Una battaglia per i
diritti che sta coinvolgendo tanti lavoratori agricoli
Marta Peradotto, Progetto Melting pot Europa
26 luglio 2018
Il
4 giugno 2018 il Comune di Saluzzo ha aperto nell’ex caserma Filippi al Foro
Borio un campo sorvegliato che ospita circa 400 persone (368 posti letto in
un’unica camerata, senza finestre e senza acqua calda), dopo aver innalzato un
muro ferrato alto tre metri per impedire l’accampamento nella zona dove fino
allo scorso anno sorgeva la baraccopoli occupata a autogestita soprannominata
"Guantanamò".
Il
nuovo campo (denominato dalla Lega “centro sociale per migranti in vacanza”) è
gestito da una cooperativa e dalla CGIL con un controllo di polizia,
carabinieri, polizia municipale e guardia di finanza 24 ore su 24, secondo
l’accordo stilato con la Prefettura di Cuneo. Per accedere al campo i
lavoratori devono mostrare un tesserino di riconoscimento numerato, chi non ce
l’ha resta fuori.
I
comuni vicini non hanno aperto le case (Revello) o hanno confermato e
continuato il poco fatto gli scorsi anni (Lagnasco, Verzuolo, Costigliole).
Tutto ciò è chiamato PAS (Progetto di Accoglienza Stagionale).
Nel
viale adiacente l’ex caserma oltre 200 persone dormono sui cartoni senza
coperte né materassi ed esposti alle intemperie, specie alla pioggia incessante
in queste sere di inizio estate.
La
notte è difficile dormire, bagnati e con lo stomaco vuoto, spesso malati. La
frutta però non può aspettare di marcire sui rami come gli uomini per strada e,
così, fin dalle prime ore del mattino, chi ha la fortuna di possederne una
inforca la bicicletta e percorre chilometri per soddisfare le esigenze della
filiera agricola della provincia e generare un profitto senza riceverne mai il
benché minimo provento.
A
fine giugno i braccianti del Foro Boario hanno scritto una lettera al sindaco
di Saluzzo con la richiesta di un incontro per rivendicare i diritti minimi e
un tetto sulla testa. Il sindaco non li ha ricevuti ma si è presentato a
sorpresa al Foro Boario per dire ai pochi presenti in quel momento (la maggior
parte erano nei campi a lavorare o a cercare lavoro) che dal giorno successivo
gli “esterni”, cioè tutti coloro che da settimane e mesi dormono all’addiaccio
sul marciapiede, avrebbero potuto accedere a cucina e bagni del campo previo
rilascio del permesso di soggiorno al check point.
Il
10 luglio un gruppo di braccianti ha occupato in via Lattanzi a Saluzzo un
capannone in disuso, capannone che dapprima ha ospitato la “Cogibit” e poi il
magazzino della Provincia di Cuneo. La situazione è precaria e priva di
qualunque servizio essenziale, ma quantomeno offre riparo quando anche il cielo
piange sopra a chi è costretto a lavorare come schiavo vivendo in condizioni
disumane.
Con
la stanchezza, aumenta la rabbia, la necessità di restare uniti, la
consapevolezza che non si tratta di considerare privilegiato o meno chi dorme
su un materasso piuttosto che su un cartone. Si tratta invece di lottare e non
per togliere un diritto a chi ce l’ha già, bensì per rendere quel diritto
realmente universale e riappropriarsi della dignità propria e altrui.
E
così sabato 21 luglio alle 8 del mattino sono in tanti a Saluzzo pronti a
salire sui pullman affittati dall’USB e dal comitato antirazzista saluzzese,
talmente tanti che neanche i posti sulle macchine dei solidali presenti bastano
di fronte a una così numerosa volontà di scendere in piazza e chiedere casa,
diritti, lavoro, giustizia. Una delegazione di circa 130 braccianti riesce a
partire, gli altri li sostengono a distanza, aspettano con ansia il ritorno
vittorioso dei compagni. Il passaparola per comunità d’appartenenza dei giorni
scorsi ha funzionato e ora ci si sente tutti parte di una grande famiglia, o
forse meglio, di una grande forza.
Ci
troviamo alla stazione di Cuneo, in una città che si risveglia lentamente
all’alba di una giornata grigia e densa d’umidità che minaccia pioggia. La
marcia inizia al grido di “casa, lavoro, diritti per tutti!”, dal corteo si
levano cartelli e striscioni autoprodotti con le parole d’ordine scritte a
pennarello “Siamo lavoratori, non animali”, “Acqua Luce Dignità”, “Giusta
paga”.
Il
generatore fa le bizze, ogni tanto occorre fermarsi e rimetterlo in funzione,
ma il corteo non rimane in silenzio neanche un minuto, c’è l’urgenza di non
tacere di fronte allo sfruttamento, di comunicare la propria condizione agli
abitanti di questo capoluogo, medaglia d’oro per la resistenza. E piano piano i
suoi abitanti si svegliano, la verità e la sete di giustizia è contagiosa,
diminuiscono gli sguardi stupiti e spaventati da tanta melanina tutta insieme e
iniziano a levarsi, dapprima timidi, poi sempre più fragorosi i primi applausi
dalle finestre, dai tavolini dei bar, dal marciapiede. Qualcuno prende
coraggio, si unisce, cammina con noi. Tanti riprendono con il cellulare una
scena che riporta a lotte passate e troppo in fretta dimenticate. Una ragazza
molto giovane interviene con le lacrime agli occhi per unire la propria
testimonianza. Anche lei ha lavorato nei campi per raccogliere la frutta a
fianco dei braccianti migranti, ma lei, al contrario dei suoi colleghi, aveva
diritto alla tutela del proprio lavoro. Impotente aveva assistito
all’infortunio di un suo compagno di raccolta, messo a condurre una macchina
semovente senza averne la competenza, e alla conseguente perdita di preziosi
giorni di retribuzione non avendo questi diritto alla mutua.
