di Luca Manes
“Eppur si muove!”. La celebre
frase di presunta fattura galileiana fotografa alla perfezione lo stato attuale
del processo milanese per il caso OPL 245, la presunta tangente pagata dai
manager di Eni e Shell per aggiudicarsi un ricco giacimento offshore in
Nigeria. Dalla data del rinvio a giudizio, il 20 dicembre del 2017, sono
seguite due “puntate” (5 marzo e 14 maggio) a dir poco interlocutorie,
esauritesi nell’arco di pochi minuti.
Il terzo segmento di questa
storia che si preannuncia molto lunga ha quanto meno occupato un’intera
mattinata (ieri, 20 giugno) e si è conclusa con un primo passaggio sostanziale:
il presidente del collegio giudicante, Marco Tremolada, ha ammesso con decreto
la citazione di responsabilità civile avanzata all’Eni e alla Shell
dall’avvocato Lucio Lucia, l’ennesimo e questa volta definitivo legale nominato
dal governo di Abuja.
La Nigeria presenta il conto
Insomma, la Nigeria si prepara a
presentare il conto alle due multinazionali petrolifere per i mancati introiti
legati alla vendita della licenza. Val la pena ricordare che gli 1,1 miliardi
di dollari pagati dall’Eni per OPL 245 sono solo transitati su un conto del
governo nigeriano, ma poi si sono dispersi in mille rivoli diretti a politici e
faccendieri nigeriani. Di fatto ingenti fondi, che potevano essere destinati a
migliorare la sanità o l’istruzione del Paese africano, sono serviti per scopi
molto meno nobili.
Qualora l’azione di
responsabilità dovesse andare avanti, gli scenari all’orizzonte sono
molteplici, non ultima una possibile soluzione transattiva.
Nel frattempo anche gli avvocati
difensori non sono rimasti con le mani in mano, facendo fronte compatto contro
la costituzione delle varie parti civili. Una lista che si è allungata con la
presenza di un’azionista: Marco Bava. Un fedelissimo delle assemblee di Eni (e
non solo), mai tenero con i vertici aziendali.
Parola alla difesa
Dagli affollatissimi banchi della
difesa – ma almeno rispetto all’ultima volta l’aula riservata all’udienza era
un po’ più spaziosa e non afflitta da temperature tropicali – si è levata una
litania di contestazioni sulla genericità degli statuti delle Ong presenti
(Re:Common, le inglesi Global Witness e Cornerhouse e la nigeriana HEDA
Resource Centre). “Non si occupano realmente di corruzione”, potrebbe essere la
sintesi del messaggio veicolato nei confronti del collegio. Singolare, visto
quanto fatto invece negli anni dalle varie organizzazioni (che il caso OPL 245
lo seguono assiduamente da tempo).
È il gioco delle parti, che vale
anche quando gli stessi avvocati provano a “buttare fuori” dal processo la
stessa Nigeria, adducendo motivazioni formali e sostanziali. Tanto che alla fine
la vera vittima sembra il principio della concorrenza internazionale, non uno
Stato. Il Pm Fadio De Pasquale si inalbera, i legali delle parti civili partono
al contrattacco, ben contenti del diritto di replica accordato loro dal
presidente Tremolada e, quando sembra che l’udienza possa prendere una piega
ancora più movimentata e ricca di suspense, ecco il vero anticlimax.
Se ne riparla il 20 luglio, se
necessario anche il 21. Sperando nella clemenza del clima più che della corte e
nell’assenza di ondate di calore neroniane, il quarto episodio ci dirà
finalmente se saranno o meno accettate le parti civili e verterà sulle varie
questioni preliminari (come le carte che potrebbero essere “tolte” dal
fascicolo processuale e altre amenità varie). Sempre che non torni d’attualità
il vizio di forma rilevato dagli avvocati dei manager Shell nel dispositivo di
rinvio a giudizio, che nel loro caso era monco, mancavano le imputazioni.
Di recente la Corte di Cassazione
ha dichiarato inammissibile il loro ricorso, ma hai visto mai che il tema possa
tornare d’attualità.
Re Common
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