L’associazione
presenta il rapporto “Enemy of the planet”: l’azienda continua a investire
nell’estrazione di idrocarburi dal sottosuolo, lasciando alle energie pulite
solo le briciole. Nonostante gli annunci, solo in 15 Paesi sui 71 in cui è
attiva sono stati avviati progetti che non riguardano gas o petrolio
Ilaria Sesana, Alter economie
27 luglio 2018
27 luglio 2018
Una giornata di mobilitazione
internazionale per lanciare un allarme “sulla situazione e i danni ambientali
già evidenti e sul pericolo che Eni rappresenta per il Pianeta se non cambierà
direzione di marcia”. Legambiente punta con decisione il dito contro la
multinazionale degli idrocarburi. E lo fa con un dossier dal titolo “Enemy of
the planet. Perché Eni ci riguarda e rischia di diventare sempre più un nemico
del pianeta” presentato giovedì 26 luglio a Polignano a Mare. “Oggi Eni appare
totalmente proiettata verso un futuro di espansione delle estrazioni di
petrolio e gas, con molti annunci e poche azioni concrete di investimento nelle
fonti pulite -spiega il direttore di Legambiente, Stefano Ciafani-. È
un’azienda a prevalente capitale pubblico, per questo motivo chiediamo al
Governo e nello specifico al ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, di indirizzare
le politiche dell’azienda verso le energie rinnovabili”.
Il report fotografa i risultati
ottenuti da Eni nel corso dell’ultimo anno: 1.815 barili di idrocarburi mossi
ogni giorno (+ 3,2% rispetto al 2016), con previsioni di crescita del 4% per il
2018. Un ulteriore espansione del patrimonio esplorativo: con 97mila chilometri
quadrati di nuove superfici distribuite tra Kazakstan, Oman, Cipro, Costa
d’Avorio, Marocco e Messico. In crescita anche gli investimenti: 442 milioni di
euro, di cui 83 milioni in Ricerca e sviluppo per il settore Esplorazione e
produzione (contro i 62 milioni del 2016).
“Oggi Eni appare tutta proiettata
verso un futuro di espansione delle estrazioni di petrolio e gas, lasciando
solo le briciole degli investimenti alle fonti pulite”, scrive Legambiente nel
rapporto. Sottolineando come “persino analisti e operatori finanziari,
tradizionalmente meno attenti alle questioni ambientali, lanciano da qualche
tempo un avvertimento alla platea di portatori di interesse circa la
redditività di imprese incapaci di diversificare rispetto a una strategia
industriale imperniata sul fossile”. Il tutto in un momento storico in cui la
lotta ai cambiamenti climatici ha assunto un ruolo di primo piano anche a
seguito della sottoscrizione degli Accordi di Parigi del 2015.
Gli annunciati investimenti sulle
fonti rinnovabili sono rimasti al palo. Eni opera in 71 Paesi, ma solo in 15 la
multinazionale ha iniziato o concluso la realizzazione di progetti da fonti
rinnovabili, realizzando solo il 10% del piano quadriennale annunciato. In
Italia, invece, si sta lavorando su 14 progetti previsti entro il 2022 per una
capacità complessiva di circa 220 MW di solare. Ma l’unico impianto
fotovoltaico entrato in esercizio è a oggi quello a inseguimento solare di
Ferrera Erbognone (Pavia), presso il Green Data Center di ENI 2.968 moduli per
1 MW di potenza complessiva. “Il solo Comune di Bologna ha installato sui tetti
degli edifici pubblici pannelli solari per 18,4 MW -sottolinea Ciafani-. Lo
scorso febbraio è stato bocciato il progetto per il raddoppio della piattaforma
petrolifera di Vega, di fronte alle coste siciliane. Chiediamo che Eni utilizzi
le risorse stanziate per quel progetto e li investa in progetti sulle energie
rinnovabili in Sicilia”.
Diverse associazioni
ambientaliste (CAN Eurrope, Coordinating Committee for International Voluntary
Service, Green Istria, Climanet, NGO Green Home Montenegro, ODI, Plataforma
Algarve Livre De Petróleo, Alliance of European Voluntary Service
Organisations, Worldwide Friends Iceland) si sono unite a Legambiente nella
realizzazione del dossier e nel chiedere al governo italiano un intervento di
indirizzo sull’attività di Eni. In diversi Paesi -europei e non- la
multinazionale degli idrocarburi è infatti oggetto di proteste da parte della
popolazione. In Portogallo, ad esempio, si registrano proteste per le
intenzioni di Eni e dell’azienda portoghese Galp di avviare attività di ricerca
ed estrazione nell’Algarve, una delle regioni più belle e turistiche del Paese.
Dal 2016 anche diverse associazioni montenegrine protestano contro Eni, la
russa Novatek e il governo locale per la concessione a 30 anni di un’area di
1.228 chilometri quadrati per la ricerca ed estrazione di idrocarburi.
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