Stefano Liberti, Fabio Ciconte, Internazionale
31 luglio 2018
L’offerta è di quelle
irrinunciabili: una bottiglia di passata di pomodoro a 39 centesimi di euro, un
litro di latte a 59 centesimi, un barattolo da 370 grammi di confettura
extragusti a 79 centesimi, un pacco di pasta trafilata al bronzo a 49
centesimi. Diffuso a tappeto nelle cassette delle lettere e su internet, il
volantino promuove i saldi sul cibo per attrarre una clientela sempre più
vasta. A firmarlo è il gruppo Eurospin, quello della “spesa intelligente” e del
marchio blu con le stellette, discount italiano con una rete di oltre mille
punti vendita in tutta la penisola e vertiginose crescite di fatturato annuali
a due cifre .
Facendo un rapido calcolo, è
possibile preparare una pasta al pomodoro per quattro persone spendendo quanto
un caffè al bar. Ma come fa il gruppo veronese a proporre prezzi così
stracciati? Dietro le offerte al consumatore, c’è un meccanismo perverso che
finisce per schiacciare intere filiere e che ha conseguenze sulle dinamiche di
produzione e sui rapporti di lavoro nelle campagne: l’asta elettronica al
doppio ribasso.
Questa pratica commerciale, che
somiglia più al gioco d’azzardo che a una transazione tra aziende, è sempre più
diffusa nel settore della Grande distribuzione organizzata (Gdo), soprattutto
tra i gruppi discount. Fa leva sul grande potere che hanno acquisito negli
ultimi anni le insegne dei supermercati, diventate il principale canale degli
acquisti alimentari, e sulla frammentazione e lo scarso potere contrattuale
degli altri attori della filiera.
Come
funziona un’asta online al doppio ribasso
Il meccanismo di base è lo stesso
di un’asta: da una parte c’è la Gdo, che deve acquistare la merce, dall’altra
le aziende fornitrici che fanno l’offerta. Con un’unica, non trascurabile,
variante: vince il prezzo peggiore, non il migliore.
È successo poche settimane fa,
quando Eurospin ha chiesto alle aziende del pomodoro di presentare un’offerta
di vendita per una partita di 20 milioni di bottiglie di passata da 700 grammi.
Una volta raccolte le proposte, ha indetto una seconda gara, usando come base
di partenza l’offerta più bassa.
Alcuni si sono ritirati già dopo
la prima asta. “Non ci stiamo dentro con i costi”, ha detto con fare sconsolato
uno di loro, che ha chiesto di rimanere anonimo. Gli altri sono stati invitati
a fare una nuova offerta, sempre al ribasso, su un sito internet. Si sono
quindi trovati a dover proporre in pochi minuti ulteriori tagli al prezzo base,
in modo da aggiudicarsi la partita.
La
diffusione dei supermercati Eurospin in Italia.
Alla fine di questa gara online,
la commessa è stata vinta da due grandi gruppi per un prezzo pari a 31,5
centesimi per bottiglia di passata. Altre tre aziende hanno invece vinto
un’altra commessa per una fornitura di pelati da 400 grammi grazie a un’offerta
di 21,5 centesimi per bottiglia.
“Se teniamo conto solo della
materia prima, della bottiglia e del tappo, per la passata arriviamo a un costo
di 32 centesimi”, dice un industriale del pomodoro, che preferisce non rivelare
il nome. “Se poi aggiungi il costo dell’energia e del lavoro, allora ci perdi,
e anche tanto”. Eppure, pur di aggiudicarsi la commessa e stare sul mercato,
molti sono disposti a lavorare in perdita, sperando poi di rifarsi
successivamente risparmiando su altre voci di fatturato, come per esempio il
costo della materia prima.
“Il
vero caporale”
Nelle campagne della Capitanata,
in provincia di Foggia, tutto è ormai pronto per la raccolta. Nelle prossime
settimane camion carichi di cassoni cominceranno a fare la spola tra i campi,
che già brillano del rosso dei pomodori maturi, e le varie aziende di
trasformazione. Ma gli agricoltori sono sempre più sconfortati. “Una volta il
pomodoro garantiva ottimi guadagni. Ormai è un prodotto-merce, che si paga
sempre meno”, racconta Marco Nicastro, imprenditore agricolo e presidente
dell’organizzazione di produttori Mediterraneo. “Quando gli industriali
partecipano a queste aste, l’unico modo che hanno per non lavorare in perdita è
rifarsi su noi produttori agricoli, pagandoci il meno possibile la materia
prima. Altro che sfruttamento nei campi da parte nostra, è la grande
distribuzione organizzata il vero caporale!”.
In una specie di effetto a
cascata, ogni attore della filiera finisce per rivalersi su quello più debole:
le aziende strozzate dalle aste cercano di ottenere il prodotto agricolo a
prezzi più bassi e i produttori provano a risparmiare sul costo del lavoro.
