mercoledì 26 settembre 2018

ITALIA/DIRITTI Invia Stampa Ddl Pillon: una trappola per le donne e un pericolo i bambini

 Maria Concetta Tringali – Micromega
27 settembre ’18


Sul fronte del diritto di famiglia e della tutela dei diritti delle donne e dei minori, quello che sta per arrivare si annuncia come un autunno impegnativo. Il 10 settembre scorso è infatti arrivato sul tavolo della Commissione Giustizia il disegno di legge Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità, noto come ddl Pillon dal nome del suo primo firmatario, fervente antiabortista e in passato tra gli organizzatori del Family Day. 
In apertura il testo fa un doveroso richiamo al contratto di governo; cui segue un lungo preambolo che prima cita il giurista Arturo Carlo Jemolo e poi srotola i punti nevralgici dell’annunciata riforma: a) mediazione civile obbligatoria per le questioni in cui siano coinvolti i figli minorenni; b) equilibrio tra le figure genitoriali e tempi paritari; c) mantenimento in forma diretta senza automatismi; d) contrasto dell’alienazione genitoriale. 
Ventiquattro articoli che hanno la pretesa di riscrivere le regole su un terreno scivolosissimo, con una spinta all’indietro a dir poco vertiginosa. 
Le critiche, trasversali, non si sono fatte attendere. E intanto, nella seduta del 12 settembre – proprio per la complessità e la delicatezza della materia – il gruppo per le Autonomie, il gruppo misto, LeU e il Partito Democratico hanno chiesto e ottenuto che l’esame del disegno di legge avvenga in plenaria. La decisione evita che il dibattito sia condotto in una sede ristretta, quale quella della Sottocommissione per i pareri. 
Già a guardare il primo dei criteri ispiratori della novella – quello che dall’art. 1 al 5 introduce la mediazione civile obbligatoria in presenza di prole minorenne e la nuova figura del coordinatore genitoriale – sorgono numerose perplessità. 
Mentre la novità si traduce, per cominciare, in un oggettivo aggravio di costi a carico delle parti, il profilo senz’altro più spinoso è legato al fenomeno della violenza domestica. La novella impone alla vittima un percorso al di fuori delle aule di tribunale che, non solo costituisce una spesa ulteriore in grado di impedire il più delle volte l’accesso alla giustizia, ma la espone di fatto a nuovi contatti con l’abusante. Quel passaggio – che viola le prescrizioni della Convenzione di Istanbul (1) – è addirittura stato previsto, come recita l’art. 7 del testo, quale condizione processuale necessaria per ottenere poi la separazione o il divorzio. 
Le associazioni non hanno mancato di far sentire le propria voce. I centri antiviolenza vogliono un’audizione in Commissione Giustizia al Senato. Lella Palladino, presidente di D.i.Re-Donne in rete contro la violenza, definisce il ddl “una trappola in grado di imprigionare le donne, soprattutto quelle più fragili, in relazioni violente, con grave rischio per la loro incolumità e per quella dei minori”. 
Anche l’idea di garantire un equilibrio tra entrambe le figure genitoriali e tempi paritari – prospettiva declinata, com’è, nella forma della perfetta simmetria – lascia perplessi. I minori sembrano infatti tutt’altro che tutelati da un provvedimento che finisce per instaurare una doppia vita: due domicili, due case del tutto speculari, come assolutamente equivalente dovrà essere il tempo trascorso con papà e mamma, non meno di 12 giorni al mese (e 12 notti) con ciascuno dei genitori. Bambini come pacchetti postali. E ciò a prescindere dalle peculiarità delle situazioni che, invece, andrebbero vagliate caso per caso. L’attenzione massima pare posta, dal disegno di legge Pillon, alla conservazione e al recupero del rapporto genitore-figlio, seppure in presenza di gravi fatti e correlati pericoli. 
Una circostanza va chiarita, prima di proseguire. Bisogna precisare, a favore dei non addetti ai lavori, che questo tentativo di riforma va in realtà a incidere su un terreno già oggetto di un precedente, importante, intervento legislativo. Dal 2006 nel nostro paese l’affidamento condiviso è infatti la regola generale. La sacrosanta parità e la equivalenza dei ruoli; la necessità che il bambino o la bambina stabiliscano e mantengano dei legami di intensità analoga tra il padre e la madre, sono innegabili esigenze e stanno alla base della normativa che ha reso l’affidamento esclusivo un regime del tutto eccezionale. 
