Da Liliana Ferraro a Violante le "eclatanti
dimenticanze" raccontate nelle motivazioni della sentenza
Aaron Pettinari, Antimafia
2000
23 luglio 2018
"Non
ricordo", "non so", "non credo". Tante volte queste
parole sono state pronunciate, in particolare dai testi istituzionali, in
questi anni di dibattimento al processo trattativa Stato-mafia che si è
concluso lo scorso 20 aprile. Da un lato la "giustificazione" degli
oltre vent'anni trascorsi dagli anni delle stragi dall'altra, però, la
sensazione che alcuni episodi, che proprio per la loro gravità sarebbero dovuti
rimanere impressi, siano stati taciuti o archiviati (volutamente?) nei luoghi
più reconditi della memoria finché Massimo Ciancimino, il figlio dell'ex
sindaco mafioso di Palermo, non ha iniziato a raccontare certi fatti.
Ciancimino jr, di fatto, non viene preso in considerazione dalla Corte per
giungere alle condanne. Le sue dichiarazioni, anche quelle che possono avere un
fondamento di verità, vengono considerate neutre, ovvero non utilizzabili
(“Ritiene la Corte che non si possa e debba attribuire alcuna valenza
probatoria alle dichiarazioni di Massimo Ciancimino per la sua verificata
complessiva inattendibilità che ne impedisce qualsiasi uso, ma senza che, però,
da ciò possa e debba farsi derivare una valutazione negativa sulla reale
esistenza di fatti e accadimenti sol perché gli stessi siano stati
eventualmente inseriti nel più ampio racconto dello stesso Ciancimino”).
Certo è che
dall'intervista rilasciata a Panorama, molti "smemorati di Stato"
hanno iniziato a recuperare la memoria, taluni persino recandosi spontaneamente
alla Procura di Palermo per fornire la propria testiminianza ed anche questo è
scritto nero su bianco. Alla rilevanza mediatica di quel racconto "può
attribuirsi esclusivamente il "merito" del risultato, non è dato
sapere quanto voluto o previsto dall'interessato, di avere così stimolato i
ricordi di testi sino ad allora silenti costringendoli ad 'uscire allo
scoperto'".
Ed il capitolo dei
"ricordi tardivi" viene affrontato nelle oltre cinquemila pagine di
motivazioni della sentenza della Corte d'assise di Palermo, presieduta da
Alfredo Montalto.
Le "eclatanti
dimenticanze" di Stato riguardano alcuni carabinieri del Ros, l’ex sindaco
di Palermo Vito Ciancimino, persino la più stretta collaboratrice (ed amica) di
Giovanni Falcone all'ufficio Affari penali del ministro della Giustizia,
Liliana Ferraro. E poi ancora la dottoressa Fernanda Contri (ex segretario
generale della presidenza del Consiglio), l'ex ministro della Giustizia Claudio
Martelli, l'ex presidente della Commissione antimafia Luciano Violante, l'ex
ministro della Giustizia Giovanni Conso. Tutti, in un modo o in un altro,
mantenuto il silenzio per oltre vent'anni.
La deposizione
"ambigua" della Ferraro
Leggendo le Carte
proprio la deposizione della dottoressa Ferraro, che dopo la morte di Falcone
andò a dirigere l'ufficio Affari penali del ministero della Giustizia, viene messa
sotto la lente d'ingrandimento dei giudici. Sostanzialmente, quel che emerge, è
che non collaborò nel fornire informazioni chiave, come ci si sarebbe aspettati
da quella che era risaputo essere una persona molto vicina al magistrato ucciso
il 23 maggio 1992.
Lei sapeva di quel
dialogo tra i carabinieri del Ros con Vito Ciancimino. E fino al 14 novembre
2009, dopo essere stata tirata in ballo da Claudio Martelli, è rimasta in
silenzio su quella richiesta di "copertura politica" al ministro
della Giustizia.
All'epoca la
dottoressa Ferraro invitò comunque Mori a parlare subito con i magistrati di
Palermo, poi lei stessa accennò del dialogo con Ciancimino a Borsellino,
durante un incontro in aeroporto.
I giudici
sottolineano anche “l’evidente tentativo di Liliana Ferraro di minimizzare gli
approcci del Ros con Ciancimino”. Secondo la Corte la Ferraro “avrebbe potuto
fornire tempestivamente ed in modo assolutamente spontaneo informazioni che
erano dirette a meglio ricostruire quel contesto che ha preceduto e seguito le
stragi di Capaci e di via D’Amelio”. E rispetto alla sua testimonianza di
fronte alla Corte i giudici parlano di "deposizione sorprendente" con
"eclatanti dimenticanze" con una ricostruzione fornita ritenuta
"poco credibile" con dichiarazioni che “non possono non suscitare
forti perplessità”.
La Corte scrive
anche che "si è ritenuto opportuno le suddette considerazioni perché, pur
senza volere ritenere che, come adombrato dal pm attraverso alcune domande,
quelle reticenti dichiarazioni possano essere conseguenza del rapporto in
qualche modo instaurato dalla Ferraro con i Servizi di Sicurezza di questo
Paese quale consulente del competente dipartimento presso al Presidenza del
Consiglio, non v'è dubbio che traspare dalla testimonianza della Ferraro un
atteggiamento complessivamente ambiguo che fa il paio con l'evidente tentativo
di minimazzere gli approcci del Ros con Vito Ciancimino".
