Alessandro Cardulli – JOBnews
25 settembre ’18
Lega
e Cinquestelle all’assalto del ministro Tria. Per mantenere le promesse fatte
in campagna elettorale sintetizzate nel “contratto di governo”, hanno bisogno
di una manovra di Bilancio che rischia di far affondare il nostro paese in un
mare di debiti. A tre giorni dalla presentazione dell’aggiustamento del Def, il
documento di Economia e finanza, che porta la firma dell’allora premier Gentiloni,
e che sarà la base per la manovra di Bilancio per il 2019, scendono in campo,
senza alcun ritegno, il solito Salvini che dopo essersi intestato il decretone
con il quale vengono mischiati sicurezza del paese e accoglienza dei migranti
che il capo della Lega non vuole proprio vedere nel nostro paese, manda
all’assalto del ministro Tria Claudio Borghi, presidente della Commissione
Bilancio. Dal canto suo Di Maio rompe gli indugi, prende spunto dalla decisione
della Francia, leggi il presidente Macron, che per finanziare la manovra
economica farà un deficit del 2,8% e afferma: “Siamo un paese sovrano proprio
come loro. Possiamo fare anche meglio di Macron, meno del 2,8%”. Qualche giorno
fa aveva iniziato a martellare il collega ministro perché abbandonasse la
trincea dell’1,6%, il rapporto fra deficit e Pil come, faticosamente, era
riuscito a concordare con i commissari della Ue. Di Maio aveva parlato di un
po’ più di deficit che serviva a finanziare il reddito di cittadinanza mentre
Salvini “conquistava” la flat tax e la
revisione della riforma Fornero.
Il vicepremier stellato minaccia
ancora. Allontaniamo i funzionari politicizzati
Il
vicepremier assicura che non vi saranno tagli alla sanità e afferma che
“dobbiamo allontanare i dirigenti politicizzati, eliminare gli sprechi”. Poi
spiega che a fine settembre ci sarà il decreto fiscale, che sarà previsto “il
carcere per gli evasori” e annuncia
“reddito di cittadinanza per i giovani, anche per quelli che lavorano ma sono
sotto la soglia di povertà e pensioni a 780 euro” e poi i soliti tagli alle
pensioni d’oro. Non è un caso che Giggetto richiami la conversazione telefonica
resa nota dal portavoce del presidente Conte il quale, guarda caso, affermava
che sarebbero stati cacciati via funzionari e dirigenti del ministero
dell’Economia. Scopre la carte. Il bersaglio non erano solo i “dirigenti
politicizzati” ma il ministro Tria. Un avvertimento a cielo aperto. Prende la
palla al balzo, un assist perfetto, Claudio Borghi, presidente della
Commissione Bilancio della Camera, uomo di fiducia di Salvini. Ai microfoni di “Circo Massimo”, Radio Capital,
a Massmo Giannini, il direttore che lo intervista così risponde: “Io non ho mai
sentito dire a Tria il numero 1,6”. “Non capisco neanche bene quale sia la
genesi di quel numero. Stiamo confondendo il numero del Def con la legge di
Bilancio. Secondo me, ex ante, un numero vicino al 2,5 porterà come risultato
una percentuale più bassa. Se mettendo un po’ di denaro in circolo aumenterà la
crescita, e quindi il Pil, ex post il rapporto deficit-Pil sarà più basso. Con
il 2,5 e una credibile politica di crescita, i mercati resteranno tranquilli”.
Lega: il responsabile economico
le dice grosse: “Non c’è relazione fra debito e spread”
Il
responsabile economico della Lega nega poi che con l’aumento del debito lo
spread tornerebbe a impennarsi: “Secondo me non c’è alcuna relazione fra debito
e spread. I primi Paesi che ebbero a che fare con lo spread nel 2011, come
Irlanda e Spagna, non avevano debito”. Ma da quale cunicolo esce questo Borghi?
