Il Pm commenta su Repubblica le motivazioni del processo
trattativa
Redazione, Antimafia
2000
23 luglio 2018
"Questa
sentenza è la conferma importante della tesi investigativa su cui ho lavorato
per anni, sin dai tempi in cui chiesi e ottenni a Caltanissetta 20 condanne
all’ergastolo nel processo via d’Amelio-ter e sostenni che l’anomalia di quella
strage consisteva in una sua improvvisa accelerazione rispetto agli originali
piani di Cosa nostra".
Così il sostituto
procuratore nazionale antimafia, Nino Di Matteo, intervistato da La Repubblica,
commenta le motivazioni della sentenza depositate ieri dalla Corte d'Assise di
Palermo, presieduta da Alfredo Montalto. Una sentenza che stabilisce
chiaramente che "la trattativa ci fu" e che "fu iniziata da
organi dello Stato che cercarono il contatto con i capi di Cosa nostra".
"Giuridicamente - aggiunge il magistrato - è stata ritenuta criminale. E
di fatto, come hanno letteralmente scritto i giudici, l’invito al dialogo
pervenuto a Riina dai carabinieri attraverso Vito Ciancimino costituì 'un
elemento di novità che può avere determinato l’effetto di accelerare l’omicidio
del dottor Borsellino con la finalità di approfittare di quel segnale di
debolezza proveniente dalle istituzioni dello Stato'".
Secondo Di Matteo
si conferma che "l’interesse ad eliminare Borsellino non era soltanto
mafioso. In quel momento con la mafia stava trattando un pezzo dello
Stato". Dunque "per comprendere la gravità di quanto è accaduto
bisogna usare un grandangolo ed esaminare nel suo complesso la stagione delle
stragi".
Secondo Di Matteo
la sentenza offre l'opportunità di "andare a fondo nel percorso di verità
sulla stagione stragista" anche se in passato non sono mancati gli
ostacoli. "Nel corso delle indagini - ha ricordato rispondendo alle
domande di Liana Milella - abbiamo ordinato ai servizi e al Ros dei carabinieri
di consegnarci tutta la documentazione su quella trattativa, ci hanno solo
mostrato cartelle vuote. Non hanno voluto collaborare con quei magistrati che
chiedevano di aprire gli archivi".
Riguardo alla
posizione di Marcello Dell'Utri e il riferimento a Silvio Berlusconi per il pm
"è molto grave che, come afferma la Corte, quando nel 1994 Berlusconi fu
presidente del Consiglio, 'vi sono ragioni logico fattuali che conducono a non
dubitare che Dell'Utri gli abbia effettivamente riferito quanto emergeva dai
suoi rapporti con Cosa nostra mediati da Vittorio Mangano. Quindi è stato ritenuto
provato che Dell'Utri fece da intermediario anche tra Cosa nostra e il
Berlusconi politico, dopo aver svolto per molti anni lo stesso ruolo con
Berlusconi imprenditore".
Di Matteo, che ha
ricordato la solitudine vissuta da lui ed i suoi colleghi (Vittorio Teresi,
Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia, e ancor prima Antonio Ingroia finché è
rimasto in magistratura) ha voluto sottolineare come "Adesso tutti devono
fare la loro parte e non lasciare solo a pochi e sempre più soli magistrati il
peso esclusivo della ricerca di verità scabrose. È giunto il momento in cui la
politica e tutte le istituzioni governative si devono far carico di questa
responsabilità".
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