Maria Concetta Tringali – Micromega
27 settembre ’18
27 settembre ’18
Sul fronte del diritto di famiglia e della tutela
dei diritti delle donne e dei minori, quello che sta per arrivare si annuncia
come un autunno impegnativo. Il 10 settembre scorso è infatti arrivato sul
tavolo della Commissione Giustizia il disegno di legge Norme in materia di
affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità, noto come
ddl Pillon dal nome del suo primo firmatario, fervente antiabortista e in
passato tra gli organizzatori del Family Day.
In apertura il testo fa un doveroso richiamo al
contratto di governo; cui segue un lungo preambolo che prima cita il giurista
Arturo Carlo Jemolo e poi srotola i punti nevralgici dell’annunciata riforma:
a) mediazione civile obbligatoria per le questioni in cui siano coinvolti i
figli minorenni; b) equilibrio tra le figure genitoriali e tempi paritari; c)
mantenimento in forma diretta senza automatismi; d) contrasto dell’alienazione
genitoriale.
Ventiquattro articoli che hanno la pretesa di
riscrivere le regole su un terreno scivolosissimo, con una spinta all’indietro
a dir poco vertiginosa.
Le critiche, trasversali, non si sono fatte
attendere. E intanto, nella seduta del 12 settembre – proprio per la
complessità e la delicatezza della materia – il gruppo per le Autonomie, il
gruppo misto, LeU e il Partito Democratico hanno chiesto e ottenuto che l’esame
del disegno di legge avvenga in plenaria. La decisione evita che il dibattito
sia condotto in una sede ristretta, quale quella della Sottocommissione per i
pareri.
Già a guardare il primo dei criteri ispiratori
della novella – quello che dall’art. 1 al 5 introduce la mediazione civile
obbligatoria in presenza di prole minorenne e la nuova figura del coordinatore
genitoriale – sorgono numerose perplessità.
Mentre la novità si traduce, per cominciare, in un
oggettivo aggravio di costi a carico delle parti, il profilo senz’altro più
spinoso è legato al fenomeno della violenza domestica. La novella impone alla
vittima un percorso al di fuori delle aule di tribunale che, non solo
costituisce una spesa ulteriore in grado di impedire il più delle volte
l’accesso alla giustizia, ma la espone di fatto a nuovi contatti con
l’abusante. Quel passaggio – che viola le prescrizioni della Convenzione di
Istanbul (1) – è addirittura stato previsto, come recita l’art. 7 del testo,
quale condizione processuale necessaria per ottenere poi la separazione o il
divorzio.
Le associazioni non hanno mancato di far sentire le
propria voce. I centri antiviolenza vogliono un’audizione in Commissione
Giustizia al Senato. Lella Palladino, presidente di D.i.Re-Donne in rete contro
la violenza, definisce il ddl “una trappola in grado di imprigionare le donne,
soprattutto quelle più fragili, in relazioni violente, con grave rischio per la
loro incolumità e per quella dei minori”.
Anche l’idea di garantire un equilibrio tra
entrambe le figure genitoriali e tempi paritari – prospettiva declinata, com’è,
nella forma della perfetta simmetria – lascia perplessi. I minori sembrano
infatti tutt’altro che tutelati da un provvedimento che finisce per instaurare
una doppia vita: due domicili, due case del tutto speculari, come assolutamente
equivalente dovrà essere il tempo trascorso con papà e mamma, non meno di 12 giorni
al mese (e 12 notti) con ciascuno dei genitori. Bambini come pacchetti postali.
E ciò a prescindere dalle peculiarità delle situazioni che, invece, andrebbero
vagliate caso per caso. L’attenzione massima pare posta, dal disegno di legge
Pillon, alla conservazione e al recupero del rapporto genitore-figlio, seppure
in presenza di gravi fatti e correlati pericoli.
Una circostanza va chiarita, prima di proseguire.
Bisogna precisare, a favore dei non addetti ai lavori, che questo tentativo di
riforma va in realtà a incidere su un terreno già oggetto di un precedente,
importante, intervento legislativo. Dal 2006 nel nostro paese l’affidamento
condiviso è infatti la regola generale. La sacrosanta parità e la equivalenza
dei ruoli; la necessità che il bambino o la bambina stabiliscano e mantengano
dei legami di intensità analoga tra il padre e la madre, sono innegabili
esigenze e stanno alla base della normativa che ha reso l’affidamento esclusivo
un regime del tutto eccezionale.
