Susanna Turco – L’Espresso
25 settembre ’18
«Mi
fa strano che ci siano leghisti a Marano di Napoli, siamo sicuri che ci sono?».
Angelo, tassista, quarantenne, nato al rione Sanità, residente a Fuorigrotta,
alla richiesta di dire dove si trovi la sede del Carroccio nella cittadina
dell’hinterland napoletano, ha un sussulto. E risponde con la domanda delle
domande. Leghisti nel sud, ma siamo sicuri? «Il signor Salvini ci ha sempre
disprezzato, a noi terroni, infatti non l’abbiamo mai voluto, qui a Napoli. Mi
meraviglio che abbia avuto voti», chiarisce.
Eppure,
la conquista del sud da parte della Lega - che ancora nei giorni delle politiche
di primavera suonava come una stranezza - sembra ora sul punto di dilagare. Di
farsi sistema. Persino oltre il quasi milione di elettori già raccolti a
sorpresa, a marzo, dal Lazio alla Calabria, dalla Campania alla Sicilia, che
hanno mandato in parlamento ben 23 eletti del Carroccio. Aggiornarsi, dunque: i
leghisti del sud non sono più come i «nazisti dell’Illinois» che John Belushi
cita nei Blues Brothers. Non sono più paragonabili alla suprema stranezza, al
simbolo del fuoriluogo, a gente che crede in cose sbagliate nel posto
sbagliato. Somigliano piuttosto a un’onda tipo quella della Forza Italia del
1994, l’exploit che si fa organismo. Sono in tanti del resto a citare gli
esordi di Berlusconi, tanti elettori di Salvini a sentirsi così. Il 2019 sarà
ancora un anno di mezzo, raccontano i dirigenti siciliani.
Ma
il taglio netto dal passato - quello che per sentenza e per politica non c’è -
dal punto di vista estetico-pratico è stato operato. Anche in termini di sedi,
luoghi, persone. Ci prepara anche mentalmente al necessario cambio di statuto,
per un partito che il Meridione non lo contempla nemmeno nella sua carta
fondante e anche su internet è plasticamente diviso in due indirizzi diversi.
Si inneggia ai codici etici, come a farsi scudo dal passato dei Bossi e dei
Belsito. Prevale la tecnica del commissariamento, per mostrare che si cambia
aria e nomi. Anche se poi di riciclati è pieno, in realtà. Si vuole cambiare
pelle: aprire sedi nuove, passando per la medietà di più innocui circoli, prima
di approdare al futuro fatto di congressi sezioni e catene di comando. Non più
“Noi (terroni) con Salvini”: il punto di fuoco sarà tutto su di lui, “Salvini
premier”.
Certo,
siamo ai primi, incerti, rocamboleschi, ambigui passi. Di fatto, a dispetto di
un grande fermento social e di un radicamento molto raccontato, a girare per il
sud si incontrano per lo più sedi chiuse, tapparelle abbassate, numeri che
squillano a vuoto, genti che rispondono dai loro uffici di professionisti –
messi magari a disposizione per le riunioni. A Napoli, ad esempio, ci si vede
nell’ufficio da avvocato a Riva di Chiaia, quartiere bene, della coordinatrice
cittadina Simona Sapignoli (ex Fi) o, al massimo, in quello del coordinatore
regionale e deputato Gianluca Cantalamessa. Allo stato, l’unica sede attiva è
appunto quella di Marano di Napoli «una Secondigliano che fa meno notizia»,
sintetizza Angelo il tassista. Sessantamila abitanti, comune record per numero
di scioglimenti per camorra - tre volte compresa l’ultima due anni fa (governava
Forza Italia) - quattro per cento alla Lega nelle politiche, a fine ottobre
torna a votare ed è soprattutto per questo che a fine luglio ha aperto una
sede, in una ex macelleria (450 euro l’affitto) e affidato la pagina Facebook a
un diciassettenne, Crescenzo, che la fa marciare. I venti che sostengono il
circolo locale, autotassazione 50 euro al mese, sono tutti in lista. Raccontano
volentieri il loro impegno, fatto di migranti da fermare, di Cas di cui
impedire l’apertura, raccolta materiale scolastico e, insieme, la storia del
loro colpo di fulmine verso Salvini. Che è poi identica ovunque, riassumibile
nel trittico: lui dice basta agli immigrati, lui fa quello che promette, lui si
fa ascoltare. Lui.
