Aaron Pettinari – Antimafia 2000
30 settembre ’18
Il processo trattativa Stato-mafia, le motivazioni
della sentenza, le inchieste sulle stragi, la sparizione dell'Agenda Rossa, le
parole di Papa Francesco. Il sostituto procuratore nazionale antimafia, Nino Di
Matteo, parla di tutto questo con Paolo Borrometi, nell'intervista fiume
rilasciata andata in onda su Tg2000, il telegiornale di Tv2000. L'occasione è
stata data dalla presentazione del suo libro, ‘Il patto sporco’, scritto con il
giornalista (e nostro editorialista) Saverio Lodato.
Rispondendo alle domande Di Matteo ha ricordato
quanto viene stabilito dalla sentenza di primo grado dello scorso 20 aprile:
"Questa sentenza di primo grado certifica come la trattativa ci fu e che
uomini dello Stato si resero complici con i vertici di Cosa nostra nel ricatto
nei confronti di quattro diversi governi della Repubblica. Per la giustizia ci
sono voluti 25 anni per affermare, con una sentenza pronunciata nel nome del
popolo italiano, quello che era accaduto. Ma nel libro ci crediamo con
amarezza, se quanto oggi consacrato in una sentenza dei giudici non era
conosciuto ben prima, da soggetti ed ambienti della politica e delle
istituzioni che invece che denunciare hanno preferito tacere, nascondere o
preferito cancellare le prove di quel terribile connubio. Oggi possiamo essere
soddisfatti del risultato a cui è arrivata la magistratura, ma non cancella
questa soddisfazione l'amarezza della reticenza, ed oserei dire dell'omertà
istituzionale, che ha caratterizzato ampi settori della politica e delle
istituzioni rispetto un tema così delicato e così strettamente intersecato con
quello delle stragi che hanno insanguinato la Sicilia e l'Italia intera tra il
1992 ed il 1993".
Berlusconi e la mafia
Di Matteo ha anche parlato di quel che la Corte
dice sull'ex premier Silvio Berlusconi: "Si ritiene da parte dei giudici
che Silvio Berlusconi continuò a pagare ingenti somme di denaro a Cosa nostra
palermitana anche dopo essere diventato Presidente del Consiglio".
“Risultano annotati in un libro mastro della mafia palermitana - ha aggiunto Di
Matteo - movimenti di denaro e ricezione di una somma montante a centinaia di
milioni da parte del gruppo imprenditoriale legato a Berlusconi anche dopo che
Silvio Berlusconi aveva assunto la carica di Presidente del Consiglio. Un
Presidente del Consiglio, se questo è vero, il capo di un governo della nostra
Repubblica pagava Cosa nostra”. “Nonostante un gravissimo silenzio e una
gravissima ignoranza indotta nell'opinione pubblica, sull'argomento - ha
raccontato Di Matteo - noi magistrati avevamo già una sentenza che aveva
condannato definitivamente il senatore Dell'Utri per concorso in associazione
mafiosa. Questa stabiliva e statuiva che l’allora imprenditore Silvio
Berlusconi nel 1974 con l'intermediazione di Marcello Dell'Utri avesse
stipulato un patto con esponenti apicali, esponenti di vertice della Cosa
Nostra palermitana. Patto di reciproca protezione e sostegno. E che quel patto
era stato rispettato dal 1974 almeno fino al 1992".
"Ma questa sentenza di primo grado sulla
trattativa Stato-mafia - ha sottolineato Di Matteo - va oltre. È stato
dimostrato che l'intermediazione di Dell'Utri è proseguita attraverso la
trasmissione di messaggi e richieste di Cosa Nostra a Silvio Berlusconi anche
dopo il 1992. Soprattutto dopo che Silvio Berlusconi a seguito delle elezioni
del marzo 1994 divenne Presidente del Consiglio. Quindi per la prima volta
questa sentenza chiama in ballo Silvio Berlusconi non più come semplice
imprenditore ma come uomo politico addirittura come Presidente del Consiglio.
Questo è un passaggio che pochi hanno sottolineato che può essere incidentale
ma è assolutamente indicativo della gravità del comportamento di Silvio
Berlusconi che i giudici ritengono accertato, è un passaggio apparentemente
slegato all’imputazione mossa a Dell'Utri in questo processo ma molto
significativo”.
L'Agenda Rossa
Rispondendo ad una domanda sulla sparizione
dell'Agenda Rossa di Paolo Borsellino il magistrato ha ricordato che
“Borsellino probabilmente aveva, se non saputo, cominciato ad intuire qualcosa
sull'esistenza della trattativa. È assolutamente plausibile che qualcuno avesse
da temere che Borsellino avesse annotato quei suoi sospetti nell'agenda rossa
che portava sempre con sé”.
“È molto importante - ha sottolineato il sostituto
procuratore nazionale antimafia - quello che è stato scritto a proposito
dell'effetto che la trattativa può avere giocato sull'accelerazione improvvisa
dell’intenzione di uccidere il dottor Borsellino. È assolutamente plausibile,
questo lo aggiungo io ma lo aggiungo sulla base di elementi di fatto e
processuali di particolare consistenza, che l'agenda rossa sia stata fatta
sparire proprio per evitare che quei sospetti potessero, dopo l'uccisione di
Paolo Borsellino, trovare una conferma documentale in quell’agenda”.
“E certamente - ha proseguito Di Matteo - penso
che lo possiamo affermare secondo un criterio di buon senso e logica ed
esperienze di chi da molti anni si occupa di processi di mafia, l'agenda rossa
non può essere stata fatta sparire dai mafiosi che hanno partecipato alla
strage ma con ogni probabilità da uomini di uno Stato deviato che già in quel
momento hanno voluto nascondere elementi importanti per la ricostruzione del
movente dell'uccisione del giudice e degli agenti della scorta”.
Infine Di Matteo ha anche commentato le parole
dette da Papa Francesco contro la mafia durante la sua visita a Palermo lo
scorso 15 settembre ("Non si può credere in Dio ed essere mafiosi. Chi è
mafioso non vive da cristiano, perché bestemmia con la vita il nome di
Dio-amore"). "Nessuno - ha detto Di Matteo - può avere, dopo le
parole di Papa Francesco a Palermo, l'alibi di pensare che l'essere mafioso e
l'essere cristiano siano concetti compatibili. Le parole di Papa Francesco da
siciliano, italiano, cittadino, magistrato e da cristiano mi hanno suscitato
una grande speranza e un ulteriore conforto. Sono state parole importanti
pronunciate con toni diversi rispetto alla famosa invettiva di Giovanni Paolo
II alla Valle dei Templi nel 1993 ma pronunciate nella sostanza con altrettanta
fermezza”. “Ho apprezzato moltissimo - ha concluso il pm - come la maggior
parte dei fedeli quelle parole. Ho una speranza e un sogno che quelle parole,
quelle prese di posizioni così nette, forti, e belle di Papa Francesco
diventino quotidianamente sul territorio soprattutto nel territorio della
nostra Sicilia parole, azioni e prese di posizioni quotidiane di tutti: dei
vescovi, dei sacerdoti e di tutti i cristiani. Non devono rimanere parole
pronunciate il 15 settembre in occasione dell'anniversario della morte di Padre
Pino Puglisi, devono rimanere un faro che spero possa guidare l'azione
quotidiana di tutti i cristiani e non solo. Non c'è nulla di più contrario al
messaggio cristiano dell’essere mafioso, di avere una mentalità mafiosa, di
avere una mentalità che accetti la mafia, la corruzione e il malaffare come un
male necessario”.
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