Ma di ombre, in questo disegno di legge, ce ne sono
altre. La CGIL parla di “riforma che si staglia contro le donne e i bambini”
chiamando in causa i dati sul gender gap. Il riferimento è al superamento
dell’assegno di mantenimento, bollato nel preambolo del disegno di legge come idea
antiquata; e alla cancellazione del reato di violazione degli obblighi di
assistenza familiare che svuota di contenuto ogni strumento di tutela
possibile. La proposta di modifica legislativa indica una forma di mantenimento
cosiddetta diretta. Le conseguenze sono evidenti. Graverebbe, se passasse il
testo così com’è, su entrambi i genitori un obbligo di accudimento e di cura
quotidiani, senza più nessuna contribuzione economica del coniuge più forte in
favore di quello economicamente più debole. Ancora una volta, ridotte al
lumicino le speranze di una donna senza reddito di mettere fine a un’unione
infelice o inadeguata.
I relatori della novella non sembrano insomma
essere impensieriti dai dati su occupazione, disoccupazione e inattività
femminili, che sono una realtà preoccupante nel nostro paese. Con il nuovo
testo salterebbero anche tutte le regole sulla casa coniugale. Nessuna
assegnazione, nemmeno in presenza di figli minori, e i rapporti patrimoniali
regolati sulla base delle vigenti norme che disciplinano la proprietà e la
comunione. E non finisce qui. Fermo il doppio domicilio, il giudice può
stabilire che in caso di interesse del minore questi rimanga a vivere con uno
dei genitori nella casa familiare. Ciò imporrebbe al coniuge non proprietario
un onere che il ddl dapprima definisce indennizzo e che subito dopo quantifica,
parametrandolo al valore commerciale del canone di locazione. Senza assegno e
pagando all’ex l’affitto di casa: questa la prospettiva per il coniuge debole
con l’idea di separarsi. Ancora in tema di residenza, l’art. 14 del testo
modifica il codice civile, disponendo che “è compito delle autorità di pubblica
sicurezza, su segnalazione di uno dei genitori, di adoperarsi per ricondurre
immediatamente il minore alla sua residenza qualora sia stato allontanato senza
il consenso di entrambi i genitori o l’ordine del giudice”.
Altro snodo nevralgico è quello che riguarda
l’estensione degli ordini di protezione. L’ipotesi presa in considerazione è
quella in cui “il figlio minore manifesti comunque rifiuto, alienazione o
estraniazione con riguardo a uno dei genitori”. La misura sarebbe applicabile,
secondo il nuovo testo, “pur in assenza di evidenti condotte” di uno dei
coniugi e potrebbe ben condurre non solo alla inversione della residenza
abituale del figlio minore presso l’altro genitore ma addirittura al
collocamento provvisorio del bambino presso una apposita struttura
specializzata. Torna, nel dibattito sulle famiglie che si spaccano, l’ombra
della PAS (Sindrome da alienazione parentale), contestatissima tra gli esperti
di diritto.
Quanto alle abrogazioni, i relatori del disegno di
legge paiono aver lavorato di cesoie. Con l’art. 19 che cancella il secondo
comma dell’art. 151 del codice civile, salta anche l’addebito della
separazione; nessuna conseguenza pertanto seguirebbe alla violazione dei doveri
che derivano dal matrimonio.
Per avere un’idea di come molta parte dei tecnici
abbia accolto il testo all’esame della Commissione, basta leggere l’avvocato
Gian Ettore Gassani. Il presidente dell’AMI, Associazione matrimonialisti
italiani, non salva nulla di questa riforma e sul Corriere della Sera afferma
che si sta usando la genitorialità per fare la rivoluzione copernicana del
diritto di famiglia.
E così l’Arci, in una nota, annuncia una ferma
opposizione e aderisce alla petizione lanciata da D.i.Re contro un testo che
“sembra supportare una cultura patriarcale e fascista che, fingendo di mettere
al centro la famiglia, tenta di schiacciare la soggettività e la libertà delle
donne ancorché dei minori”.
Di certo c’è che l’impianto normativo messo in
piedi dal senatore della Lega non soddisfa praticamente nessuno. Anche il Forum
nazionale delle Associazioni familiari ha bocciato il progetto. E persino la
maggioranza pare, infine, essersi spaccata. Il Movimento 5 Stelle con il
proprio capogruppo al Senato, Stefano Patuanelli, ha infatti dichiarato che “è
in corso un confronto interno su alcuni aspetti che meritano un
approfondimento”. Un modo cauto per dire che bisogna fermarsi a ragionare.
Intanto è stata indetta, per il prossimo 10
novembre a Roma, una mobilitazione generale contro il ddl.
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