Arrivati
davanti alla prefettura, un timido sole inizia a spuntare e a riscaldare gli
animi e le voci sempre più accese, sempre più forti dei manifestanti. Il meteo
è dalla nostra parte, almeno lui.
Una
delegazione composta da due rappresentanti dell’USB, uno del comitato saluzzese
antirazzista e due rappresentanti dei braccianti agricoli è ricevuta in
colloquio dal prefetto di Cuneo.
Sotto
il palazzo della prefettura, si forma un cerchio, nessuno se ne va e,
nell’attesa, iniziano i racconti, le testimonianze di infanzie finite troppo
presto, viaggi infernali, l’interminabile attesa di un pezzo di carta a
giustificare la propria esistenza sul territorio e, nonostante quello, diritti
nuovamente calpestati e la sensazione di sentirsi privati per sempre del calore
di un focolare, di un proprio posto nel mondo.
Adam,
arrivato quindicenne nel 2009 a Lampedusa, racconta il suo vissuto in Italia
fino ad oggi, l’infanzia violata e invisibile, il duro lavoro nei campi, la
violenza della mafia e la rivolta di Rosarno. E ancora l’ignavia,
l’incompetenza il marketing elettorale sulla pelle di migliaia e migliaia di
schiavi. Italiani compresi. I risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Finalmente,
la delegazione ricevuta dal Prefetto fa il suo ritorno nel cerchio dei
manifestanti e Aboubakar Soumahoro, USB, racconta dell’incontro e soprattutto
guarda alle lotte future ed urgenti. Le sue parole arrivano dritte al cuore e
rigenerano speranza.
«Senza
di noi la frutta non si raccoglie! Non possono farlo con i computer. Sia che si
dorma nella caserma che per strada. Abbiamo chiesto di aprire un tavolo di
confronto congiunto con le aziende, la regione, la prefettura e i Comuni. È lì
che andiamo a lavorare di giorno ma gli stessi amministratori non si
preoccupano di dove andiamo a dormire la notte.
Importante
il ruolo della Regione Piemonte. Questa ha ricevuto dalla Comunità europea
oltre 1 miliardo di euro per il Piano di Sviluppo Rurale Piemonte 2014 – 2020
che dovrebbe servire anche all’inclusione sociale, riduzione delle povertà e
sviluppo economico delle aree rurali.
Le
aziende che percepiscono finanziamenti comunitari devono essere obbligate a
rispettare i diritti dei lavoratori, pagarli secondo contratto, versare i
contributi, garantire loro una sistemazione dignitosa.
Non
si possono dichiarare due giorni di lavoro al mese quando in realtà ne sono
stati svolti venti.
Si
lavorano anche fino a dodici ore di lavoro quotidiano contro le 6.5 previste
dal contratto. Questa è schiavitù, sfruttamento!
Il
nostro messaggio è chiaro: uguale lavoro, uguale salario.
Non
possiamo avere buste paga con solo cinquanta euro perché tutto il resto è in
nero.
In
questa provincia i braccianti sono almeno 16000 di cui il 70% è composto da
migranti. Ma che siano migranti, lavoratori comunitari o italiani chiediamo per
tutti uguale lavoro uguale salario.
Il
Prefetto si è impegnato a sollecitare i Comuni per trovare una sistemazione
alle oltre 200 persone che a Saluzzo dormono per strada.
Al
Prefetto abbiamo detto: “Racconteremo ovunque quello che sta succedendo! Se una
persona dorme per strada il Prefetto ha la responsabilità di interrogarsi su
che fine fanno quelle persone”.
Hanno
responsabilità anche i Comuni dove andiamo a lavorare. Vogliamo vivere come
degli esseri umani e non come dei cani abbandonati per le strade. I cani hanno
il veterinario e noi se ci ammaliamo non percepiamo salario e il più delle
volte neanche l’assistenza sanitaria».
Fuori
dalla registrazione video terminata anzitempo, Aboubakar ha poi aggiunto che
bisognerà incontrare il Sindaco di Saluzzo per capire bene come funziona “la
caserma”, il luogo che l’amministrazione ha destinato alla sistemazione di una
parte dei lavoratori.
«Si
entra solo se si ha un lavoro? Ma come si fa ad avere un lavoro se non si ha un
tetto? C’è discriminazione tra chi sta nella “caserma” e chi non vi può entrare
solo perché non ha un lavoro regolare? Al contrario: è vero che ha volte basta
avere il tesserino della “caserma” per poter trovare più facilmente un lavoro?»
Una
giornata piena di dignità, una battaglia lunga ma che coinvolge tutti i
lavoratori agricoli.
La
pacchia continua solo per i malfattori, gli sfruttatori e gli evasori
contributivi.
Noi
si va a casa al grido di “Schiavi MAI”, loro tornano ai giacigli di cartone
stesi in strada ma sui volti non vi è l’ombra della resa.
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