Ma di ombre, in questo disegno di legge, ce ne sono altre. La CGIL parla di “riforma che si staglia contro le donne e i bambini” chiamando in causa i dati sul gender gap. Il riferimento è al superamento dell’assegno di mantenimento, bollato nel preambolo del disegno di legge come idea antiquata; e alla cancellazione del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare che svuota di contenuto ogni strumento di tutela possibile. La proposta di modifica legislativa indica una forma di mantenimento cosiddetta diretta. Le conseguenze sono evidenti. Graverebbe, se passasse il testo così com’è, su entrambi i genitori un obbligo di accudimento e di cura quotidiani, senza più nessuna contribuzione economica del coniuge più forte in favore di quello economicamente più debole. Ancora una volta, ridotte al lumicino le speranze di una donna senza reddito di mettere fine a un’unione infelice o inadeguata. 
I relatori della novella non sembrano insomma essere impensieriti dai dati su occupazione, disoccupazione e inattività femminili, che sono una realtà preoccupante nel nostro paese. Con il nuovo testo salterebbero anche tutte le regole sulla casa coniugale. Nessuna assegnazione, nemmeno in presenza di figli minori, e i rapporti patrimoniali regolati sulla base delle vigenti norme che disciplinano la proprietà e la comunione. E non finisce qui. Fermo il doppio domicilio, il giudice può stabilire che in caso di interesse del minore questi rimanga a vivere con uno dei genitori nella casa familiare. Ciò imporrebbe al coniuge non proprietario un onere che il ddl dapprima definisce indennizzo e che subito dopo quantifica, parametrandolo al valore commerciale del canone di locazione. Senza assegno e pagando all’ex l’affitto di casa: questa la prospettiva per il coniuge debole con l’idea di separarsi. Ancora in tema di residenza, l’art. 14 del testo modifica il codice civile, disponendo che “è compito delle autorità di pubblica sicurezza, su segnalazione di uno dei genitori, di adoperarsi per ricondurre immediatamente il minore alla sua residenza qualora sia stato allontanato senza il consenso di entrambi i genitori o l’ordine del giudice”. 
Altro snodo nevralgico è quello che riguarda l’estensione degli ordini di protezione. L’ipotesi presa in considerazione è quella in cui “il figlio minore manifesti comunque rifiuto, alienazione o estraniazione con riguardo a uno dei genitori”. La misura sarebbe applicabile, secondo il nuovo testo, “pur in assenza di evidenti condotte” di uno dei coniugi e potrebbe ben condurre non solo alla inversione della residenza abituale del figlio minore presso l’altro genitore ma addirittura al collocamento provvisorio del bambino presso una apposita struttura specializzata. Torna, nel dibattito sulle famiglie che si spaccano, l’ombra della PAS (Sindrome da alienazione parentale), contestatissima tra gli esperti di diritto. 
Quanto alle abrogazioni, i relatori del disegno di legge paiono aver lavorato di cesoie. Con l’art. 19 che cancella il secondo comma dell’art. 151 del codice civile, salta anche l’addebito della separazione; nessuna conseguenza pertanto seguirebbe alla violazione dei doveri che derivano dal matrimonio. 
Per avere un’idea di come molta parte dei tecnici abbia accolto il testo all’esame della Commissione, basta leggere l’avvocato Gian Ettore Gassani. Il presidente dell’AMI, Associazione matrimonialisti italiani, non salva nulla di questa riforma e sul Corriere della Sera afferma che si sta usando la genitorialità per fare la rivoluzione copernicana del diritto di famiglia. 
E così l’Arci, in una nota, annuncia una ferma opposizione e aderisce alla petizione lanciata da D.i.Re contro un testo che “sembra supportare una cultura patriarcale e fascista che, fingendo di mettere al centro la famiglia, tenta di schiacciare la soggettività e la libertà delle donne ancorché dei minori”. 
Di certo c’è che l’impianto normativo messo in piedi dal senatore della Lega non soddisfa praticamente nessuno. Anche il Forum nazionale delle Associazioni familiari ha bocciato il progetto. E persino la maggioranza pare, infine, essersi spaccata. Il Movimento 5 Stelle con il proprio capogruppo al Senato, Stefano Patuanelli, ha infatti dichiarato che “è in corso un confronto interno su alcuni aspetti che meritano un approfondimento”. Un modo cauto per dire che bisogna fermarsi a ragionare. 
Intanto è stata indetta, per il prossimo 10 novembre a Roma, una mobilitazione generale contro il ddl.

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