Macron-Afrique.
Il presidente francese ieri era in Mauritania al summit dell'Unione africana,
oggi è in Nigeria ma l'obiettivo è disimpegnarsi progressivamente. Per questo
ha fatto ostruzionismo alla missione in Niger, di valore particolare per
l’Italia, specie dopo l’avvio della ricognizione a Ghat, nel sud ovest della
Libia
Alberto Negri, Il manifesto
MacronAfrique, il presidente
francese è instancabile ma soprattutto è alla ricerca di soldi per finanziare
le missioni militari francesi e africane mentre sul campo si accentua, anche
nel Sahel, il confronto tra Italia e Francia: Macron e i suoi alleati in Niger
dimostrano di preferire persino la Gran Bretagna della Brexit agli italiani.
Una vicenda, un po’ lontana dai riflettori.
Che sta assumendo contorni
paradossali e tragi-comici. Il presidente francese ieri era in Mauritania al
summit dell’Unione africana, oggi è in Nigeria: la Francia continuerà a guidare
la forza G5 Sahel, che riunisce Mauritania, Burkina Faso, Mali, Niger e Ciad,
ma il suo obiettivo è disimpegnarsi progressivamente. Un tema quanto mai
d’attualità dopo gli attacchi terroristici del fine settimana contro il
quartier generale dello stesso G5 Sahel a Sévaré, in Mali, e contro i soldati
dell’operazione francese Barkhane.
Macron ha parlato a lungo anche
ai leader di cinque Paesi del Sahel del G5, un sistema militare e di sicurezza
che ha preso le mosse dall’intervento francese in Mali del 2013 contro Al
Qaeda.
Per Parigi si è trattato di
ritorno in forze nel continente dove nell’ultimo mezzo secolo ha compiuto una
cinquantina di missioni militari senza contare le operazioni segrete e
clandestine. La Francia oggi ha 7mila militari in Africa e, oltre a Gibuti,
mantiene basi sulla costa atlantica, con una presenza importante in Senegal,
Gabon, Costa d’Avorio e un ruolo decisivo tra il Mali, il Ciad e il
Centrafrica.
Ma adesso la Francia vuole
alleggerire una presenza militare costosa e anche insidiosa: il maggiore
ostacolo al disimpegno sono gli Stati Uniti che hanno ridotto sensibilmente i
loro finanziamenti alle cosiddette operazioni di pace africane. E Parigi cerca
anche una compensazione per l’aumento dell’impegno militare francese in Siria
(un migliaio di soldati) proprio a fianco degli americani.
La grandeur francese, estesa nei
suoi ex possedimenti e protettorati coloniali dal Medio Oriente all’Africa,
deve fare i conti con i bilanci, per questo la Francia era rimasta molto delusa
dal piano italiano di andare con una missione militare in Niger dedicata però
ai traffici dei migranti e non al combattimento contro le formazioni jihadiste.
I francesi avevano fatto quindi
ostruzionismo con l’appoggio delle forze interne nigerine. Questa missione ha
un valore particolare per l’Italia, specie dopo l’avvio della ricognizione a
Ghat, nel sud ovest della Libia, dove con i fondi europei Roma vorrebbe
costituire un comando militare e di polizia che addestri le future guardie di
frontiera di Tripoli e presidi 5 punti di confine con Niger, Algeria e Ciad
attraversati dai convogli dei migranti «illegali» diretti verso il
Mediterraneo.
La vicenda italo-francese in
Niger ha assunto invece toni quasi comici, se non trattassimo qui di laceranti
drammi africani. Al mancato avvio della missione dell’Italia, che pure ha
sbloccato 100 milioni di euro a favore di Niamey, si unisce la beffa
dell’arrivo in Niger di truppe britanniche. Le avanguardie di un contingente di
un centinaio di militari di Sua Maestà sono atterrate a Niamey il 14 giugno per
essere inquadrate nell’Operation Barkhane.
L’invio di truppe nel Sahel
riafferma il peso della cooperazione militare franco-britannica che per Parigi
costituisce anche una garanzia in caso di crisi dell’intesa con Berlino e
dell’incapacità dell’Unione europea di far fronte alle sfide alla sicurezza.
La saga di questa missione in
Niger – che era stata accompagnata da una sorta di vertice il 20 giugno alla
Fao di Roma tra il premier Giuseppe Conte e il presidente nigerino Mahmadou
Issoufou – sta assumendo contorni paradossali: un quarantina di soldati
italiani, sotto il comando di un generale, sono da mesi accampati, in maniera
precaria, nella base Usa dell’aeroporto di Niamey senza neppure un accordo
scritto che li tuteli sotto il profilo giuridico.
L’ennesimo dispetto, quasi
un’umiliazione, che dimostra l’incapacità dei partner europei di sapere agire
da alleati e non da concorrenti.
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