Intervista
a Enrico Giovannini, coordinatore delle attività del segretariato dell’Alleanza
italiana per lo sviluppo sostenibile (Asvis), che fa il punto sull’attuazione
degli SDGs in Italia: “Spetterà ai ministeri mettere a punto i piani per
indicare come vogliono contribuire al raggiungimento dei risultati previsti
dall’Agenda 2030”
Duccio Facchini, Altereconomie
27 luglio 2018
27 luglio 2018
L’idea dello sviluppo sostenibile
si sta rafforzando, ma i passi fatti dal lancio dell’Agenda 2030 delle Nazioni
Unite non sono ancora sufficienti. Enrico Giovannini, professore ordinario di
Statistica economica presso l’Università di Roma “Tor Vergata”, già presidente
dell’Istat nonché ex ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, coordina le
attività del segretariato dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile
(Asvis). È un osservatore privilegiato dello “stato di salute” dei 17
Sustainable Development Goals (SDGs) adottati dall’Assemblea generale delle
Nazioni Unite nel settembre 2015 per affrontare “nodi” come povertà, fame,
salute, istruzione, parità di genere, acqua pulita e sicura, servizi
igienico-sanitari, energia, lavoro dignitoso, innovazione, disuguaglianze,
città sostenibili, consumo e produzione responsabile, cambiamenti climatici,
biodiversità negli oceani e sulla terra, pace e partnership globali. Lo
raggiungiamo a fine maggio sul treno tra Milano e Bologna, due città al centro
del “Festival dello Sviluppo Sostenibile 2018” che è iniziato il 22 maggio e
terminerà il 7 giugno. L’obiettivo dell’evento è “coinvolgere fasce sempre più
ampie della popolazione sui temi della sostenibilità” e “stimolare decisori
privati e pubblici perché assumano iniziative concrete e rilevanti per
migliorare le condizioni economiche, sociali e ambientali del nostro Paese”.
Professor
Giovannini, a settembre l’Agenda 2030 compirà i suoi primi tre anni. Un quinto
del percorso. È possibile tracciare un primo bilancio?
EG A livello globale ci sono tre
possibili bilanci. Il primo ha a che fare con l’attenzione del mondo della
ricerca, dell’innovazione, della scienza a questo tema. E c’è stato certamente
un forte boom. E questo è un elemento molto importante: articoli su
fondamentali riviste scientifiche, ricerca di soluzioni innovative praticabili,
tutto orientato alla sostenibilità, a nuovi materiali, al risparmio di acqua, a
energie rinnovabili, all’economia circolare. Insomma, l’idea dello sviluppo
sostenibile sta diventando un driver molto importante della ricerca pubblica e
privata.
l secondo aspetto è la
transizione verso un mondo a impatto energetico e ambientale minore. Qui non
stiamo parlando solo di ricerca ma di attuazione. Il 60% degli investimenti in
campo energetico dell’ultimo anno sono stati nella direzione delle energie
rinnovabili. Chiaramente la strada è ancora lunga, ma direi che il mondo sta
andando in questa direzione e questo ha determinato un abbattimento fortissimo
dei costi al punto che oggi è più conveniente l’energia rinnovabile rispetto
all’uso di combustibili fossili, soprattutto in alcune aree del Pianeta. Quindi
c’è accelerazione, anche se continuiamo a emettere una quantità di CO2 e di gas
climalteranti assolutamente inaccettabile.
Il terzo ambito nel quale si
vedono avanzamenti importanti è un linguaggio comune, basato sugli SDGs, nella
diplomazia, nelle imprese e nel mondo della politica, del terzo settore e
dell’università. La sostenibilità sta entrando negli insegnamenti, nei sistemi
di rendicontazione delle imprese, addirittura nella pubblicità. Una sorta di
lingua franca, comune, per cui anche nella diplomazia internazionale e nelle
negoziazioni ormai i 17 Goal sono sistematicamente presi come riferimento.
Si
tratta di elementi molto importanti. Sono sufficienti?
EG No. Sappiamo che ci sono
ostacoli, ritardi. Ci sono Paesi che dopo aver firmato l’Agenda 2030 si sono
dimenticati del loro impegno, come l’amministrazione federale americana che ha
annunciato l’uscita dagli accordi di Parigi, decisi in attuazione dell’Agenda
2030. Ci sono Paesi che hanno deciso di investire in energie del passato e
hanno interrotto una serie di progetti di trasformazione. La crisi continua a
colpire duramente sul fronte sociale molti Paesi tra cui l’Italia, mentre
crescono le disuguaglianze, un elemento importante contro cui lotta l’Agenda
2030. La distanza tra la realtà e gli obiettivi è ancora molto molto forte.
Tra
gli strumenti decisivi per l’attuazione dell’Agenda ci sono le partnership tra
soggetti pubblici, gli Stati, fortemente indeboliti in questi anni, e gli
interlocutori privati, in primo luogo le grandi aziende multinazionali. Che
tipo di equilibrio si è creato dal suo punto di vista?
