giovedì 26 luglio 2018

GAZA L’Unrwa licenzia, Gaza allo stremo scende in piazza


Gaza. Scoppia la rabbia per il taglio di migliaia di posti di lavoro da parte dell’agenzia Onu

Michele Giorgio, Il manifesto 
 26 luglio 2018



«Siamo stanchi di pagare a causa del taglio dei fondi. Spetta all’Unrwa trovare una soluzione che non lasci senza lavoro tante persone». Fa un caldo terribile a Gaza. Amir Meshal, del sindacato dei lavoratori palestinesi dell’Unrwa, suda copiosamente e si asciuga la fronte mentre risponde alle domande dei giornalisti. Ma ha l’energia per urlare la sua rabbia contro la decisione dell’agenzia dell’Onu – che da quasi 70 anni assiste gli oltre cinque milioni di profughi palestinesi nei Territori occupati, in Libano, in Siria e in Giordania – di tagliare un migliaio di dipendenti con contratti temporanei.

APPENA QUALCHE giorno fa Gaza era sul punto di subire una nuova offensiva militare israeliana. Pericolo scongiurato, per ora, da un precario cessate il fuoco raggiunto da Israele e il movimento islamista Hamas.

Ma il timore di una nuova guerra è solo uno dei problemi di Gaza. Le difficoltà si moltiplicano e vanno oltre la penuria di carburante ed elettricità e l’acqua potabile che scarseggia. «I palestinesi soffrono tutti, ovunque, qui a Gaza però siamo vicini al collasso – sottolinea Amir Meshal – Per questo è assurdo mettere in strada da un giorno all’altro centinaia di persone e le loro famiglie. La gente è disperata. Quindi (i vertici dell’agenzia) si diano da fare per colmare il deficit».

Alle sue spalle, all’ingresso del quartier generale dell’Unrwa, un centinaio di persone, in maggioranza donne, scandiscono slogan contro tutti: Israele, Trump, le Nazioni unite, l’Occidente, il mondo arabo che dimentica i palestinesi. E non mancano gli slogan di condanna dell’Accordo del Secolo, il presunto «piano di pace» Usa di cui si parla da un anno ma che Washington esita a presentare. Palesemente sbilanciata, stando alle indiscrezioni, a favore di Israele, l’iniziativa americana è stata respinta seccamente dai palestinesi, anzi il presidente dell’Anp Abu Mazen sostiene di essere riuscito ad affondarla.

LA PROTESTA PALESTINESE, malgrado le lettere di licenziamento consegnate proprio ieri, non sfocia in rabbia. Le cose lunedì erano andate in modo ben diverso quando i lavoratori licenziati avevano bloccato gli edifici dell’Unrwa costringendo Matthias Shamali, il direttore operativo dell’agenzia a Gaza, a barricarsi nel suo ufficio per 14 ore mentre in strada la polizia tratteneva a stento i dimostranti che chiedevano ai dipendenti fissi dell’agenzia di unirsi alla loro lotta, perché presto o tardi si ritroveranno anch’essi senza lavoro. L’Unrwa ripete di non poter fare diversamente davanti a un deficit di circa 200 milioni di dollari frutto della riduzione delle donazioni internazionali. Assicura che manterrà i principali servizi forniti ai rifugiati palestinesi ma dovrà ridurre alcuni programmi in Cisgiordania e Gaza. Il suo portavoce, Sami Mashasha, spiega che il buco è stato causato in particolare dal taglio dei fondi Usa all’Unrwa annunciati dall’amministrazione Trump come rappresaglia per la condanna da parte dell’Onu del riconoscimento di Gerusalemme capitale di Israele fatto a dicembre dal presidente americano.

«LE DONAZIONI degli Stati uniti per programmi di emergenza (circa 100 milioni di dollari l’anno, ndr) non esistono più e questo ha costretto l’Unrwa a prendere misure drastiche», ha precisato Mashasha confermando che alla fine di luglio saranno tagliati i contratti temporanei e nei prossimi mesi si interromperanno la distribuzione di buoni alimentari, il programma di assistenza psicologica e le attività delle cliniche mobili.

Gli Usa in totale hanno ridotto di 300 milioni l’anno gli aiuti destinati all’Unrwa, eppure l’altro giorno all’Onu l’ambasciatrice statunitense Nikki Haley ha accusato i Paesi arabi e il resto della comunità internazionale che, a suo dire, non farebbero abbastanza per i palestinesi, mentre ha sorvolato sui tagli agli aiuti americani che stanno mettendo in ginocchio l’Unrwa e ridotto i servizi per i profughi. Non sorprende che la disperazione attraversi le strade di Gaza.

Tre giorni fa a Jabaliya, Ahmed Abu Tahun, venditore ambulante 32enne e padre di cinque figli, ha tentato di togliersi la vita dandosi fuoco. Le sue condizioni sono molto gravi, solo alla famiglia viene concesso di fargli visita in ospedale. È il padre a spiegare il suo gesto.

«AHMAD FACEVA ciò che poteva per sostenere la famiglia – dice – Qui non c’è lavoro, è tutto fermo, Gaza è chiusa. Guadagnava qualcosa con la vendita di giocattoli e dolciumi davanti a un ambulatorio dove vanno bambini. Pochi soldi ma sufficienti a sfamare i figli. Così, quando alcuni poliziotti, gli hanno intimato di spostare la sua bancarella da un’altra parte è crollato e si è dato fuoco».

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