Per
il docente e scrittore l'appello di Savinao è sacrosanto. "Io vorrei che
le nostre parole fossero sempre legittimate da ciò che facciamo"
CATERINA PASOLINI, La Rerpubblica
28/07/2018
L’appello di Saviano a parlare,
denunciare le falsità sui migranti è sacrosanto. Ma non basta. Io vorrei che le
nostre parole fossero sempre legittimate da ciò che facciamo, altrimenti ogni
pronunciamento rischia di essere vano. Oggi il discorso politico è svuotato di
senso a causa di questo». Eraldo Affinati, docente e scrittore, i problemi di
chi proviene dall’altra parte del mare li conosce bene per esperienza diretta.
Nelle scuole di lingua che ha creato per insegnare l’italiano ai nuovi
arrivati. Di loro ha anche scritto nella sua ultima opera: “Tutti i nomi del
mondo”.
Che fare davanti a quello che
accade oggi in Italia?
«Dipende dal carattere. Io
preferisco agire in concreto. Con la nostre scuole Penny Wirton per
l’insegnamento gratuito della lingua italiana agli immigrati, uno a uno, senza
voti e classi, coinvolgiamo centinaia di persone in ogni parte d’Italia, anche
studenti in alternanza scuola-lavoro».
Il silenzio però ha conseguenze,
diceva Sartre.
«A me non piace tanto Jean Paul
Sartre. Io sono sempre stato dalla parte di Albert Camus. Bisogna superare le
categorie novecentesche. Faccio un solo esempio: una nostra volontaria del Nord
mi ha detto che fra gli insegnanti della sua Penny Wirton ci sono anche alcuni
leghisti. Se noi connotassimo in chiave partitica la nostra azione didattica,
non verrebbero. Invece così lo fanno: gratis.
Riflettiamoci. L’essere umano è sorprendente».
Qual è il compito degli
intellettuali verso il potere?
«Esistono le poetiche personali,
le situazioni specifiche, non le categorie generali. Uno scrittore può
formulare, se non la sua protesta, la sua ragione di stare al mondo,
semplicemente restando fedele al proprio stile».
Se fosse nato in Africa?
«Ci sono stato, ho visto la
miseria e lo splendore delle persone che non hanno niente e vivono, senza
guerra sì, ma nella polvere e nel degrado. Se fossi nato lì, avrei cercato di
venire qui. Noi parliamo spesso di ciò che non conosciamo. Consultiamo le
tabelle. Guardiamo la tv. Navighiamo in Rete. Ma ciò che conta è come ti guarda
Mohamed quando gli spieghi il verbo essere».
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