lunedì 23 luglio 2018

CGIL Un welfare nel nome della solidarietà


Saraceno a RadioArticolo1: "C'è bisogno di un sistema più universalistico, di politiche di redistribuzione del reddito, di misure più efficaci contro la povertà, fenomeno che negli ultimi anni è in costante aumento nel Paese, soprattutto nel Sud"

Redazione, Rassegna sindacale
 24 luglio 2018



“Abbiamo bisogno di un welfare più universalistico, di politiche di redistribuzione del reddito, di misure più efficaci di contrasto alla povertà, fenomeno che negli ultimi anni risulta in costante aumento nel Paese, soprattutto nel Mezzogiorno”. Così la sociologa Chiara Saraceno, oggi ai microfoni di Italia parla, la rubrica quotidiana di RadioArticolo1.
“Siamo un Paese che espone tantissime persone al rischio della povertà assoluta: per molte famiglie monoreddito, con bassi salari e lavori discontinui e precari, basta un figlio in più per peggiorare la propria situazione economica. Un fenomeno che è cresciuto a dismisura dal 2008 in poi, con l’arrivo della crisi, senza che i vari governi avessero predisposto una politica di contrasto alla povertà. Solo negli ultimi anni, sono state messe a punto alcune misure, sia pure in modo frammentato, parziale e disomogeneo: penso alla Social card, che riguardava però solo anziani e bambini sotto i tre anni, poi il Sia (sostegno per l’inclusione attiva) e il Rei (reddito d’inclusione), entrato a regime a luglio. Tuttavia, per il ministero delle Politiche sociali, non c’è abbastanza finanziamento per tutti, e rimangono così fuori quasi i due terzi degli aventi diritto”, ha sostenuto Saraceno.
Nel frattempo, la povertà aumenta di continuo, allargando il divario Nord-Sud. A questo, si aggiunge la mancanza di lavoro, la disoccupazione giovanile e femminile alle stelle, l’assenza di politiche redistributive mirate: "Non ultima, l’eliminazione dell’Imu, che ha sottratto quattro miliardi alla casse dello Stato, circa il doppio delle risorse ora a disposizione per combattere la povertà. Se poi consideriamo i servizi alla persona diffusi in Italia, a parte la scuola dell’obbligo e un po’ la sanità, non abbiamo nulla di universalistico in termini di diritti sociali. Nel Sud, non c’è regione che raggiunga il 10% di copertura degli asili nido, e anche le sezioni scolastiche a tempo pieno sono assai più diffuse nel Centro-Nord”, ha rilevato la sociologa.
“In realtà, un welfare davvero universalistico in Italia non c’è mai stato, malgrado la nostra Costituzione lo richiami in modo esplicito. Allo stesso attuale, sembra una chimera realizzarlo.  Anche il Servizio sanitario universale, di cui quest’anno si celebra il quarantennale, non è più tale, se si pensa che quasi undici milioni di cittadini non vi accede più perché le prestazioni sono diventate troppo care. E con il passaggio alle regioni si sono create situazioni diversissime sul territorio da una regione all’altra, spesso a discapito degli utenti. E anche l’istruzione, se si dà un’occhiata ai dati relativi all’abbandono e alla dispersione scolastica di molti ragazzi delle regioni meridionali, ci porta a dover ammettere che sanità e istruzione stanno diventando più strumenti di creazione di nuove diseguaglianze anziché strumenti d’inclusione”, ha precisato Saraceno.
Il nostro welfare è molto squilibrato verso le pensioni. "Non perché spende troppo per la previdenza, ma perché spende troppo poco per altre cose rispetto agli altri paesi. E stiamo attenti, perché la situazione potrebbe peggiorare ulteriormente riformando la ‘Fornero’. Pur con tutti i suoi limiti, quella legge era stata fatta proprio per alleggerire il peso sulle generazioni più giovani, che rischiano di passare tutta la vita a pagare i contributi per chi è già in pensione. Se passasse quota 100, sarebbe oltremodo penalizzante per i giovani, per gli uomini e le donne del Mezzogiorno, e viceversa rappresenterebbe un grosso regalo per gli uomini del Nord. Insomma, le donne a bassa istruzione del Sud è come se vivessero in un paese diverso, anche rispetto alle loro coetanee del Nord: carenza di servizi, importanza dell’istruzione, concentrazione e diseguaglianza di welfare a livello territoriale. E tutto ciò avviene non perché i migranti ci rubano il welfare, come denuncia il ministro dell’Interno, ma in quanto da noi lo stato sociale è davvero miserando soprattutto per le fasce di reddito più basse”, ha concluso la sociologa.

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