Taranto. Dopo aver
promesso la chiusura dello stabilimento, adesso Di Maio vuole solo vendere
Gianmario
Leone, Il manifesto
24 luglio 2018
Se
non è rassegnazione, poco ci manca. Il variegato mondo ambientalista tarantino
che si batte da oltre un decennio contro la presenza dell’Ilva a Taranto,
questa volta sperava davvero in un governo del «cambiamento».
Che
le aspettative fossero alte lo si intuì il 4 marzo scorso, quando tra Taranto
città e provincia, il M5Se risultò il primo partito con oltre il 50% dei
consensi e ben cinque parlamentari eletti. Un successo ottenuto anche grazie
alla spinta degli ambientalisti, che pur non essendosi mai schieratisi
ufficialmente pro 5Stelle, di fatto ne hanno condiviso in parte i programmi sul
futuro. Chiusura delle fonti inquinanti, bonifiche con l’impiego degli operai
riqualificati nelle loro nuove mansioni, riconversione economica del territorio
tramite le energie rinnovabili e quelle risorse che Taranto può ancora vantare:
il mare, il turismo, la cultura, una filiera agroalimentare d’eccellenza, il
rilancio del porto più grande del Mediterraneo, un aeroporto base per
l’aerospazio ma pronto per i voli civili.
Alla
base di tutto però, resta la chiusura dell’Ilva. O, per dirla secondo il
contratto di governo di Lega e 5Stelle, «chiusura di tutte le fonti
inquinanti». Dicitura ambigua, ma che a Taranto significa solo una cosa. E la
premessa affinché un nuovo rapporto con le istituzioni si stesse lentamente
creando, la si intravide nella convocazione delle associazioni ambientaliste a
Roma lo scorso 19 giugno, durante le consultazioni che il vicepremier Di Maio
tenne per ascoltare tutte le parti interessate al futuro dell’Ilva. Un invito
ufficiale, un riconoscimento importante: Di Maio quel giorno ascoltò denunce,
racconti, testimonianze e raccolse dossier. Con le associazioni che gli
ricordarono che il successo del Movimento alle politiche, era figlio delle
promesse sull’Ilva che ora andranno mantenute.
A
distanza di un mese, tutto pare essere cambiato nei rapporti tra Di Maio, i
5Stelle e il movimento ambientalista tarantino. Che ha colto nell’azione
politica del vicepremier non solo una forte indecisione sul da farsi, ma
soprattutto l’intenzione di non chiudere l’Ilva, procedendo con la vendita al
gruppo Mittal. Pare infatti questa la strada scelta da Di Maio, pressato dalla
Lega che vuole l’Ilva aperta e produttiva: i chiarimenti all’Anac e
all’Avvocatura d Stato sul bando di gara di vendita del gruppo Ilva, con
l’annuncio proprio ieri mattina di aver firmato l’avvio del procedimento
interno al MiSe per tutti gli accertamenti del caso su quanto avvenuto nel
processo di assegnazione al colosso Mittal, sanno di azioni all’interno di una
trattativa. Per far sì che tutto si svolga secondo le regole. Una strategia che
potrebbe pagare in parte: è infatti attesa ad horas una nuova proposta di
Mittal, per cercare di chiudere la partita con i sindacati ed ottenere il via
libera dal governo.
Una
scelta politica che però ha già ricevuto un ultimatum dal mondo ambientalista
tarantino, con l’appoggio dell’attore Michele Riondino, scaduto ieri. Quando
una tromba d’aria abbattutasi sull’Ilva ha generato l’ennesima breve ma intensa
invasione di polvere di minerale sul rione Tamburi, generando rabbia e proteste
tra i cittadini. «Disattendendo quanto promesso in campagna elettorale e
sottoscritto nel contratto di governo – scrivono diverse associazioni – la
linea dell’esecutivo lascia presagire un accordo per l’ambientalizzazione del
siderurgico. Ipotesi confermata da Di Maio ed altri rappresentanti del Governo.
E’ inoltre inaccettabile la totale assenza sul territorio dei parlamentari
ionici che non possono più trincerarsi dietro parole come “stiamo lavorando in
silenzio”. Il tempo del silenzio è finito, cittadini e lavoratori esigono
chiarezza e risposte concrete». I segnali di apertura erano attesi entro ieri:
«in mancanza ci vedremo costretti a ritenere questo esecutivo nemico della città,
al pari dei precedenti, e come tale sarà trattato». Ieri è arrivata soltanto la
polvere di minerale. Mentre l’alternativa resta un piano B che al momento
appare più un miraggio che il resto.
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