di Wanda Marra
Domenica sul “Fatto”, Antonio
Padellaro ha illustrato la strategia del “Ronf ronf” del Pd, un partito dormiente
che dimentica i suoi sei milioni di elettori e quelli che potrebbero tornare.
Interviene Nadia Urbinati.
“A sinistra c’è desiderio di
vita, più che vita. C’è un voler essere, più che un essere. Non si sa cosa fare
e come procedere”. Nadia Urbinati, vicepresidente di Libertà e Giustizia e
docente di Teoria politica alla Columbia University, parte da questo assunto
per riflettere sui problemi e i destini della sinistra italiana: “La caduta
della sinistra ha significato anche un’ opposizione in Parlamento senza denti,
senza l’ incisività che dovrebbe avere”.
Nella società, invece, esiste un’ opposizione?
Nella società, invece, esiste un’ opposizione?
Nella società un’opposizione c’è,
anche se sconcertata e senza bussola. Serpeggia un po’ ovunque, ma non ha una
rappresentanza politica.
Da
dove si riparte? Carlo Calenda insiste con l’idea di un “Fronte repubblicano”.
Il Fronte repubblicano sembra
un’idea studiata a tavolino, molto astratta. E poi, non siamo in guerra e non
mi pare che l’Italia sia fascista – condizioni che giustificherebbero un
“fronte”. Siamo dentro una dinamica costituzionale e repubblicana. Se si
chiamano i compatrioti al “fronte” è perché si presume che ci troviamo in uno
stato di emergenza: questo è davvero poco credibile.
Zingaretti,
invece, che vuole ripartire dal centrosinistra e dai sindaci?
Zingaretti vuole ricostruire il
Pd dall’interno, anzi partire dal Pd per ricompattare tutte le schegge della
sinistra. Idea legittima, ma non so se può funzionare. Uno dei problemi seri
del Pd è l’insopportabilità della sua classe politica. Ci sono nomi e facce
così disprezzati e vilipesi (poco importa se a torto o a ragione) che questa
operazione – nonostante la buona volontà – può non avere buon esito.
E
allora, dove si va?
Serve un movimento forte da
fuori, perché chi sta dentro è destituito di credibilità. Senza una base
sociale, la trasformazione muore sul nascere.
Quindi,
serve ripartire dai movimenti sociali, le realtà di vita, i luoghi. Bisogna
cominciare dal protagonismo che i quartieri popolari rivendicano, inascoltati
dal Pd, da anni.
Dalle associazioni. Vorrei vedere
i militanti e i politici della sinistra (o di quel che oggi sono i partiti di
sinistra) conoscere i bisogni della gente, farsene rappresentanti; che
comincino a studiare l’etnografia delle città e dei quartieri, popolari ma non
solo, per capire cosa c’è che non va, perché i cittadini sentono di non aver
potere.
E
chi deve farlo?
Tanti soggetti, anche dentro al
Pd. Ma non partendo da e restando in via del Nazareno. Servirebbero i sindaci e
le città; ma ricordiamoci che, oggi, i sindaci sono più simili ai manager che
ai sindaci degli Anni ’70, quando erano promotori di una visione di città che
definivano insieme ai partiti e ai cittadini dei quartieri.
Insomma,
il Pd va sciolto?
Il Pd è oggi un problema più che
una soluzione. Del resto i gruppi parlamentari sono in gran parte renziani.
Parlando
di Renzi, che cosa dovrebbe fare?
Se facesse un suo partito che
guarda verso Forza Italia avremmo già fatto un passo avanti. La sinistra
sarebbe libera da questa palla al piede.
Lei
è stata molto impegnata nella battaglia per il No al referendum.
Quell’esperienza è un pezzo del cambiamento del quadro politico?
È stata una buona esperienza, che
univa diversità ideologiche e politiche. Non è detto che non possa aiutare la
formazione di un nuovo soggetto politico: Libertà e Giustizia, ad esempio, ha
un radicamento nazionale. Potrebbe essere una strada, ma l’associazione non
sarebbe d’ accordo, e con buone ragioni.
Quindi,
come si riparte?
Aldo Moro si rivolgeva spesso
alle persone di buona volontà. Servirebbe buona volontà politica, capace di
ragionare per collettivi. Cominciando a riconquistare l’Europa ai diritti
sociali e alla democrazia.
Tornando
alla sua critica a Calenda, come definirebbe questo governo?
Un governo conservatore, con
un’ideologia nazionalista e reazionaria. Populista nello stile: conduce una
campagna elettorale permanente, per tenere l’audience alta. E nazionalista
perché traccia un solco tra chi è “dei nostri” e chi è esterno, come gli
immigrati, ma anche l’Europa. Ha però anche ambizioni di giustizia sociale e di
redistribuzione. È un governo complesso. Bollarlo come fascista è sbagliato.
Non si sta neanche comportando completamente male: criticabile per la sua
propaganda xenofoba, bisogna riconoscere che ha spronato l’Europa.
L’opposizione
in Parlamento che deve fare?
Prima di tutto incalzare.
Rivedere Dublino è giusto, ma anche contrastare il nazionalismo e rilanciare
l’Europa politica, il progetto di Spinelli. Altrimenti, non si governano i
confini. E poi serve rivedere il Jobs Act. Insomma: ci di deve opporre proponendo,
invece di demonizzare.
Quale
dovrebbe essere la base elettorale di questo nuovo soggetto?
Sono le classi popolari che
devono tornare a casa. Adesso, non votano oppure scelgono Lega o M5s. La parola
sinistra medesima non dà fiducia. Troppe
sono state le delusioni sul piano della politica sociale e dell’ occupazione.
Quali
dovrebbero essere le parole d’ordine di una nuova sinistra?
Solidarietà, giustizia sociale e
rispetto della democrazia liberale: insomma l’articolo 3 della nostra
Costituzione.
Il Fatto Quotidiano, 28 giugno 2018
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