La trattativa
illecita
Secondo la Corte
quell'interlocuzione con l'ex sindaco mafioso di Palermo non fu un semplice
contatto con un confidente (come sempre hanno sostenuto Mori e De Donno
spiegando l'intento di "far cessare le stragi") ma una vera e propria
trattativa con Cosa nostra.
Il presidente della
corte d’assise Alfredo Montalto scrive "che non può ritenersi lecita una
trattativa da parte di rappresentanti delle istituzioni con soggetti che si
pongano in rappresentanza dell’intera associazione mafiosa" e a supporto
della considerazione ricorda l'altrettanto grave episodio del rapimento di Aldo
Moro. In quell'occasione, diversamente, "lo Stato scelse la via
dell’assoluta fermezza". Così l’iniziativa dei carabinieri non viene
considerata come un’azione di polizia spregiudicata, ma qualcosa di più. Così a
Mori, De Donno e Subranni viene attribuito "il dolo specifico di colui che
abbia lo scopo di agevolare l’attività di un’associazione di tipo mafioso o che
comunque abbia fatto propria tale finalità". Secondo la Corte proprio la
trattativa porterà alla morte del giudice Paolo Borsellino, appena 57 giorni
dopo la strage di Capaci.
Ma perché si sono
dovuti attendere vent'anni per ricostruire le pagine di una storia che ancora
oggi appare incompleta?
Sicuramente il
silenzio istituzionale non ha aiutato il raggiungimento della verità e anche
gli organi di informazione che scientemente ieri parlavano di "trattativa
presunta" e "boiata pazzesca" oggi proseguono a minimizzare la
portata della sentenza.
Martelli, Violante,
Conso e Contri: alla ricerca della memoria perduta
Per quanto riguarda
l'ex ministro della Giustizia Claudio Martelli è certo che questi non aveva mai
parlato col Ros, ma aveva saputo dei contatti tra i militari e Ciancimino da
Liliana Ferraro. Pure Martelli si è ricordato di riferirne tanti anni dopo.
Nell'elenco degli
"smemorati eccellenti" c'è anche l'ex presidente della Commissione
antimafia Luciano Violante: alla stregua della Ferraro, anche lui, fino al
2009, ha taciuto. Mai una parola era emersa sull'avvenuto incontro con i
militari, nel quale venne informato della delicata trattativa in corso con
conseguente richiesta di copertura politica. In particolare Violante raccontò
che il colonnello Mario Mori gli portò la proposta di Vito Ciancimino di
incontrarlo in maniera riservata. Proposta che il presidente dell'Antimafia
rifiutò dicendo di fare un'istanza ufficiale per essere ascoltato dalla
Commissione.
La lista continua
con l'ex ministro Giovanni Conso (deceduto mentre era ancora indagato per false
informazioni ai pm), che inspiegabilmente "cancellò" il 41 bis per
trecento mafiosi nel 1993, e nei cui comportamenti in sede di deposizione i
giudici di Palermo una profonda incoerenza in quanto vi è un "assoluto
evidente (e appariscente) contrasto fra le prime dichiarazioni rese
all’autorità giudiziaria nel 2002 quando ancora il tema trattativa non era
salito alla ribalta delle cronache con le altre sue dichiarazioni del
2009". E poi ancora viene inserita nell'elenco Fernanda Contri, ex
segretario generale della presidenza del Consiglio, un'altra figura
istituzionale che si è trincerata dietro ad un silenzio pluriennale fino alle
dichiarazioni di Massimo Ciancimino.
Sorprendente
Scalfaro
Anche la
testimonianza dell’ex presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro
(deceduto nel gennaio 2012) viene affrontata dalla Corte. I pm nella
requsitoria avevano parlato di “evidente reticenza e falsità” rispetto alle
dichiarazioni rilasciate alla Procura di Palermo il 15 dicembre 2010. Secondo
l'accusa la prova del "mendacio" nella vicenda 41 bis e nella
sostituzione dei vertici del Dap, era anche documentale (“Le annotazioni
nell’agenda di Ciampi dimostrano che i primi sei mesi del ’93 era necessario
cambiare radicalmente la politica carceraria. Inoltre documentano il mendacio
di Scalfaro e il suo attivismo” ). Nelle motivazioni a testimonianza dell’ex
presidente della Repubblica di fronte ai pm viene invece definita
“sorprendente” in quanto “in assenza e prima di qualsiasi domanda o cenno, ha
spontaneamente escluso la sussistenza, non soltanto di una qualsiasi possibile
trattativa tra Stato e mafia” ma anche “il possibile legame tra il regime del
41-bis e le stragi del 1993”. Secondo i giudici “ove si volesse escludere la
consapevole reticenza del teste, può trovare una qualche giustificazione
soltanto il lungo tempo trascorso o di patologie dovute all’età avanzata”.
Nessun commento:
Posta un commento