Quarant'anni
dopo. L’aborto ai tempi del web. In Italia le Ivg sono in continuo calo, più
che in altri Paesi europei. Ma anche l’uso dei contraccettivi è cambiato. Su
internet però si acquista, senza alcun limite d’età, l’RU486 e la pillola del
giorno dopo
Eleonora Martini, il Manifesto
24/07/2018
Limiti di età per l’accesso alla
contraccezione di emergenza, ricovero obbligatorio per l’aborto farmacologico,
smantellamento dei consultori familiari laici, eccesso di ricorso all’obiezione
di coscienza. E burocrazia, ostacoli, trafile estenuanti. Solitudine.
Poi però basta un pc, una mail
finta e una carta di credito con una disponibilità finanziaria di qualche
centinaia di euro al massimo, e sul web in pochi secondi si possono trovare
oltre 3 milioni di modi di dribblare, almeno in parte, gli impedimenti creati
da una politica ascientifica che in questi 40 anni ha segnato l’applicazione
della legge 194.
Ecco, per scattare una fotografia
di compleanno alle «Norme per la tutela sociale della maternità e
sull’interruzione volontaria della gravidanza» promulgate il 22 maggio 1978,
bisogna partire da qua.
Dal fatto che qualunque crociata
antiabortista, che in Italia trova ancora tanto terreno fertile – anche se non
usa più le manette come nel 1975, quando la battaglia per l’emersione delle
centinaia di migliaia di aborti clandestini praticati allora ogni anno fu
segnata dall’arresto dei leader radicali Emma Bonino, Adele Faccio e Gianfranco
Spadaccia – deve oggi fare i conti con una nuova realtà. Inimmaginabile,
allora, né dai Radicali che erano fortemente contrari alla 194, né ai movimenti
femministi e di sinistra che lottarono per una legge molto più laica di quella
approvata il 15 aprile 1978.
Una realtà, quella di oggi, di un
mezzo tecnologico che permette a donne, senza limiti di età, di acquistare
online farmaci abortivi da usare a casa o contraccettivi d’emergenza da prendere
uno, 3 o 5 giorni dopo il rapporto sessuale a rischio. Senza alcun controllo,
ma neppure sostegno.
2015, VOLA L’ ABORTION DRONE
Ed è davvero facile, abbiamo
provato: basta googlare «RU486 sale online» o «emergency contraception» o, per
esempio inserire il nome commerciale del farmaco, «EllaOne», per avere solo
l’imbarazzo della scelta. Bisogna rispondere a una manciata di domande, scegliere
se avvalersi di una consulenza medica via chat oppure no, e infine spendere tra
gli 80 e i 200 euro, a seconda della tipologia di medicinale e della rapidità
della consegna.
Oppure, per andare sul sicuro e
risparmiare anche un po’, si può chiedere aiuto direttamente ad una delle
associazioni più attive nel campo: «Women on web», che nasce come evoluzione
dell’organizzazione no-profit «Women on waves», fondata nel 1999 dalla
ginecologa olandese Rebecca Gomperts quando, a bordo di una nave e in acque
internazionali, forniva la pillola RU486 (già legale, allora, in Olanda) alle
donne che vivevano in Paesi dove l’aborto era vietato o di difficilissimo
accesso. Memorabile fu la campagna del 2004 in Portogallo quando per impedire
all’imbarcazione della dottoressa Gomperts di entrare in acque nazionali, la
Difesa portoghese inviò due navi da guerra.
Oggi, come ha raccontato lei
stessa intervenendo al recente Congresso mondiale per la libertà scientifica
tenuto a Bruxelles dall’Associazione Luca Coscioni, gli uomini e le donne di
«Women on web» praticano azioni di disobbedienza civile che assomigliano quasi
a performance artistiche, dall’alto contenuto simbolico oltre che civico. Come
nel 2015, quando per la prima volta fecero alzare in volo gli «Abortion drone»,
droni spargi pillole lanciati dalla Germania verso la cattolicissima Polonia (e
l’anno successivo verso l’Irlanda del Sud e del Nord), per portare alle donne,
cui è impedito il ricorso ad una sicura interruzione volontaria di gravidanza
(IVG), farmaci abortivi e numeri di telefono utili per un consulto medico.
Ma le richieste di aiuto,
all’associazione «Women on web», arrivano anche dall’Italia: «Nel 2017 siamo
stati contattati da 474 donne che vivono sul territorio italiano», riferisce al
manifesto Rebecca Gomperts. E il trend sembra in salita perché «nel 2016 erano
202, nel 2015 poche di più, 278, mentre nel 2014 sono state 53 e nel 2013 in 28
ci avevano chiesto di fornire loro farmaci abortivi». «Al netto delle eccezioni
– continua la portavoce di Women on web – possiamo semplificare dicendo che in
genere riceviamo quattro tipi di richieste dall’Italia: donne italiane
residenti in piccole città che sono circondate da obiettori di coscienza e/o
non possono spostarsi per raggiungere un ospedale; donne italiane che conoscono
qualcuno all’ospedale e diffidano della riservatezza di medici e infermieri;
donne italiane che possono andare in ospedale ma sono convinte che saranno maltrattate
e giudicate dallo staff, e infine donne immigrate in Italia che non possono
accedere all’assistenza sanitaria locale, sia per le barriere linguistiche, sia
per mancanza di documenti adeguati».
