domenica 22 luglio 2018

MAFIE: Trattativa, tra silenzi ed ''amnesie'' di Stato


Da Liliana Ferraro a Violante le "eclatanti dimenticanze" raccontate nelle motivazioni della sentenza

Aaron Pettinari, Antimafia 2000
23 luglio 2018


"Non ricordo", "non so", "non credo". Tante volte queste parole sono state pronunciate, in particolare dai testi istituzionali, in questi anni di dibattimento al processo trattativa Stato-mafia che si è concluso lo scorso 20 aprile. Da un lato la "giustificazione" degli oltre vent'anni trascorsi dagli anni delle stragi dall'altra, però, la sensazione che alcuni episodi, che proprio per la loro gravità sarebbero dovuti rimanere impressi, siano stati taciuti o archiviati (volutamente?) nei luoghi più reconditi della memoria finché Massimo Ciancimino, il figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo, non ha iniziato a raccontare certi fatti. Ciancimino jr, di fatto, non viene preso in considerazione dalla Corte per giungere alle condanne. Le sue dichiarazioni, anche quelle che possono avere un fondamento di verità, vengono considerate neutre, ovvero non utilizzabili (“Ritiene la Corte che non si possa e debba attribuire alcuna valenza probatoria alle dichiarazioni di Massimo Ciancimino per la sua verificata complessiva inattendibilità che ne impedisce qualsiasi uso, ma senza che, però, da ciò possa e debba farsi derivare una valutazione negativa sulla reale esistenza di fatti e accadimenti sol perché gli stessi siano stati eventualmente inseriti nel più ampio racconto dello stesso Ciancimino”).

Certo è che dall'intervista rilasciata a Panorama, molti "smemorati di Stato" hanno iniziato a recuperare la memoria, taluni persino recandosi spontaneamente alla Procura di Palermo per fornire la propria testiminianza ed anche questo è scritto nero su bianco. Alla rilevanza mediatica di quel racconto "può attribuirsi esclusivamente il "merito" del risultato, non è dato sapere quanto voluto o previsto dall'interessato, di avere così stimolato i ricordi di testi sino ad allora silenti costringendoli ad 'uscire allo scoperto'".

Ed il capitolo dei "ricordi tardivi" viene affrontato nelle oltre cinquemila pagine di motivazioni della sentenza della Corte d'assise di Palermo, presieduta da Alfredo Montalto.

Le "eclatanti dimenticanze" di Stato riguardano alcuni carabinieri del Ros, l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, persino la più stretta collaboratrice (ed amica) di Giovanni Falcone all'ufficio Affari penali del ministro della Giustizia, Liliana Ferraro. E poi ancora la dottoressa Fernanda Contri (ex segretario generale della presidenza del Consiglio), l'ex ministro della Giustizia Claudio Martelli, l'ex presidente della Commissione antimafia Luciano Violante, l'ex ministro della Giustizia Giovanni Conso. Tutti, in un modo o in un altro, mantenuto il silenzio per oltre vent'anni.

La deposizione "ambigua" della Ferraro

Leggendo le Carte proprio la deposizione della dottoressa Ferraro, che dopo la morte di Falcone andò a dirigere l'ufficio Affari penali del ministero della Giustizia, viene messa sotto la lente d'ingrandimento dei giudici. Sostanzialmente, quel che emerge, è che non collaborò nel fornire informazioni chiave, come ci si sarebbe aspettati da quella che era risaputo essere una persona molto vicina al magistrato ucciso il 23 maggio 1992.

Lei sapeva di quel dialogo tra i carabinieri del Ros con Vito Ciancimino. E fino al 14 novembre 2009, dopo essere stata tirata in ballo da Claudio Martelli, è rimasta in silenzio su quella richiesta di "copertura politica" al ministro della Giustizia.

All'epoca la dottoressa Ferraro invitò comunque Mori a parlare subito con i magistrati di Palermo, poi lei stessa accennò del dialogo con Ciancimino a Borsellino, durante un incontro in aeroporto.

I giudici sottolineano anche “l’evidente tentativo di Liliana Ferraro di minimizzare gli approcci del Ros con Ciancimino”. Secondo la Corte la Ferraro “avrebbe potuto fornire tempestivamente ed in modo assolutamente spontaneo informazioni che erano dirette a meglio ricostruire quel contesto che ha preceduto e seguito le stragi di Capaci e di via D’Amelio”. E rispetto alla sua testimonianza di fronte alla Corte i giudici parlano di "deposizione sorprendente" con "eclatanti dimenticanze" con una ricostruzione fornita ritenuta "poco credibile" con dichiarazioni che “non possono non suscitare forti perplessità”.