«Nello
scoramento più totale, tre anni fa mi colpì un discorso al parlamento europeo»,
rievoca Massimo, il portavoce del gruppo, che prima non aveva mai fatto
politica eppure mostra già la morbidezza di chi sia nel ramo da sempre. «Ci
siamo avvicinati per il carisma», dice Luigi mostrando il mostra il selfie
scattato con Salvini, due anni fa alla Fiera d’Oltremare, momento fondante
della sua iniziazione. «Che poi questo dei selfie è un marketing geniale, a
costo zero, perché è chiaro che tutti corrono a postarsi la foto sui social, e
lui ha pubblicità gratis», aggiunge compiaciuto, e noncurante d’essere anche
lui vittima del meccanismo che descrive. Ora che il vento è girato è facile
dirsi leghista in Campania, prima meno. Ciascuno ha la sua lista di insulti: in
casa, in famiglia, tra gli amici, per strada. «Ne abbiamo collezionati a
pacchi, il più gentile era: siete come i napoletani che tifano Juve. A dire la
verità, mio padre e mio fratello mi insultano ancora», racconta Massimo.
Adesso, ovviamente, è diverso. C’è la fila. Nella regione coordinata da quattro
anni dall’ex missino Cantalamessa, ci si prepara a fine mese per quella che
viene raccontata come la “Pontida del Sud”, organizzata a Campagna dal
coordinatore di Salerno, Mariano Falcone. L’associazione presepiai ha già
provveduto a fare le statuine di Salvini da vendere per beneficienza nei
gazebo. In attesa che lui si manifesti in carne ed ossa , e che uno come il
consigliere comunale (ex An) Vincenzo Moretto faccia il salto.
Intanto
però le riunioni si fanno in ufficio, mancando la sede. È così, del resto, in
molti posti. Il partito di Salvini al sud funziona soprattutto sulle pagine di
Facebook. I vecchi locali sono chiusi, i nuovi - spesso - non (ancora) aperti.
Il segno di un partito in marcia per cambiare pelle. Non per forza in meglio.
Il risultato, alla fine del guado, ha buone chance di rivelarsi gattopardiano.
Indizi ce ne sono.
A
Reggio Calabria, ad esempio, per entrare nella sede al primo piano -
contemporaneamente cittadina e regionale, nel regno di Domenico Furgiuele -
bisogna suonare un citofono su cui c’è scritto come un’invocazione: Salvini
premier. Ma nessuno risponde. Il deserto. In due ore, l’unico contatto de visu
è la dirimpettaia, di colore, con una neonata in braccio, che sorride.
Accogliente, almeno lei. Il resto è silenzio, persiane, panieri di metallo che
calano dalle finestre. «Abbia pazienza, è settembre, fa caldo, più tardi verso
le sei trova qualcuno, forse». La voce al telefono, che risponde al numero
segnato sulla pagina facebook di Lega Salvini- Reggio Calabria, è quella di
Nuccio Recupero.
Ex
coordinatore cittadino, sollevato dall’incarico a giugno, dopo due minuti
ritelefona sua sponte e si sfoga. «Sono stato esautorato senza un motivo, l’ho
appreso dalla stampa, forse volevano fare un’operazione maquillage, inserire
altri», spiega parlando come a un confessionale: «Comunque a noi adesso non
danno più tessere, sto facendo iscrivere le persone online, via internet, così
si vedrà la differenza tra noi e loro. E con Salvini ci ho parlato, ha detto di
stare tranquilli: no, no, il problema è al livello regionale, Furgiuele, ha
registrato tutto?». Comunque vada a finire, non esattamente un clima sereno:
l’uomo chiamato a commissariare il coordinamento cittadino, Michele Gullace,
non risponde nemmeno al telefono.
Tre
ore dopo, perfettamente sbarbato e pronto all’impatto , Franco Recupero,
fratello minore di Nuccio e responsabile regionale della Lega per il settore
sicurezza e immigrazione , è pronto a mostrare ogni angolo della sede prima
deserta (quattro stanze più il bagno, 450 euro al mese d’affitto). I Fratelli
Recupero stanno con Salvini dal 2015, quando la Lega era al tre per cento e
tutti gli chiedevano: «Ma non ti vergogni?». Franco conosce il leader dai tempi
di Radio Padania, dice che sono entrati in contatto da colleghi, perché lui è
editore di una radio-tv locale (gsnews24) conduce fra l’altro un programma
tutti i venerdì, “Voci nella notte”. Spiega che questa è una sede operativa,
che conta 200 iscritti, mostra il modulo, sulla scrivania giace un mucchietto
di tessere già pronte, con sopra nome e cognome. Quanto alle cose fatte, cita
gazebo, il no al referendum, la serata in cui è venuto Salvini in campagna
elettorale: «Era il giorno di San Valentino, alle dieci di sera, c’era un
temporale micidiale».