Nell’ultima relazione
sull’attuazione della legge 194 presentata al Parlamento a fine 2017, con i
dati del 2016, il ministero della Salute riferisce dell’aumento del ricorso
all’aborto farmacologico, il cui uso «varia molto fra regioni»: «Nel 2016 – si
legge nel documento – il mifepristone con successiva somministrazione di
prostaglandine è stato adoperato nel 15.7% dei casi, rispetto al 15.2% del 2015
e al 12.9% del 2014». In generale invece il numero di aborti continua a
scendere: 84.926 nel 2016 «con una diminuzione del 3.1% rispetto al 2015, anno
in cui la riduzione delle IVG rispetto all’anno precedente è stata
sensibilmente maggiore (-9.3%)». Per il terzo anno di seguito, secondo la
relazione al Parlamento, «il numero totale delle IVG è stato inferiore a 100
mila, più che dimezzato rispetto ai 234.801 del 1982, anno in cui si è
riscontrato il valore più alto in Italia». Inoltre, «considerando solamente le
IVG effettuate da cittadine italiane, per la prima volta il valore scende al di
sotto di 60 mila».
Dunque sembrerebbe una buona
notizia il fatto che il tasso di abortività (numero di IVG per 1000 donne tra
15 e 44 anni, secondo lo standard internazionale) sia da noi in continua
diminuzione e dal 2011 risulti tra i più bassi al mondo. Nel 2016 per esempio
in Italia si è fermato all’8 per mille, leggermente maggiore di quello svizzero
(6,3) e tedesco (6,8), mentre negli Stati uniti l’abortion rate viaggia attorno
al 14 per mille, in Gran Bretagna al 16, in Spagna al 10, in Francia al 18 e in
Svezia raggiunge addirittura quota 20. Eppure, «qualcosa non torna», nota la
ginecologa Mirella Parachini, attivista storica del Partito radicale e tra le
maggiori conoscitrici italiane ed europee del fenomeno.
«Questa diminuzione degli aborti
sarebbe un buon segno se contemporaneamente si registrasse un uso della
contraccezione almeno pari a quello degli altri Paesi. Ma così non è. Allora,
se in Italia, oltre al tasso di abortività, anche la natività, l’uso dei
contraccettivi e pure il livello di occupazione femminile sono tra i più bassi
d’Europa, bisogna porsi qualche domanda. Verrebbe da pensare – ipotizza
Parachini – che la sessualità degli italiani non è la stessa degli altri Paesi
europei». Ma soprattutto, sottolinea l’esponente radicale, bisogna considerare
«il peso dell’aborto clandestino». Secondo le stime dell’Istat riferite dalla
ministra Beatrice Lorenzin, il numero di aborti clandestini si attesta oggi tra
i 10 mila e i 13 mila l’anno. Non più mammane, però, ma farmaci comperati on
line. Da prendere comodamente a casa senza dover passare neppure un giorno in
ospedale, come impongono invece le linee guida redatte dall’allora
sottosegretaria alla Salute del governo Berlusconi, Eugenia Roccella, e
confermate poi dal Consiglio superiore di sanità che ha ritenuto ineludibile il
ricovero ordinario obbligatorio.
OBIETTORI E OBIEZIONI
ccede per esempio che
«nei reparti di ginecologia romani, non vediamo più le donne nigeriane,
soprattutto le prostitute, ma neanche quelle cinesi, contrariamente a quanto
avveniva prima», testimonia Mirella Parachini che, in controtendenza, afferma:
«Non mi piace ripetere il mantra dell’eccesso di obiettori di coscienza e de
“la legge 194 non si tocca”, piuttosto lo slogan dovrebbe essere: “La 194 si
applica”. E mi piacerebbe che imitassimo di più la Francia, dove la legge di
Simone Veil, già molto all’avanguardia, è stata ritoccata 8 volte, ma per
migliorarla, per rendere l’interruzione volontaria di gravidanza più
accessibile e sicura. Con la possibilità di assumere a casa la pillola Ru486, o
per esempio eliminando la “pausa di riflessione” di 7 giorni e il limite delle
“condizioni di difficoltà della donna” che veniva imposto per poter accedere al
servizio».