EG È un equilibrio molto
instabile. Laddove ci sono chiare leadership che, per esempio, hanno indicato
l’eliminazione dei veicoli a combustione interna entro una certa data – penso
alla Norvegia, alla Francia – il settore privato non solo si è adeguato, ma ha
deciso di investire credendo in questo tipo di transizione. Ci sono altri Paesi
come l’Italia in cui questo non è avvenuto. E quindi non c’è stato
l’allineamento delle strategie private con quelle pubbliche, per il semplice
fatto che queste ultime sono mancate. C’è poi il tema della cooperazione
internazionale, in cui si è capito che le imprese, in particolare le
multinazionali, hanno un ruolo chiave per raggiungere una parte importante
degli SDGs, come i diritti umani, ma anche per effettuare investimenti
innovativi nei Paesi in via di sviluppo. In questo caso, se, anche in Italia,
la cooperazione allo sviluppo è stata ora ridisegnata intorno agli SDGs, ci
sono ancora grandi difficoltà al dialogo tra settore pubblico e privato in
questi campi. È una situazione molto frammentata. L’OCSE ci dice che i flussi di
aiuti allo sviluppo sono ancora molto bassi rispetto alle promesse che sono
state fatte. L’Italia ha aumentato leggermente l’assistenza allo sviluppo, ma
semplicemente perché in essa sono incluse le spese per la voce “migranti”, che
in realtà non sono risorse che vanno ai Paesi in via di sviluppo.
A
proposito della strategia dell’Italia. Risale al 16 marzo scorso la direttiva
del presidente del Consiglio uscente Gentiloni che ha ridisegnato la governance
degli Obiettivi accentrando il coordinamento della strategia nazionale a
Palazzo Chigi. Una soluzione che come ASVIS avete più volte sollecitato. A che
punto siamo?
EG La direttiva non è stata
ancora pubblicata in Gazzetta Ufficiale e questo è un elemento molto grave. La
direttiva è arrivata nel momento di transizione politica e quindi di fatto
spetterà al nuovo governo attuarla, così come spetterà al nuovo governo dare
alle pubbliche amministrazioni delle linee guida su come inserire gli SDGs nei
propri piani della performance. La direttiva afferma che tutti i ministeri
devono definire dei piani annuali per indicare come vogliono contribuire al
raggiungimento degli obiettivi, ma poi bisogna misurare l’effettiva attuazione
delle varie misure.
Nell’ultimo
rapporto di ASVIS sull’Italia e gli Obiettivi dell’Agenda 2030 si dava conto
della scarsa sensibilizzazione dell’opinione pubblica a riguardo. “Solo pochi
italiani conoscono l’Agenda: infatti, la percentuale di chi è informato ‘poco’
e ‘per niente’ si attesta al 77%”. A Festival 2018 in corso, qual è la vostra
percezione oggi?
EG Molto migliore. Le partnership
con i mezzi di informazione e l’impegno delle 200 organizzazioni che aderiscono
all’ASviS stanno funzionando. Notiamo un cambiamento anche nei media, ma nei
prossimi mesi intendiamo avviare la formazione dei giornalisti a questo
riguardo (in questo solco si inserisce il ciclo di incontri organizzato a
Milano tra fine maggio e fine giugno intitolato “SDGS e Agenda 2030: come
raccontare la sostenibilità” e organizzato da Fondazione Cariplo, ndr).
È positivo poi il fatto che
alcune città Bologna, Milano, Parma, Bari, Torino si siano impegnate a
organizzare vari eventi nel corso del Festival; vuol dire dare concretezza a
queste tematiche nell’ambito delle città, che sono luogo di caduta delle varie
tematiche dello sviluppo sostenibile. E significa che anche i media locali
dovranno imparare a connettere i temi delle periferie con quello della mobilità
sostenibile, con quello delle emissioni, della povertà, delle disuguaglianze,
d’istruzione. È un circolo virtuoso.
In
tema di misurazione dello sviluppo sostenibile e monitoraggio dei suoi
obiettivi è centrale il ruolo del Sistema statistico nazionale (Sistan)
coordinato dall’Istat. Come sta procedendo questo lavoro”?
EG Tra qualche settimana l’Istat
dovrebbe fornire un aggiornamento della banca dati sugli SDGs e spero anche un
approfondimento in termini territoriali e tematici. È un lavoro che si sta
svolgendo in tutti i Paesi e l’Istat da questo punto di vista è partito
avvantaggiato grazie al notevole lavoro svolto sul rapporto BES (Benessere Equo
e Sostenibile), che sviluppai quando ero Presidente dell’Istituto. È però
evidente che l’Istat ha deciso di non fare degli SDGs una sua bandiera, ma uno dei
tanti prodotti: ad esempio, siamo stati obbligati a trasformare i tanti file
excel e pdf predisposti dall’Istat in una banca dati perché i dati sugli SDGs
non erano stati presentati in modo integrato e facilmente accessibile. Inoltre,
abbiamo sviluppato noi gli indicatori sintetici per gli SDGs, mentre l’Istat è
andato avanti con quelli per il BES. Il 31 maggio abbiamo presentato gli
indicatori sintetici per l’Europa elaborati da noi a partire dai dati Eurostat,
mentre per il prossimo Rapporto, che pubblicheremo in autunno, presenteremo gli
indicatori compositi regionali.
Come
fare a migliorare le lenti per osservare al meglio l’andamento degli SDGs?
EG In primo luogo va riconosciuto
che l’Istat per il BES ha uno fatto sforzo notevole per arrivare a delle stime
anticipate al 2017 di quei 12 indicatori introdotti nel Documento di Economia e
Finanza, tra cui anche le emissioni di CO2 e gli indicatori di disuguaglianza.
Certo ci piacerebbe che molti altri dati fossero più tempestivi, ma questo
richiede un investimento significativo. Abbiamo in Italia una buona
tempestività dei dati sociali, si potrebbe fare molto di più – e questi esempi
sul BES lo dimostrano – per fare delle stime anticipate sui dati ambientali. Se
dovessi dare un consiglio, punterei proprio a stime anticipate sulle componenti
ambientali e poi una ricerca più approfondita su quelle tematiche della
governance, della corruzione e del funzionamento della società italiana che
riguardano l’Obiettivo 16.
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