La Corte scrive anche che "si è ritenuto opportuno le suddette considerazioni perché, pur senza volere ritenere che, come adombrato dal pm attraverso alcune domande, quelle reticenti dichiarazioni possano essere conseguenza del rapporto in qualche modo instaurato dalla Ferraro con i Servizi di Sicurezza di questo Paese quale consulente del competente dipartimento presso al Presidenza del Consiglio, non v'è dubbio che traspare dalla testimonianza della Ferraro un atteggiamento complessivamente ambiguo che fa il paio con l'evidente tentativo di minimazzere gli approcci del Ros con Vito Ciancimino".

La trattativa illecita

Secondo la Corte quell'interlocuzione con l'ex sindaco mafioso di Palermo non fu un semplice contatto con un confidente (come sempre hanno sostenuto Mori e De Donno spiegando l'intento di "far cessare le stragi") ma una vera e propria trattativa con Cosa nostra.

Il presidente della corte d’assise Alfredo Montalto scrive "che non può ritenersi lecita una trattativa da parte di rappresentanti delle istituzioni con soggetti che si pongano in rappresentanza dell’intera associazione mafiosa" e a supporto della considerazione ricorda l'altrettanto grave episodio del rapimento di Aldo Moro. In quell'occasione, diversamente, "lo Stato scelse la via dell’assoluta fermezza". Così l’iniziativa dei carabinieri non viene considerata come un’azione di polizia spregiudicata, ma qualcosa di più. Così a Mori, De Donno e Subranni viene attribuito "il dolo specifico di colui che abbia lo scopo di agevolare l’attività di un’associazione di tipo mafioso o che comunque abbia fatto propria tale finalità". Secondo la Corte proprio la trattativa porterà alla morte del giudice Paolo Borsellino, appena 57 giorni dopo la strage di Capaci.

Ma perché si sono dovuti attendere vent'anni per ricostruire le pagine di una storia che ancora oggi appare incompleta?

Sicuramente il silenzio istituzionale non ha aiutato il raggiungimento della verità e anche gli organi di informazione che scientemente ieri parlavano di "trattativa presunta" e "boiata pazzesca" oggi proseguono a minimizzare la portata della sentenza.

Martelli, Violante, Conso e Contri: alla ricerca della memoria perduta

Per quanto riguarda l'ex ministro della Giustizia Claudio Martelli è certo che questi non aveva mai parlato col Ros, ma aveva saputo dei contatti tra i militari e Ciancimino da Liliana Ferraro. Pure Martelli si è ricordato di riferirne tanti anni dopo.

Nell'elenco degli "smemorati eccellenti" c'è anche l'ex presidente della Commissione antimafia Luciano Violante: alla stregua della Ferraro, anche lui, fino al 2009, ha taciuto. Mai una parola era emersa sull'avvenuto incontro con i militari, nel quale venne informato della delicata trattativa in corso con conseguente richiesta di copertura politica. In particolare Violante raccontò che il colonnello Mario Mori gli portò la proposta di Vito Ciancimino di incontrarlo in maniera riservata. Proposta che il presidente dell'Antimafia rifiutò dicendo di fare un'istanza ufficiale per essere ascoltato dalla Commissione.

La lista continua con l'ex ministro Giovanni Conso (deceduto mentre era ancora indagato per false informazioni ai pm), che inspiegabilmente "cancellò" il 41 bis per trecento mafiosi nel 1993, e nei cui comportamenti in sede di deposizione i giudici di Palermo una profonda incoerenza in quanto vi è un "assoluto evidente (e appariscente) contrasto fra le prime dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria nel 2002 quando ancora il tema trattativa non era salito alla ribalta delle cronache con le altre sue dichiarazioni del 2009". E poi ancora viene inserita nell'elenco Fernanda Contri, ex segretario generale della presidenza del Consiglio, un'altra figura istituzionale che si è trincerata dietro ad un silenzio pluriennale fino alle dichiarazioni di Massimo Ciancimino.

Sorprendente Scalfaro

Anche la testimonianza dell’ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro (deceduto nel gennaio 2012) viene affrontata dalla Corte. I pm nella requsitoria avevano parlato di “evidente reticenza e falsità” rispetto alle dichiarazioni rilasciate alla Procura di Palermo il 15 dicembre 2010. Secondo l'accusa la prova del "mendacio" nella vicenda 41 bis e nella sostituzione dei vertici del Dap, era anche documentale (“Le annotazioni nell’agenda di Ciampi dimostrano che i primi sei mesi del ’93 era necessario cambiare radicalmente la politica carceraria. Inoltre documentano il mendacio di Scalfaro e il suo attivismo” ). Nelle motivazioni a testimonianza dell’ex presidente della Repubblica di fronte ai pm viene invece definita “sorprendente” in quanto “in assenza e prima di qualsiasi domanda o cenno, ha spontaneamente escluso la sussistenza, non soltanto di una qualsiasi possibile trattativa tra Stato e mafia” ma anche “il possibile legame tra il regime del 41-bis e le stragi del 1993”. Secondo i giudici “ove si volesse escludere la consapevole reticenza del teste, può trovare una qualche giustificazione soltanto il lungo tempo trascorso o di patologie dovute all’età avanzata”.

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