Redazione – Rassegna sindacale
27 settembre ’18
La
Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l'articolo 3, comma 1, del
decreto legislativo 23/2015 sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a
tutele crescenti, ovvero il Jobs Act, nella parte che determina in modo rigido
l'indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato. Lo
riferiscono le agenzie di stampa. Il capitolo sull'indennità non è stato
modificato dal “decreto dignità” dell'attuale governo.
In
particolare, secondo la Corte, la previsione di un'indennità crescente in
ragione della sola anzianità di servizio del lavoratore è “contraria ai
princìpi di ragionevolezza e di uguaglianza e contrasta con il diritto e la
tutela del lavoro” sanciti dagli articoli 4 e 35 della Costituzione. La
sentenza sarà depositata nelle prossime settimane.
La
bocciatura arriva “su ricorso di una lavoratrice sostenuto dalla Cgil”, è il
primo commento del sindacato di corso d'Italia su twitter: “Una delle nostre
tante azioni di contrasto al Jobs Act”.
“Dalla
Corte Costituzionale è arrivata una decisione importante e positiva, che
dichiara illegittimo il criterio di determinazione dell'indennità di
licenziamento come previsto dal Jobs Act sulle tutele crescenti e non
modificato nell'intervento del decreto dignità. Nelle prossime settimane avremo
modo di commentare nel dettaglio la decisione, tuttavia quanto stabilito oggi
dalla Corte, a seguito di un rinvio del Tribunale di Roma su una causa per
licenziamento illegittimo promossa dalla Cgil, è un segnale importante per la
tutela della dignità dei lavoratori”. Così il segretario generale, Susanna
Camusso.
“Un
sistema - sottolinea la leader della Cgil - irragionevole e ingiusto, che
calpesta la dignità del lavoro e che permette di quantificare preventivamente
il costo che un’azienda deve sostenere per ‘liberarsi’ di un lavoratore senza
avere fondate e reali motivazioni. Vale a dire quello che potremmo definire la
rigida monetizzazione di un atto illegittimo".
Quanto
stabilito oggi dalla Corte Costituzionale, a suo avviso, "può e deve
riaprire una discussione più complessiva sulle tutele in caso di licenziamento
illegittimo per le quali, per la Cgil, è fondamentale il ripristino e
l'allargamento della tutela dell'articolo 18. Come proposto nella ‘Carta dei
diritti’, non è rinviabile la definizione di un sistema solido e universale di
tutele nel lavoro, superando la logica sbagliata che ha guidato le riforme del
mercato del lavoro degli ultimi anni, ultima il Jobs Act, che hanno attaccato
il sistema delle tutele e dei diritti, svilendo il ruolo del lavoro nel nostro
Paese”.
LaCorte costituzionale ha dichiarato illegittimo l’articolo 3 comma 1 del decreto
legislativo n 23/2015 sul contratto di lavoro a tutele crescenti che definisce
in modo rigido l’indennità spettante al lavoratore ingiustamente licenziato. La
previsione di una indennità “risarcitoria” crescente in ragione della sola
anzianità di servizio è secondo la Consulta contraria ai principi di
ragionevolezza e di uguaglianza e contrasta con il diritto e la tutela del
lavoro sanciti dagli articoli 4 e 35 della Costituzione. In parole povere uno
dei cardini del cosiddetto Jobs Act è, secondo i giudici della Suprema Corte,
incostituzionale.
IL
RICORSO
La vertenza riguarda il licenziamento di una pasticcera che si era rivolta agli
uffici della Cgil di Roma Nord, dopo essere stata allontanata dal posto di
lavoro nel dicembre del 2015 per motivi economici. Dopo l’impugnativa del
licenziamento, l’azienda ha disertato le convocazioni formali, e i legali,
Carlo De Marchis e Amos Andreoni, che assistevano la lavoratrice ne hanno
chiesto la reintegra. Lo rende noto la Filcams.
Il
giudice ha fatto una ordinanza di sospensione che ha consentito così il ricorso
alla Corte. Il pronunciamento della Corte Costituzionale ha ritenuto fondato il
ricorso sostenendo che la rigidità della quantificazione economica della
indennità risarcitoria legata esclusivamente alla anzianità di servizio
(introdotta dal Jobs Act) contrasta con il riconoscimento del diritto al
lavoro, alla sua tutela, e alla promozione delle condizioni che rendano
effettivo questo diritto previsti dall’articolo 4 e dall’articolo 35 della
Carta Costituzionale.
La
riforma voluta del governo Renzi ha di fatto impedito al giudice di entrare nel
merito di ogni singolo contenzioso legato al licenziamento del lavoratore, ivi
compreso il comportamento delle parti. Il ruolo della magistratura viene
ridotto ad un semplice assolvimento burocratico e privato della facoltà di
effettuare valutazioni in base alla specificità di ogni singolo caso.
“Riteniamo
questa sentenza di assoluta rilevanza perché conferma il giudizio negativo che
come Filcams e come Cgil abbiamo fin da subito espresso, rispetto ad una norma
iniqua che pone il lavoratore alla mercè del datore di lavoro, impedendo anche
alla magistratura di compiere appieno il suo compito di valutazione dei
fatti. Un primo passo verso la
riassegnazione del valore di dignità e tutela del lavoro è stato compiuto. Questo
passo si va ad aggiungere a quelli che tramite accordi collettivi hanno difeso
l’articolo 18 e di cui la nostra categoria, a partire dal settore degli appalti
e del turismo, si è resa protagonista in questi anni.” Lo dichiara Cristian
Sesena, segretario nazionale responsabile del mercato del lavoro e del settore
turismo pubblici esercizi.
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