Non
proprio il radicamento che si pensava di trovare nel leggere il vanto che si fa
il senatore bresciano Raffaele Volpi per il lavoro svolto in Calabria. Volpi,
stratega del primo sfondamento al Sud, al Corriere ha raccontato infatti col
piglio di un Livingstone alle prese con l’Africa: «Ricordo con nostalgia quando
sbarcai con la valigetta in mano per la prima volta all’aeroporto di Lamezia...
ora quelle realtà territoriali sono cresciute, hanno dato vita a molte
sezioni». Ecco: i voti sono arrivati, il resto zoppica.
A
Vibo Valentia, l’indirizzo lungo il corso che porta verso il castello normanno
corrisponde a un appartamento sbarrato al primo piano, sopra a un locale di
“Eurobet”. «Ogni tanto viene qualcuno che cerca la sede: vogliono magari
informazioni, chiedono gli orari. Ma se dici che è chiuso non sbagli: vengono
ad aprire una volta ogni due mesi, a dire tanto», spiega il commesso del vicino
negozio Audiomed, aperto da cinque anni. Al bar di fronte, sono ancora più
netti. Mai visto nessuno: «Giusto il giorno in cui è venuto Salvini, in
campagna elettorale: c’era un sacco di gente, hanno transennato tutto, si sono
fatti le foto, poi più niente» spiega Tonino, alla cassa. Ma per cercare
qualcuno? «Boh».Quando si dice il radicamento sul territorio. Elettori sparsi,
però, se ne trovano. Ancor meglio: potenziali elettori. Li trovi anche nelle
campagne intorno a Vibo, come a Piscopio, tra sterrati, terrapieni, case a
metà, giraffe di cemento, manifesti per Maria Santissima Della Catena, donne in
nero con intere cassette di verdura in bilico sulla testa come pareva non ce ne
fossero più. «Non ho votato Salvini, ma la prossima volta lo voto», dice
Francesco che vende combustibile per i pellet all’Agricola Calabrese: «Perché
ha avuto il coraggio di dire all’Europa che non vogliamo gli immigrati».
Ecco,
un segreto del successo. Insieme con la poetica dell’uomo forte, evidentemente
in particolare voga. «Non mi stupisce che gli italiani votino Lega. Oppure
pensate che abbia per caso fatto dei miracoli, Salvini?». Elias, pittore
libanese che vive sei mesi in Olanda e sei mesi a Taormina, mentre mescola i
colori distilla le sue osservazioni di non votante, dal belvedere di uno dei
bon bon del turismo italico, dove la Lega a marzo ha totalizzato il suo record
al sud, col 23 per cento di consensi. «Qui prima votavano tutti Dc, adesso
votano il Carroccio. Non è mica un miracolo. Salvini ha interpretato i
sentimenti delle persone, che immigrati non ne vogliono più. E quegli italiani
sono la maggioranza».
Su
Libero, Vittorio Feltri dice la stessa cosa: «In pratica Matteo interpreta alla
perfezione i sentimenti comuni e cerca di soddisfare le aspettative più
diffuse», punto. Al barbiere Melo, la faccenda vira al cinematografico. Il
proprietario, Carmelo, è intento a tagliare i capelli a un cingalese e alle
domande sulla Lega si limita ad indicare il Che Guevara che ha appeso alla
parete.
Sul
divano, proprio sotto al Che, siede invece Rudi, 33 anni, commerciante che a
Taormina ha un locale, e che ha votato il Carroccio. Prima che si scateni tra i
due un dibattito asperrimo, stile talk show (dibattito al quale il cingalese
assiste tanto muto quanto disgustato - prima di pagare e uscire), Rudi fa in
tempo a dire che sta con la Lega perché: «Salvini ha bloccato le navi, invece
di farci fare i babbi, basta con gli italiani che calano la testa»; «nell’arco
di un mese ha fermato la Merkel e Macron» e «mi auguro che adesso sistemino
anche la magistratura»; «i giornali ci stanno tutti contro, e meno male che ci
sono i social». La flat tax nemmeno la cita: e forse questo basta a dire la
ricetta, la chimica, che muove i voti.
