Gaza.
Scoppia la rabbia per il taglio di migliaia di posti di lavoro da parte
dell’agenzia Onu
Michele Giorgio, Il manifesto
26 luglio 2018
«Siamo
stanchi di pagare a causa del taglio dei fondi. Spetta all’Unrwa trovare una
soluzione che non lasci senza lavoro tante persone». Fa un caldo terribile a
Gaza. Amir Meshal, del sindacato dei lavoratori palestinesi dell’Unrwa, suda
copiosamente e si asciuga la fronte mentre risponde alle domande dei
giornalisti. Ma ha l’energia per urlare la sua rabbia contro la decisione dell’agenzia
dell’Onu – che da quasi 70 anni assiste gli oltre cinque milioni di profughi
palestinesi nei Territori occupati, in Libano, in Siria e in Giordania – di
tagliare un migliaio di dipendenti con contratti temporanei.
APPENA
QUALCHE giorno fa Gaza era sul punto di subire una nuova offensiva militare
israeliana. Pericolo scongiurato, per ora, da un precario cessate il fuoco
raggiunto da Israele e il movimento islamista Hamas.
Ma
il timore di una nuova guerra è solo uno dei problemi di Gaza. Le difficoltà si
moltiplicano e vanno oltre la penuria di carburante ed elettricità e l’acqua
potabile che scarseggia. «I palestinesi soffrono tutti, ovunque, qui a Gaza
però siamo vicini al collasso – sottolinea Amir Meshal – Per questo è assurdo
mettere in strada da un giorno all’altro centinaia di persone e le loro
famiglie. La gente è disperata. Quindi (i vertici dell’agenzia) si diano da
fare per colmare il deficit».
Alle
sue spalle, all’ingresso del quartier generale dell’Unrwa, un centinaio di
persone, in maggioranza donne, scandiscono slogan contro tutti: Israele, Trump,
le Nazioni unite, l’Occidente, il mondo arabo che dimentica i palestinesi. E
non mancano gli slogan di condanna dell’Accordo del Secolo, il presunto «piano
di pace» Usa di cui si parla da un anno ma che Washington esita a presentare.
Palesemente sbilanciata, stando alle indiscrezioni, a favore di Israele,
l’iniziativa americana è stata respinta seccamente dai palestinesi, anzi il
presidente dell’Anp Abu Mazen sostiene di essere riuscito ad affondarla.
LA
PROTESTA PALESTINESE, malgrado le lettere di licenziamento consegnate proprio
ieri, non sfocia in rabbia. Le cose lunedì erano andate in modo ben diverso
quando i lavoratori licenziati avevano bloccato gli edifici dell’Unrwa
costringendo Matthias Shamali, il direttore operativo dell’agenzia a Gaza, a
barricarsi nel suo ufficio per 14 ore mentre in strada la polizia tratteneva a
stento i dimostranti che chiedevano ai dipendenti fissi dell’agenzia di unirsi
alla loro lotta, perché presto o tardi si ritroveranno anch’essi senza lavoro.
L’Unrwa ripete di non poter fare diversamente davanti a un deficit di circa 200
milioni di dollari frutto della riduzione delle donazioni internazionali.
Assicura che manterrà i principali servizi forniti ai rifugiati palestinesi ma
dovrà ridurre alcuni programmi in Cisgiordania e Gaza. Il suo portavoce, Sami
Mashasha, spiega che il buco è stato causato in particolare dal taglio dei
fondi Usa all’Unrwa annunciati dall’amministrazione Trump come rappresaglia per
la condanna da parte dell’Onu del riconoscimento di Gerusalemme capitale di
Israele fatto a dicembre dal presidente americano.
«LE
DONAZIONI degli Stati uniti per programmi di emergenza (circa 100 milioni di
dollari l’anno, ndr) non esistono più e questo ha costretto l’Unrwa a prendere
misure drastiche», ha precisato Mashasha confermando che alla fine di luglio
saranno tagliati i contratti temporanei e nei prossimi mesi si interromperanno
la distribuzione di buoni alimentari, il programma di assistenza psicologica e
le attività delle cliniche mobili.
Gli
Usa in totale hanno ridotto di 300 milioni l’anno gli aiuti destinati
all’Unrwa, eppure l’altro giorno all’Onu l’ambasciatrice statunitense Nikki
Haley ha accusato i Paesi arabi e il resto della comunità internazionale che, a
suo dire, non farebbero abbastanza per i palestinesi, mentre ha sorvolato sui
tagli agli aiuti americani che stanno mettendo in ginocchio l’Unrwa e ridotto i
servizi per i profughi. Non sorprende che la disperazione attraversi le strade
di Gaza.
Tre
giorni fa a Jabaliya, Ahmed Abu Tahun, venditore ambulante 32enne e padre di
cinque figli, ha tentato di togliersi la vita dandosi fuoco. Le sue condizioni
sono molto gravi, solo alla famiglia viene concesso di fargli visita in
ospedale. È il padre a spiegare il suo gesto.
«AHMAD
FACEVA ciò che poteva per sostenere la famiglia – dice – Qui non c’è lavoro, è
tutto fermo, Gaza è chiusa. Guadagnava qualcosa con la vendita di giocattoli e
dolciumi davanti a un ambulatorio dove vanno bambini. Pochi soldi ma
sufficienti a sfamare i figli. Così, quando alcuni poliziotti, gli hanno
intimato di spostare la sua bancarella da un’altra parte è crollato e si è dato
fuoco».
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