Giorgio Saccoia – Rassegna
sindacale
28 settembre ’18
Vivono condizioni di lavoro difficili, tra spinta
precarietà, elevata età media, fenomeni di burn-out e scarsa organizzazione.
Sono vittime di uno stigma sociale anti immigrati che ne complica le
prestazioni e sono inseriti in un sistema di servizi che fatica a fare rete,
schiacciato dalla perdurante logica dell'emergenza. Questo in estrema sintesi
il quadro delle condizioni di lavoro, nonché dei bisogni, di chi è impegnato
nel sistema dei servizi pubblici per l'immigrazione. A tracciare un resoconto è
una ricerca condotta dalla Funzione pubblica Cgil e dalla Fondazione Di
Vittorio, dal titolo La condizione delle lavoratrici e dei lavoratori dei
servizi pubblici per l'immigrazione. Un lavoro promosso dalla categoria dei
servizi pubblici della Cgil in occasione dell'iniziativa “UeCare - L'Europa
Solidale”, in questi giorni a Palermo.
Un appuntamento, quest'ultimo, che ha come
obiettivo la costruzione di una rete europea dei lavoratori dei servizi ai
migranti. Per questa ragione la Fp Cgil ha prodotto una video inchiesta e
promosso una ricerca per ricostruire un aspetto poco noto: le condizioni di
lavoro di chi opera nei servizi per l'immigrazione, coinvolgendo circa 40
operatrici e operatori. Nello specifico dagli operatori di front-office agli
educatori e mediatori culturali delle cooperative sociali, dagli impiegati
amministrativi ai medici e ai responsabili/coordinatori dei servizi, che
attraversano i comparti delle funzioni centrali dello Stato, degli enti Locali,
della sanità pubblica e privata e del vasto mondo socio assistenziale e delle
cooperative.
I lavoratori e le lavoratrici coinvolti
appartengono ai circa 65 mila operatori impegnati nel segmento di soccorso,
accoglienza e integrazione (che non comprende il contributo delle forze
dell'ordine) e che la Fp Cgil ha cercato di analizzare dando loro voce. Dalla
loro diretta testimonianza emerge come, spiega la ricerca, “l'Italia sia ormai
stabilmente un Paese di migrazioni, ma che non ha mai abbandonato la logica
dell'emergenza”. Non sembra, infatti, “che il sistema dei servizi per
l'immigrazione si sia adattato a questo scenario inedito per rispondere ai
nuovi bisogni dell'integrazione, ad esempio rafforzando sia i servizi di
accoglienza (per la quota di nuovi ingressi di persone richiedenti o
beneficiarie di protezione internazionale) sia rispetto all'inclusione sociale
e all'integrazione della componente di immigrati legalmente residenti da tempo,
i quali per gran parte risultano ‘lungo soggiornanti’ se non in procinto di
ottenere la cittadinanza italiana”.
I lavoratori si raccontano
Il sistema italiano dei servizi per l'immigrazione,
si rileva nel report Fp Cgil e Fdv, “è il risultato di una incessante opera di
collage e stratificazione di interventi, anche eterogenei tra di loro. Il
mancato superamento della logica dell'emergenza ha reso particolarmente fragile
la ricerca di una connessione coerente tra i vari livelli di intervento, a
scapito dell'efficienza complessiva del sistema, nonché dei diritti di
lavoratori e dei destinatari dei servizi”. Nella testimonianza dei lavoratori
intervistati fuoriescono dei nodi critici: “Quelli del lavoro di rete e del
coordinamento tra i vari attori del sistema; le inefficienze funzionali e le
storture di tipo amministrativo, che si sommano al disegno disorganico del
sistema dei servizi”. Così come sono evidenti “le contraddizioni e le ambivalenze
più generali dell'opzione italiana ai servizi pubblici, tra dequalificazione
del lavoro ed esternalizzazioni non sempre virtuose e governate, insieme alle
perduranti differenze tra le aree territoriali del Paese”.
Nelle parole dei lavoratori emerge con chiarezza
un lavoro che non fa rete. Nella ricerca si sottolinea “uno scarso
coordinamento e una fragile integrazione tra gli attori del sistema, sia sul
piano esplicito (con presenza o meno di coordinamenti formali tra i
responsabili dei servizi, presenza di protocolli e procedure condivise, ecc.)
sia su quello di fatto”. Le attività di accoglienza e integrazione si occupano
di persone spesso provate da viaggi drammatici e in fuga da esperienze di
violazione dei diritti umani. In un contesto di criticità e lacune dei servizi
per l'immigrazione, gli utenti rischiano di vedere vanificati gli sforzi degli
operatori a causa di un sistema che può produrre una spirale di esclusione
opposta ai suoi obiettivi espliciti (marginalità, disagio sociale, irregolarità,
e di conseguenza “paura” e rancore nella popolazione).
Ma il cuore della ricerca è scandagliare le
condizioni di lavoro, i bisogni e le rivendicazioni. Diversi gli elementi
emersi, tra questi gli scarsi investimenti in formazione insieme a un elevato
rischio di burn-out, nonché di sicurezza nel rapporto con gli utenti. La
presenza di falle nella tutela contrattuale, specie per i lavoratori della
cooperazione sociale. Allo stesso tempo una sostanziale differenza tra il mondo
pubblico, con una elevata età media, e un mondo privato, giovane,
sovraqualificato e soggetto a una precarietà spinta. Infine complicazioni nella
gestione degli appalti con casi di scarsa legalità e, per ultimo, eccessive
rigidità nell'organizzazione del lavoro, nella mobilità e nella valorizzazione
professionale.
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