Forse proprio lui confonde deficit, debito, pil. Passi per il Di Maio il quale
non ha neppure un minimo di pudore quando parla del carcere per chi evade e si
appresta a votare un condono di dimensione colossale, come mai, forse, si era
verificato. Borghi e Di Maio ignorano
che per finanziare il taglio delle tasse e recuperare qualche punto nei
sondaggi che lo vedono in calo, il presidente francese dovrà aumentare il
deficit al 2,6% per quest’anno e al 2,8% per l’anno prossimo. Il piano presentato
dal ministro delle Finanze francese prevede un taglio delle tasse di quasi 25
miliardi sulla base di previsioni di crescita stimate attorno all’1,7%. In
Italia il rapporto debito Pil supera il
130%, in Francia l’indebitamento è fermo al 97%.
Questa
la cronaca, “economica”, anche se pare che i soggetti che ne sono protagonisti
abbiano ben poca dimestichezza con gli argomenti che hanno a che fare con i
loro incarichi ministeriali. Non parliamo di politica che è altra cosa da
quella praticata dal Conte, Di Maio, Salvini, questo tal Borghi. Un trambusto
in cui il ministro Tria preferisce il silenzio, non partecipare alla gazzarra
che si è aperta dopo l’annuncio dato dal ministro francese. Mentre si sprecano
dichiarazioni, interviste, di pentastellati e leghisti il ministro Tria resta
in silenzio. Vuole evitare che si “accenda la miccia” proprio nel momento in
cui, presentato il Def, dovrà sostenerlo per dare avvio ad una trattativa che
risulti positiva per il nostro paese. A Salvini e Di Maio nel corso di incontri
e riunioni che si sono svolte a Palazzo Chigi ha spiegato che sarebbe un errore
cambiare le carte in tavola, facendo saltare il rapporto tra deficit e pil,
l’1,6%, come concordato con la Commissione. Si creerebbe un danno per le
trattative con la Ue, invece di rappresentare un possibile punto di partenza
per affrontare la discussione a Bruxelles sul Bilancio che dovrà essere
presentato entro la metà di ottobre.
I margini di confronto con
Bruxelles sul Bilancio sono molto
ristretti
Tria
sa bene che i margini sono stretti. Lo ha fatto presente nelle riunioni che si
sono svolte a Palazzo Chigi, in un clima che si fa sempre più convulso. Conte
ha visto il Ragioniere generale dello Stato, dopo gli attacchi che gli sono
stati portati in particolare dai Cinque stelle, leggi Casalino, il portavoce di
Conte. Il premier, raccontano le cronache, alle 7 del mattino a Palazzo Chigi
riunisce Salvini, Di Maio, Tria, Savona, il ministro per le politiche europee,
quello che ha presentato a Bruxelles il cosiddetto Piano B che non ha avuto
grande accoglienza, il viceministro al Tesoro, Laura Castelli e il
sottosegretario alla presidenza del Consiglio in quota leghista Giancarlo
Giorgetti. Di Maio insiste ribadendo al
“Fatto quotidiano”, ormai una sorta di house organ di M5S che occorre
finanziare il reddito di cittadinanza in deficit andando oltre il 2 per cento.
Questo quando ancora non era nota la decisione della Francia. Poi si passa ai
contatti telefonici. Arriva la notizia dalla Francia e Di Maio fa la voce grossa.
Si affaccia l’ipotesi di un compromesso, riferiscono i soliti ben informati che
parcheggiano nei palazzi del potere. Conte farebbe da mediatore fra Tria e Di
Maio. Dall’1,6% come concordato Tria
potrebbe provare a spuntare l’1,8-1,9%. I soldoni, anzi i soldini, sarebbero
circa 3,5 miliardi in più rispetto a quell’1,6% . Non coprirebbero il costo del reddito di
cittadinanza, la carta vincente per Giggetto nello scontro con Salvini. Uno
scontro miserevole, sulla pelle degli italiani. I dilettanti allo sbaraglio, in
questa giornata vissuta nei palazzi del potere, hanno dato una nuova prova, se
ce ne era bisogno, che non sono capaci di governare. Peggio: rischiano di
portare il paese allo sbando.
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