Rinaldo Gianola – Striscia Rossa
30 settembre ’18
La prima manovra finanziaria del governo Lega-M5S
ha pienamente mantenuto gli obiettivi che si erano dati i vincitori delle
elezioni del 4 marzo: condono per i furbetti del fisco, superamento della legge
Fornero sulle pensioni, distribuzione di un reddito-pensione di cittadinanza,
progressiva riforma fiscale con introduzione di due aliquote dal 2020. Il costo
di questi interventi potrebbe superare i 30 miliardi di euro, il rapporto
deficit-Pil sarà del 2,4% non solo per il 2019 ma per i prossimi tre anni.
Siamo ben lontani dall’1,6% che il nostro Paese si era impegnato a rispettare.
E non si capisce perché il ministro Tria non si sia dimesso: con che faccia
adesso affronterà i suoi colleghi europei
I patti, forse, sono fatti proprio per essere
violati, ma l’aumento del deficit si rifletterà sul nostro debito mostruoso di
2300 miliardi di euro, pari al 130% del Pil, che prima o poi qualcuno dovrà
pagare. Salvini ha ottenuto dalla magistratura di rimborsare 46 milioni fatti
sparire dalla Lega in 76 rate annuali, i mercati e gli investitori
internazionali che sottoscrivono miliardi di Btp non saranno così clementi con
il nostro Paese quando si renderanno conto che non rispettiamo più gli accordi.
Il senso politico della legge di Bilancio è quello
di dare uno schiaffo all’Unione Europea e di offrire un’illusione ai cittadini
italiani oggi magari felici per la “Finanziaria del popolo” e domani incavolati
quando vedranno aumentare la rata del mutuo, le spese della sanità, della
scuola. E la ripresa del Pil? Gli investimenti produttivi, per l’industria,
l’innovazione, il lavoro? Aria fritta, per ora.
Il governo non rispetta le regole che l’Europa si
è data e che l’Italia ha liberamente sottoscritto, punta a scatenare con la
commissione Ue di Bruxelles una guerra totale per i prossimi mesi alimentando
così la campagna elettorale del voto europeo del maggio 2019, una sfida nella
quale il nostro esecutivo si colloca accanto a xenofobi, fascisti e sovranisti
della peggior specie, da Orban in giù. La Finanziaria di Di Maio e Salvini ha
il valore di una rottura con l’Europa, fa vedere in modo chiaro cosa vuol dire
essere populisti, induce anche qualche seria preoccupazione sulle possibili
ripercussioni di queste iniziative politiche, ma sono timori solo esterni alla
maggioranza di governo. Grillini e leghisti se ne fregano dello spread e del
crollo in Borsa, che puntualmente arrivano, per loro sono tutti fenomeni
indotti dai poteri forti, dai salotti, dai tecnocrati. Sono tutte “medaglie”,
direbbe Salvini. Dopo questa manovra il prossimo passo del governo potrebbe
essere di tirare fuori dal cassetto il famoso piano B di Savona, per uscire
dall’Euro.
La legge di Bilancio è una miscela di interventi
che potrebbero essere selezionati e giudicati come di “destra” o di “sinistra”,
se ragionassimo con i vecchi schemi della politica. Esempio: i sindacati, i
lavoratori, i ceti più poveri possono forse lamentarsi della nuova disciplina
sulle pensioni o del reddito di cittadinanza? Quante volte abbiamo ascoltato i
sindacati, parte di quel che rimane della sinistra contestare la riforma
Fornero e per quanti anni abbiamo sentito le richieste di interventi a favore
dei ceti più disagiati, dei pensionati al minimo? Bene, ora ci sono voci e
stanziamenti nel bilancio dello Stato. Vedremo i candidati alla segreteria
della Cgil dividersi sulla manovra di Di Maio e Salvini? Certo, poi ci sono
anche i tranelli: chi andrà in pensione con la quota 100 avrà un assegno
decurtato, ma il governo non lo dice per non rovinare l’effetto che fa.
E la riforma fiscale, l’abbassamento delle tasse,
la flat tax e il solito condono spacciato per pace fiscale non sono forse le
aspirazioni di larga parte del tessuto economico, imprenditoriale, delle
piccole-medie imprese, dei lavoratori autonomi? Tutta roba di destra, si
sarebbe detto una volta. Ma non è così, oggi questi interventi (bisognerà
vedere alla fine la vera consistenza) sono trasversali a molti interessi, a
tante categorie. Non si può schematizzare e semplificare, come dovrebbe
insegnare il risultato del voto del 4 marzo scorso. Soprattutto bisogna fare i
conti col fatto che questo governo – e stiamo parlando del governo di
Toninelli, Fontana, Di Maio – continua ad avere successo tra i cittadini,
raccoglie circa il 60% secondo gli ultimi sondaggi. Sono cifre impressionanti
soprattutto perché non si vede e non si sente nessuno che abbia la forza, la
voce, la cultura di contrastare la propaganda, gli slogan, il disegno politico
di questa maggioranza variegata, contraddittoria, eppur fortissima.
Nelle prossime settimane la manovra e la tenuta
del governo dovranno fronteggiare le reazioni dei mercati, gli scossoni al
nostro sistema finanziario e bancario, la bocciatura e la prevedibile rottura
con l’Unione Europea. Chi pagherà saranno sempre i cittadini, a cominciare da
quelli di Genova che non sanno ancora chi sarà il commissario per la
ricostruzione del ponte.
Nessun commento:
Posta un commento