Michela Murgia e Zerocalcare con Marco Damilano. Un dialogo, in
edicola su L'Espresso da domenica 22, per raccontare le parole perdute e quelle
da ritrovare. L'egemonia della destra. La militanza e l'esigenza di schierarsi.
Per non tradire la realtà. E ripartire
Marco Damilano, L’Espresso
23 luglio 2018
Nell’assenza e
nell’afasia dell’opposizione politica, com’è successo in altre fasi della
nostra storia recente tocca a loro: scrittori, registi, attori, musicisti. Ne
abbiamo discusso appassionatamente una mattina in un piccolo appartamento dalle
parti del quartiere Rebibbia di Roma. Con Michele Rech, noto come Zerocalcare,
e con Michela Murgia, parliamo di fascismo e antifascismo, di chi scrive e di
chi disegna, del rapporto con il pubblico, la militanza, la politica, la
sinistra o quel che ne resta. Il ruolo dell’intellettuale che è, prima di
tutto, la ricerca di una ispirazione, da restituire a chi ascolta. La realtà,
la necessità di non tradirla.
«Se facciamo un
bilancio delle cose di questi anni, e ci guardiamo attorno oggi, di sicuro
sentiamo il peso della responsabilità di ciò che abbiamo fatto. Ma pesa
immensamente di più la responsabilità di ciò che non abbiamo fatto», ha scritto
Zerocalcare in una storia recente. «È come se avessimo pettinato per anni e ora
i nodi sono arrivati, ma la direzione del pettine si vedeva già anni fa», dice
Murgia.
Appelli da firmare,
intellettuali sulle navi delle Ong, manifestazioni, magliette rosse. Voglia di
schierarsi. Nell’assenza e nell’afasia dell’opposizione politica, tocca a loro:
scrittori, registi, attori, musicisti. Da qui nasce il dialogo appassionante di
questo numero. L'incontro tra Marco Damilano, Michela Murgia e Zerocalcare. Per
parlare di fascismo e antifascismo, di chi scrive e di chi disegna, del
rapporto con il pubblico, la militanza, la politica, la sinistra o quel che ne
resta. Una conversazione che è anche un corpo a corpo emotivo: con le parole,
con la realtà, con la necessità di non tradirla. Su questo numero anche
l'inchiesta borghesia camorra: i salotti buoni della città di Napoli collusi
con i clan. Il direttore Marco Damilano presenta #domenicaEspreso
«Salvini è la fine
di una corsa, che ha come destinazione il precipizio, ma comincia da lontano.
Abbiamo perso gli anticorpi per riconoscere un percorso che era complesso ma
lineare e dunque riconoscibile. Schierarmi contro Salvini mi viene spontaneo,
ma non avrebbe senso se non mi chiedessi quanto di me e quanto di noi c’è in
Salvini. È un fatto che lui raccolga un consenso anche in persone
insospettabili, gente che non si era mai interessata di politica e di cultura,
persone che sui social ripetono i suoi post e le sue parole d’ordine mille
volte. Forse il problema è che si sono perse le distinzioni tra fascismo e
democrazia, così come quella tra essere popolari e populisti. Sei popolare
quando ti riconosci nel popolo, quando gli appartieni, sei populista quando
costruisci un feticcio in cui il popolo possa riconoscersi. Quando perdi quella
differenza, fai passare in quelli che dovresti rappresentare l’idea che il
contenuto sia sbagliato, ma il metodo va bene, come se in politica il metodo e
il contenuto non fossero la stessa cosa. Per me combattere con la cultura
significa andare a cercare e riprenderci quello che abbiamo dimenticato. E si
parte facendo l’autopsia del presente. Salvini non è la malattia, è un
marcatore, ma il malato sei tu, siamo noi».Sull'impegno degli intellettuali
Zerocalcare pensa che «chi firma appelli ha in mano strumenti di lavoro che
potrebbe utilizzare in modo diverso. Chi fa lo scrittore dovrebbe scrivere, chi
fa il disegnatore dovrebbe disegnare, chi fa il cantante dovrebbe cantare»,
aggiunge Zerocalcare. «È molto più importante partecipare al dibattito con il
proprio lavoro, è anche più bello. Lanciare le stesse parole d’ordine, lo
stesso link, lo stesso hashtag ti trasforma in un ripetitore di parole altrui.
Non arricchisce, banalizza. Preferisco dire qualcosa con quello che so fare
piuttosto che portare risonanza a quello che è stato già detto da altri. Se sei
un intellettuale devi fare uno sforzo intellettuale, non puoi accontentarti di
ripetere quello che stanno dicendo tutti. Anzi, questo sforzo non riguarda
neppure soltanto gli intellettuali».
«Uno scrittore come
Sandro Veronesi non ha bisogno di pubblicità, credo che le sue motivazioni
siano autentiche e giuste, non so quanto efficaci nella pratica», aggiunge
Murgia. «Salire sulla nave di una Ong nel Mediterraneo è un momento in cui
lucidi la tua posizione di antagonista senza cambiare nulla. Credo che sarebbe
un gesto più forte rivolgersi alle poche migliaia di minori che hanno ricevuto
il diritto di asilo in Italia e che potrebbero essere ospitati da famiglie o
dai singoli. Facciamo una contro-narrazione vera: prendiamoceli a casa nostra.
Se lo facessero gli ultimi venti premi Strega, tapperebbero la bocca a tutti.
Ci dicono con dileggio “prendeteli a casa vostra”? E noi potremmo rispondere
che lo abbiamo fatto, mettendo il nostro privilegio a disposizione di chi è in
difficoltà. Avremo raccontato l’integrazione con un nome e un volto che non siano
i nostri. Su quelle navi invece l’unico volto che rimane impresso alla fine
rischia di essere solo il tuo. Se non c’è altro va bene, ma è altro che
dobbiamo cercare»
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