hanno progressivamente delegittimato i docenti.

I quali non hanno solo perso autorevolezza, ma prima di tutto hanno perso il ruolo sociale che hanno sempre avuto.

Qualcuno ha per caso dimenticato la guerra scatenata contro gli insegnanti “fannulloni”, “che lavorano appena 10 mesi all’anno e gli altri due mesi stanno a casa”? O le fesserie del “posto privilegiato”, o delle “ore di lavoro giornaliero da incrementare perché lavorano poco”?

E queste follie sono arrivate in questi anni da autorevoli esponenti politici e ministri.

Quale effetto possono aver avuto su studenti, famiglie e opinione pubblica, mi pare lapalissiano sottolinearlo.

Per non parlare delle diverse riforme che hanno modificato i canali di accesso alla professione, mai concordate con i docenti o con i soggetti in formazione per la professione, e che portavano con sé sempre quell’ombra di inadeguatezza della preparazione e della formazione di chi era in ruolo, o di chi ambiva all’insegnamento.

Le riforme di questi anni, dalla Moratti alla Gelmini, da Profumo fino alla legge 107 hanno tutte contribuito a smantellare l’autorevolezza degli insegnanti e mai hanno affrontato, invece, il tema della rilegittimazione, o dell’ascolto delle necessità, delle cause di un progressivo e lento degrado dell’istituzione.

È l’idea di scuola come istituzione di formazione alla vita ad essere entrato in crisi e con essa anche il ruolo di chi prepara alla cittadinanza. Come è ovvio. Lo si vede anche dagli stipendi degli insegnanti, che gridano vendetta: siamo agli ultimi posti in Europa per stipendi.

In questi anni, il criterio che ha guidato i governi e la politica è stato quello di definire la scuola (e l’università) come luogo degli iperspecialismi che dovevano mettere i giovani immediatamente in relazione con il mondo del lavoro. La scuola è inadeguata, si è sempre più spesso detto. La disoccupazione giovanile è causa dell’inadeguatezza della scuola e dei programmi. E così via, di bestialità in bestialità, si è arrivati a teorizzare quasi sottovoce e con vergogna, che in fondo la scuola (e l’università) non siano proprio centrali nella definizione del percorso lavorativo. Che sia sufficiente qualche avviamento professionale ben fatto, o un corso specialistico definito per accedere a un qualche posto di lavoro precario e pagato poco. Siamo pieni di corsi di formazione di questo tipo.

Come può l’istituzione, alla fine, reggere a questo continuo cannoneggiamento che dura da venti lunghi anni?

Altro che predelle, autorità, decisionismo.

La scuola ha bisogno dell’esatto opposto. A partire dalla definizione del ruolo nella società. Serve a formare cittadini consapevoli, liberi, pronti non solo a lavorare, ma a assumersi la responsabilità pubblica delle scelte che si compiono? Oppure serve a collocare manodopera a basso costo? Se la risposta che ci diamo è la seconda, allora la scuola non serve e non servono gli insegnanti.

Ma la scuola sta nella prima risposta. E spiace constatare sin da subito che passata la campagna elettorale e i propositi rivoluzionari nei programmi, le prime uscite pubbliche del nuovo Ministro all’Istruzione vadano nella direzione della difesa dello status quo: un maquillage alla legislazione della “Buona Scuola”, nuovi investimenti sulle paritarie, mentre la scuola statale versa lacrime amare, senza soldi e senza prestigio sociale. Solo promesse per il futuro sullo scandalo delle scuole lasciate senza dirigenti e senza guida. Il silenzio più profondo sullo scandalo delle classi pollaio. Il solito tran tran negli interventi di edilizia scolastica, mentre i solai continuano a cadere. Il dramma di migliaia di diplomati magistrali drammaticamente ancora in mezzo al guado. Nessuna intenzione di superare il modello imperante e fallimentare di Alternanza Scuola-Lavoro.

La scuola, chi ci lavora, chi la vive, invece hanno bisogno di ascolto, di democrazia e di risorse. Tante risorse, dopo il lungo periodo di tagli selvaggi che l’hanno ridotta allo stremo.

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