“Alla fine ci rimettono i lavoratori, perché sono gli ultimi anelli della
catena”, denuncia Giovanni Mininni, segretario nazionale della Flai-Cgil. “Non
si può pensare di eliminare il fenomeno dello sfruttamento del lavoro in
agricoltura e del caporalato se non si interviene su tutta la filiera, perché
la Gdo abbassa il prezzo a livelli quasi insostenibili per chi produce. Anche
se non può essere una giustificazione, spesso i produttori risparmiano sulla
pelle dei lavoratori, violando leggi e contratti”.
Secondo uno studio
dell’Associazione industrie beni di consumo, nei gruppi discount la pratica
dell’asta incide per circa il 50 per cento delle forniture. Percentuale che si
abbassa leggermente nei supermercati tradizionali. Ma la prassi finisce per
investire interi settori agroalimentari, che si trovano ostaggio di una
politica commerciale basata sul continuo abbassamento dei prezzi. “Il problema
di queste aste online”, dice Giovanni De Angelis, direttore dell’Associazione
nazionale delle industrie conserviere alimentari vegetali (Anicav), “è che non
riguardano solo il gruppo che le lancia e coloro che accettano i prezzi ribassati.
Il prezzo con cui si vince l’asta diventa un riferimento per tutte le altre
insegne della Gdo”.
Le
leggi e i protocolli
Così il pomodoro – simbolo del
made in Italy e della dieta mediterranea – si vede sempre più relegato al ruolo
di commodity, prodotto civetta dal valore irrisorio e che può essere ottenuto
solo riducendo al minimo i costi. “Spesso i nostri associati sono costretti a
partecipare a queste gare per vendere il prodotto. Ma si tratta di pratiche che
favoriscono fenomeni speculativi, su cui sarebbe giusto intervenire in modo
normativo come è stato fatto in altri paesi europei, per esempio in Francia”.
Una legge francese del 2005 ha
regolamentato le aste elettroniche fissando limiti così numerosi da renderle
non vantaggiose. Nel giugno 2017, anche il governo italiano è intervenuto nella
stessa direzione. Il ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali
ha stilato un protocollo per promuovere pratiche commerciali leali lungo
l’intera filiera agroalimentare. In particolare, si chiedeva alla Gdo di
impegnarsi “a non fare più ricorso alle aste elettroniche inverse al doppio
ribasso per l’acquisto di prodotti agricoli e agroalimentari”.
Pur se non vincolante, il
documento è stato firmato dal gruppo Conad e da Federdistribuzione, a cui sono
associate diverse insegne di supermercati. Eurospin non ha aderito. Ai ripetuti
contatti via email e telefonici per avere chiarimenti sia sulla recente asta
del pomodoro sia sulla mancata adesione al protocollo, l’azienda veronese ha
preferito non rispondere.
Una
direttiva contro le pratiche sleali
“Quella delle aste online è una
delle pratiche commerciali sleali su cui è necessario intervenire”.
Vicepresidente della commissione agricoltura del parlamento europeo, Paolo De
Castro è relatore di una proposta di direttiva europea per riequilibrare i
rapporti di forza nella filiera agroalimentare e mettere fine allo strapotere
delle insegne commerciali. “La grande distribuzione organizzata è nelle mani di
pochi gruppi giganteschi, e questo rende molto fragile il potere contrattuale
degli altri attori, che subiscono vere e proprie imposizioni da far west”.
La direttiva vuole stabilire
degli standard di legge a cui tutti gli stati membri devono adeguarsi, con la
possibilità di andare oltre le legislazioni nazionali. “È la prima volta in
vent’anni che si legifera su questo punto. Se la direttiva sarà approvata, e
contiamo di farlo entro la fine della legislatura, nel 2019, scatteranno dei
meccanismi che vieteranno le pratiche più aggressive della Gdo mettendole al
bando”.
Dietro le aste online e le altre
azioni vessatorie messe in atto dai gruppi della Gdo nei confronti dei
fornitori, c’è un’idea di marketing che ha trasformato il cibo in un bene a
basso costo, con i supermercati impegnati in promozioni continue per
accaparrarsi una clientela interessata solo a spendere meno. Un’idea che ha
conseguenze sui produttori, spinti a produrre in quantità sempre maggiori e a
costi sempre minori, risparmiando il più possibile sul lavoro dei braccianti.
“Oltre a far soffrire gli
operatori agricoli, le aste online, il sottocosto e il 3x2 danneggiano gli
stessi consumatori. Siamo sicuri che il prezzo più basso vada veramente a suo
beneficio? Per vendere a quei prezzi, alla fine bisogna abbassare i costi di
produzione e quindi la qualità”, conclude De Castro.
Il non detto del volantino che
propone il sugo a 39 centesimi per “una spesa intelligente” è proprio questo:
dietro a quei prezzi, ci potrebbero essere sfruttamento nei campi e riduzione
al minimo degli standard qualitativi.
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