Il tetto
che scotta. Il Comune vuole fare al Buon Pastore un centro polivalente di
servizi
Alessandra Pigliaru, Il manifesto
27 luglio 2018
La revoca della convenzione,
annunciata il 25 luglio, tra la Casa internazionale delle donne e il Comune, ha
suscitato come era prevedibile non poche polemiche oltre a una serie di
legittime perplessità sui tempi, i modi e anche l’opportunità di una strada
simile (mai intrapresa dalle giunte precedenti, neppure di destra). Risulta
dunque questa decisione del Campidoglio una infelice eccezione, che va in un
senso preciso: quello della chiusura di spazi vitali per la città.
Ciò che sorprende di più è
tuttavia l’unilateralità preferita dalla giunta Raggi, dalla sindaca
sicuramente, così come dalle assessore Baldassarre, Castiglione e Marzano,
nonché da Gemma Guerrini che, intorno alla mozione per la rimodulazione del
progetto di via della Lungara, ha avuto da subito il pieno sostegno di tutto il
m5s. Nessuna intenzione di trovare un accordo, così è l’impressione generale. A
niente sono servite la memoria presentata (e respinta completamente), le pezze
delle spese sostenute. Insomma che si sia trattato, fin dall’inizio, di una
iniziativa che non prevedesse confronto con il direttivo della Casa ma che
calcasse una direzione già stabilita. Quella di sottrarre il Buon Pastore alle
donne che lo hanno curato e significato per decenni. E che lo hanno fatto
grande. Per poi appropriarsene e farne un bel centro di coordinamento di
servizi da mettere a bando che sortirebbe come unico effetto quello di svuotare
l’esperienza politica della Casa per diminuirla a ruolo puramente ancillare, di
mero contributo tra altri vari ed eventuali. Che questa giunta non riconosca
ciò che è la politica delle donne e il portato dell’esperienza femminista lo
mostrano altri inconfutabili segni, come per esempio l’assurda chiusura –
minacciata da tempo, purtroppo – del centro antiviolenza di Tor Bella Monaca.
Sono danni, difficilmente calcolabili di cui sembra che né le assessore né le
rappresentanti 5stelle vogliano occuparsi, tutte prese invece da un
legalitarismo amministrativo di sorprendente inutilità.
In una nota diffusa nelle scorse
ore, il Campidoglio fa sapere che «l’obiettivo è configurare un polo
multifunzionale a beneficio di tutte le donne»; il che ha tutta l’aria di un
progetto manageriale non bene identificato di cui le entità protagoniste
dovrebbero essere «le donne»; che siano le stesse che non si è avuta la forza
né l’autorevolezza di ascoltare? Di queste contraddizioni, si sono accorti e
accorte da più parti. «La Casa – annunciano i consiglieri regionali del Pd –
rappresenta un luogo di incontro unico al mondo. Grave è il fatto che stiano
cercando di far passare questa revoca alla vigilia di agosto, dopo mesi di
silenzi e rinvii, tentando di limitare l’accesso alle vertenze per chi intende
opporsi a questo attacco alle donne».
Rincara la dose Eleonora Mattia,
presidente della commissione pari opportunità, che specifica quanto «dobbiamo
attivarci immediatamente, in termini non solo popolari ma anche istituzionali,
per fermare una volta per tutte questo assurdo proposito». Reazione stupefatta
proviene dal coordinamento Donne della Cisl di Roma Capitale e Rieti e della
Cisl del Lazio: «Stupisce che proprio una amministrazione guidata da una
Sindaca donna non abbia la sensibilità di operarsi per una moltiplicazione di
questa esperienza meritoria su tutto il territorio e dimostri invece tutto il
suo potere esibendosi in un mero calcolo di dare/avere». Anche da parte delle
consigliere del Municipio III così come del Primo Municipio la posizione è di
netto rifiuto riguardo una possibile chiusura. «Il razzismo e il fascismo
avanzano – segnala l’associazione A sud – in una città in cui si spara alle
bambine per diletto e si organizzano pogrom nei e dai quartieri popolari: il
modello di città della giunta Raggi ci pare chiaro, cristallino, e lo bocciamo
su tutta la linea, accodandoci alla richiesta del direttivo della Casa
Internazionale delle Donne di continuare a sostenere la campagna di solidarietà
e mobilitazione, per opporre un modello altro di fare la città».
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