venerdì 28 settembre 2018

ITALIA/BILANCIO Il reddito di cittadinanza si finanzia (anche) con i fondi della Garanzia giovani


Francesca Barbieri e Alberto Magnani – Il sole 24 ore
29 settembre ’18

Il reddito di cittadinanza potrebbe cadere sulle spalle dei giovani. Letteralmente: le coperture previste dal governo gialloverde per sostenere la misura rischiano di sottrarre finanziamenti europei destinati al contrasto della disoccupazione degli under 30, a partire dalla cosiddetta Garanzia giovani. 
La misura lanciata da Bruxelles nel 2014 rientra, infatti, fra i programmi cofinanziati dal Fondo sociale europeo:il fondo Ue di contrasto alla disoccupazione indicato dal governo come fonte per la copertura dei 780 euro mensili promessi in campagna elettorale. Attingere alle risorse Fse significherebbe impattare sulle risorse destinate alla Youth guarantee, sempre che i propositi della maggioranza non si incaglino sulle regole europee per i progetti che possono (o non possono) essere finanziati.

Cosa c’entrano i fondi europei con il reddito di cittadinanza
Prima, però, facciamo un passo indietro. Chi lo dice che il governo Lega-Cinque stelle è intenzionato ad attingere al budget europeo per finanziare il reddito di cittadinanza? La fonte è abbastanza attendibile: il governo Lega-Cinque stelle. Alla voce apposita del «contratto del cambiamento», stipulato lo scorso maggio, si legge infatti che per istituire il reddito di cittadinanza «andrà avviato un dialogo nelle sedi comunitarie al fine di applicare il provvedimento A8-0292/2017 approvato dal Parlamento europeo lo scorso 6 ottobre 2017, che garantirebbe l'utilizzo del 20% della dotazione complessiva del Fondo Sociale Europeo (Fse)». 
Il fondo sociale europeo, come abbiamo visto, è una delle architravi che sostengono l’intero impianto della Garanzia giovani, attuata nei singoli Paesi Ue attraverso uno schema di cofinanziamento (i progetti vengono pagati sia dall’Ue che dalle singole regioni) e gestione condivisa (i programmi operativi sono negoziati tra le autorità nazionali e la Commissione). Per il nostro Paese, ad esempio, la dote iniziale è stata di 1,5 miliardi di euro: 567,5 milioni di euro attinti dal Pon Occupazione Giovani (IOG), gestito dall’Anpal, l’Agenzia nazionale delle politiche attive;567,5 milioni di Fondo sociale europeo e 378 milioni di cofinanziamento nazionale, con il coinvolgimento delle regioni chiamate a gestire la maggior parte delle risorse. A seguito della revisione del bilancio Ue nel 2017 e di una nuova iniezione di fondi europei, la Garanzia Giovani si è aperta una seconda fase che ha portato all’Italia una dote aggiuntiva di circa 900 milioni di euro da spendere entro il 2020. È proprio da questo tesoretto che il Governo giallo-verde potrebbe attingere risorse per il reddito di cittadinanza.

Un percorso a ostacoli
Il condizionale è d’obbligo, perché la scelta stessa del Fondo sociale europeo come fonte di copertura si scontra su alcuni ostacoli tecnici. Il primo riguarda le dimensioni microscopiche delle risorse che potrebbero essere attinte dal Fondo sociale europeo nel corso dell'attuale quadro finanziario pluriennale dell’Ue (2014-2021). Il nostro Paese, come tutti gli Stati membri, può infatti attingere a una quota (e non a tutti) i 10 miliardi di budget annuo del Fondo. Oggi in particolare, come ha scritto il Sole 24 Ore, si parlerebbe di un ‘prelievo' da circa 330 milioni di euro: briciole rispetto ai 17 miliardi previsti per finanziare la misura su scala annua. Il secondo ostacolo riguarda il futuro stesso del Fondo sociale europeo e la sua compatibilità con i progetti della maggioranza. Nella sua riformulazione per il periodo 2021-2027, il Fse vincolerà l'erogazione di fondi a progetti che incentivino occupazione e coesione sociale in forma attiva. Non esattamente lo spirito, e le finalità, del reddito di cittadinanza.

Il bilancio a luci e ombre della Garanzia
Le risorse drenate dal Fse verrebbero sfilate a un programma che ha messo a segno qualche numero, sia pure fra le tante fragilità della “Garanzia” e, soprattutto, del suo impatto reale sul mercato del lavoro.
L’ultimo bilancio dell’Anpal, aggiornato a fine maggio 2018, parla di oltre 1,3 milioni di giovani registrati al programma, al netto di tutte le cancellazioni di ufficio.
I “presi in carico” – i giovani che sono stati ricontattati dai servizi per l’impiego – sono il 77,6%, cioè circa un milione. Il numero di ragazzi che è stato preso in carico dai centri per l'impiego è nettamente più elevato in confronto a quanto registrato per le agenzie per il lavoro private (79% contro 21%), ma nelle Regioni del Nord-Ovest il rapporto si inverte: il 21,9% dei giovani è stato preso in carico dalle strutture pubbliche;il 78,1% dalle agenzie. 
Del milione di giovani presi in carico, circa 550mila sono stati avviati a un intervento di politica attiva, che nel 58,9% dei casi è un tirocinio extra-curriculare. Seguono gli incentivi occupazionali (23,7%) e i corsi di formazione (12,8%) e poi, via via, tutte le altre misure (servizio civile, autoimpiego, apprendistato). 
Gli occupati alla fine di questo percorso sono 270.566 al 31 maggio 2018, il 50,4% di chi è partito con la misura di politica attiva, una percentuale che scende a poco più del 27% se consideriamo invece il milione di giovani contattati dai servizi per l’impiego. 
Il tasso di inserimento occupazionale che si registra al termine dell'intervento passa dal 42,8% a un mese dalla conclusione del percorso al 51,4% quando il periodo considerato si allunga a sei mesi. 
Nonostante timidi segnali di miglioramento le tinte restano molto fosche se si mettono sotto i riflettori i Neet:i giovani che non studiano né lavorano, tra gli obiettivi fondamentali della stessa Garanzia. 
Nonostante in valore assoluto i Neet siano passati dai 2,4 milioni del 2014 a 2,19 milioni del 2017, la quota di under 30 che rientra ancora nella categoria dei «Né né» è pari al 24,1% dei giovani under 30, contro una media Ue del 13,4%, a distanza siderale da paesi come Germania (8,5%) e Olanda (5,9 per cento). 
Gli standard italiani nascono tra l’altro una frattura interna fra il Nord, dove i Neet sono il 16,7%, e il Sud, dove la percentuale è più che doppia, al 34,4%.

Nessun commento:

Posta un commento