Molto
ne sa, di certo, il responsabile di zona della Lega, Pippo Perdichizzi. Ex
aennino di Destra sociale, avvocato penalista (difese il clan dei
Barcellonesi), allievo di Carlo Taormina, pasticcere già finito in cronaca
durante il G7 per aver battezzato la coppa Trump (ora ha fatto la torta
Salvini, a base di pistacchio), esperto di chimica del gelato, bilanciamenti
dei gusti, isomalto ed esoterismo (la sua pasticceria si chiama con una parola
celtica, omaggio anche alla moglie polacca), spiega di essere arrivato al
Carroccio via Angela Maraventano, usando la chiave dell’indipendentismo
siciliano. «Quel che mi piace, e che entusiasma la gente, è il metodo del fare.
Perché, alla fine, non è che a noi ci abbiano rovinato i leghisti: i peggiori
nemici del sud siamo noi meridionali. Quel che bisogna evitare è il
trasformismo», chiarisce senza tema della evidente contraddizione. La sede del
Carroccio, manco a dirlo, coincide col suo ufficio di avvocato. Dal lato
opposto di Taormina, al bar C&G quattro pensionati discutono di calcio e di
Salvini che «sta in prima pagina su La Sicilia, mentre mangia, con un cannolo
tanto in bocca». C’è Raffaele, ex maresciallo, Francesco, ex dirigente
comunale, Salvatore, ex capo di una ditta di trasporti e Franco, che sta sempre
zitto. Nessuno di loro ha votato Lega. Tutti però sono d’accordo su due punti:
sull’immigrazione il ministro degli Interni ha azzeccato il messaggio («non
siamo razzisti, ma persino qui girano troppi migranti»); sulla Lega i
magistrati stanno sbagliando tutto, e sarà un boomerang. Quanto al perché di un
successo così spiccato nella zona, la spiegazione è di una linearità assoluta:
«Il Carroccio ha assorbito un deputato della nostra circoscrizione, e con lui i
suoi voti». Il deputato è Carmelo Lo Monte, nato a Graniti: sindaco
democristiano a metà degli anni ottanta, è passato per il Ppi, Democrazia
Europea, Udc, Mpa, Centro democratico e Psi di Nencini. Ha fatto in tempo a
stare nella prima giunta di Totò Cuffaro, e a farsi eleggere nella Lega già dieci
anni fa, prima che nel 2018.
Ecco,
il riciclo del vecchio, il riposizionamento. Ossessione dei dirigenti leghisti,
che con una mano ripetono di non volersi accollare il vecchio mondo del
centrodestra, mentre con l’altra lo imbarcano. Necessità di tutti gli altri,
gli appiedati dal crollo dei precedenti equilibri, che vedono nella Lega
salviniana l’unico futuro possibile. Non solo da Forza Italia, destra, centro
ex democristiano e alfaniano: adesso persino grillini, come è accaduto a Igor
Gelarda a Palermo.
È
una specie di sbarco, una processione come quella in mare a Catania, per la
festa della Madonna dell’Ognina. Decine di barchette, pescherecci, barconi:
visti da lontano potrebbero portare migranti, portano fra l’altro invece Fabio
Cantarella, primo assessore leghista nell’Isola. Delegato ai Rifiuti per
assegnazione diretta (un accordo tra il sindaco Pogliese e Salvini), vice per
la sicilia orientale di Stefano Candiani, il sottosegretario e senatore di Busto
Arsizio che Salvini ha chiamato a commissariare la Sicilia. Cantarella,
avvocato, ex aennino, ex militante di Azione giovani, simpatie esoteriche che
arrivano per lo meno fino all’aver diretto la rivista Quinto Arcano, è si può
dire un salviniano della prima ora. Nel 2013, vicesindaco dei 32 mila abitanti
di Mascialucia, alle porte di Catania, trovandosi male nel Pdl scrisse una mail
al nuovo leader: «Lui mi telefonò l’indomani, non ci siamo più separati. Gli
organizzai la prima conferenza stampa a Palermo, lui esordì chiedendo scusa ai
meridionali per i toni utilizzati: alla lunga ha funzionato». Più
l’immigrazione e i genitori 1 e 2 che la Flat tax, a occhio. E adesso avanti
col tesseramento: “Noi con Salvini” in Sicilia aveva mille tessere, ora sono già
tremila, dice Cantarella. La sede a Catania? Quella vecchia è chiusa da un
pezzo. «Dobbiamo aprire la nuova, in piazza Nettuno, pieno centro, davanti ai
giardinetti. Sarà a livello strada, non più al terzo piano», là dove campeggia
la scritta ritratta in queste pagine. «Stiamo valutando entro fine anno di fare
una festa della Lega, non sappiamo dove». Sarà la prima in Sicilia, per
festeggiare lo sbarco.
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