«Ho riso per la disperazione,
pianto per la paura e la vergogna, sono stato zitto come un codardo per il
terrore di non essere scarcerato».
di Elisio Trevisan
Andrea Pesce, 45 anni, è tornato
in Italia dopo due giorni passati in prigione a Tel Aviv: «In realtà mi hanno
detto che era una “migration facility” ma aveva sbarre alle finestre, reti alte
che circondavano l’edificio, e celle con porte blindate». Andrea è un uomo
pacifico, non un pacifista, non ha mai partecipato a manifestazioni anti
Israele o semplicemente per la pace in quei territori. Il suo errore è stato
non aver detto subito ai poliziotti dell’aeroporto israeliano che si sarebbe
recato vicino a Betlemme, in territorio palestinese, per trascorrere un periodo
di volontariato sulla collina di “Tent of nations”, la tenda delle nazioni,
associazione che pratica la non violenza fondata dal proprietario dei terreni.
Andrea è trevigiano, ex nazionale
del Benetton rugby, e veneziano d’adozione perché da anni cura la Stella Maris’
Friends, una Onlus che assiste i marittimi del porto. Non è la prima volta che
si reca in Israele e nei territori palestinesi. Dieci anni fa tornò da un
viaggio con molte fotografie pubblicate nel libro “Figli di Abramo”, con la
postfazione di Amos Luzzatto, allora presidente delle comunità ebraiche
italiane.
Questa volta Andrea voleva
trascorrere un mese come volontario su quella collina. È partito martedì 18 da
Venezia, col volo delle 13:45 della El Al, compagnia di bandiera israeliana. «A
Tessera personale israeliano mi ha fatto vuotare lo zaino, spogliare nudo e
riempito di domande. Poi sono partito e a quel punto ho pensato non ci fossero
più problemi». È arrivato a Tel Aviv alle 18:30, hanno cominciato ad
interrogarlo alle 19:30, «chiedevo un po’ d’acqua e non me la davano.
Cambiavano le persone ma mi facevano sempre le stesse domande. A mezzanotte,
due funzionarie del ministero dell’Interno mi hanno chiesto perché andavo a
fare volontariato sulla collina, e allora ho capito che stavano leggendo le mie
mail. Gli ho detto, dunque sapete benissimo che non ho nulla da nascondere.
Ridacchiando mi hanno risposto: se ci dicevi subito che andavi a fare
volontariato ti lasciavamo andare».
Poteva sembrare finita la storia,
invece per Andrea Pesce il vero incubo stava per cominciare. «Mi hanno svuotato
di nuovo il bagaglio e altra ispezione corporale. Alle tre di notte mi hanno
caricato in un pulmino fino all’edificio con le sbarre e mi hanno ficcato
dentro una cella. Non ho chiuso occhio, battevo con i pugni contro la porta per
chiamare qualcuno».
Alle 7:30 di mattina è arrivato
uno che gli ha annunciato l’aereo in partenza per Milano alle 18:30: «Vuoi
andarci o no? mi ha gridato più volte. E io, piangendo, ho detto fatemi andare
a casa. Mi hanno risbattuto in cella, fino a che finalmente un essere umano mi
ha aperto e dato un po’ di tè, e mi ha fatto uscire per una ventina di minuti».
Alle 9:30 ha potuto chiamare l’ambasciata italiana in Israele: «Giuseppina De
Maria mi ha detto che nel luogo dove mi trovavo era come se non fossi in
Israele. Le ho chiesto almeno di avvisare mia moglie». È nella stanza della
telefonata che Andrea incontra due israeliane a capisce che erano visitatrici
alle quali stavano raccontando come la struttura fosse molto umana, che la
gente era trattata bene e le celle pulite. «Ho provato una cosa tremenda per la
prima volta in vita mia: io che da anni dico ai marittimi che devono raccontare
se li trattano male in navigazione, altrimenti nessuno potrà aiutarli, non ho
avuto il coraggio di aprire bocca e di dire che ero tenuto prigioniero, perché
avevo paura non mi facessero tornare a casa».
Alle 17:35 lo hanno
caricato su un blindato e l’hanno portato all’aereo. «Dal mio arrivo a Tel Aviv
fino al mio rientro in Italia sono passate 24 ore, 9 delle quali sotto
interrogatorio in aeroporto e 15 in prigione. Il passaporto col timbro entry
denied, entrata in Israele negata, e il biglietto aereo sono le uniche prove di
tutto ciò. Isabella Starnone del ministero degli Esteri italiano mi ha detto,
un po’ infastidita, che posso presentare un esposto». E l’ambasciata israeliana
in Italia non risponde: da giorni c’è sciopero contro i tagli decisi dal governo.
Sabato 29 Marzo 2014 – ARCHIVIO
Nessun commento:
Posta un commento