In ogni caso, però, il fenomeno
dell’eccesso di obiettori di coscienza, che rende inapplicata la legge 194, è
evidentissimo, anche se il ministero della Salute insiste nell’affermare che
«il numero di non obiettori risulta congruo, anche a livello locale, rispetto
alle IVG effettuate, e il carico di lavoro richiesto, anche nelle situazioni di
maggiore scostamento dai valori medi, non dovrebbe impedire ai non obiettori di
svolgere anche altre attività oltre le IVG e non dovrebbe creare problemi nel
soddisfare la domanda di IVG». Eppure, se si va a spulciare fino in fondo la
relazione al Parlamento, si scoprono dei dati sconfortanti: nel 2016 risultano
ancora obiettori, nel pubblico, il 70,5% dei ginecologi (un dato in costante
crescita), il 47,5% degli anestesisti e il 42,3% del personale non medico
(stabili, gli ultimi due dati). E in media, solo il 60,4% (371 su 614) dei
reparti di ginecologia ospedalieri adibiti alla degenza prestano il servizio di
IVG, con punte minime in Campania (27,1%), Lazio (35,8%) e provincia autonoma
di Bolzano (22,2%). Nel 94,5% dei casi si tratta di strutture pubbliche e non
del privato convenzionato.
Il servizio pubblico però piange.
Succede infatti – altra novità e sostanziale differenza con quarant’anni fa –
che i consultori non rappresentino più quel presidio territoriale
imprescindibile per promuovere una sana politica della salute familiare.
«Il consultorio era il fulcro di
una politica che perseguiva la salute riproduttiva e coltivava le libere scelte
dei cittadini compiute in autonomia e consapevolezza», ricorda la ginecologa
Anna Pompili che ancora oggi lavora nelle strutture pubbliche romane ed è la
fondatrice dell’associazione Amica (medici italiani contraccezione e aborto). È
lei a sottolineare che la storia dell’applicazione della legge 194 è legata a
doppio filo a quella dei consultori familiari, istituiti 43 anni fa con la
legge 405/1975.
C’ERA UNA VOLTA IL CONSULTORIO
«Uno degli organi più importanti
del consultorio era l’assemblea delle donne – ricorda Pompili – perché avevamo
un’idea di medicina che considerava i pazienti soggetti attivi. Un concetto che
è andato via via perdendosi. Ancora nel 1997, quando con il piano di
riqualificazione chiamato Pomi (Progetto obiettivo materno infantile) venne
pianificata una nuova organizzazione dei consultori, se ne prevedevano almeno
uno ogni 20 mila abitanti. Oggi invece, rispetto a quelli previsti allora, ne
rimangono poco più della metà: 0,6 consultori ogni 20 mila abitanti. Ma è un
numero assolutamente gonfiato – continua la dottoressa Pompili – perché
comprende anche centri vaccinali, ambulatori per disabili adulti, e simili».
Eppure, il consultorio è ancora
l’unico servizio rimasto con equipe multidisciplinare completamente gratuito.
«Purtroppo però sta prendendo piede una politica che ne persegue lo
smantellamento – prosegue, rammaricata, Anna Pompili – con azioni che vanno dal
blocco del turn over, con la conseguente decimazione delle equipe sanitarie,
alla trasformazione del servizio di counseling in una sorta di indottrinamento
cattolico. In Lombardia, per esempio, la stragrande maggioranza dei consultori
sono cattolici, e lì ai giovani che chiedono informazioni sulla contraccezione
spesso si risponde propagandando solo i metodi naturali di controllo della
fertilità. Perfino la gratuità del servizio è messa in discussione perché,
volendo assimilare i consultori a poliambulatori, la dirigenza delle Asl sta
cambiando orientamento e in alcune regioni diverse prestazioni non sono più
gratuite ma richiedono il pagamento di un ticket».
Infine, conclude la ginecologa,
«va ricordato che il progetto “aborto farmacologico in consultorio” è stato
miseramente messo da parte perfino in quelle regioni, come il Lazio, dove il
governo ha bloccato tutto alla vigilia dell’applicazione di un piano che era stato
approvato, firmato e controfirmato. Forse non è superfluo ricordare che nei
Paesi civili si seguono le indicazioni della Food and drug administration, che
raccomanda l’assunzione a casa della pillola abortiva Ru486».
Cosa rimane allora, a distanza di
quarant’anni, di quella battaglia combattuta dalle donne in prima persona che
aspirava a coltivare libertà e consapevolezza per sé e per tutti? E alla fine
dei conti, che bilancio si può dare di quella legge che poi venne confermata
anche dalla volontà popolare? Una domanda da porre a chi, come Marco Pannella e
i Radicali, era negli anni Settanta ferocemente contrario alla 194. «Avevamo
ragione concettualmente, in linea teorica era giusto chiedere di intervenire
solo con la depenalizzazione dell’aborto. Ma oggi, dopo quattro decenni dalla
sua applicazione, io benedico che ci sia stata questa legge – riconosce Mirella
Parachini – Mille volte mi sono battuta per la sua applicazione brandendo e
sventolando il testo. Purtroppo questo è un Paese talmente malridotto sulle
libertà che i diritti acquisti 40 anni fa sono il massimo che si possa
ottenere».
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