Fulvio Vassallo – Il manifesto
26 settembre ’18
Sembrano ormai legalizzate le prassi di abbandono
in mare, con il supporto dell’Unione Europea. Si stanno respingendo di fatto
tutte le persone soccorse in acque internazionali con la chiusura dei porti e
le pressioni sugli stati di bandiera.
Sempre più evidente appare la natura strumentale
della cosiddetta zona Sar (ricerca e salvataggio) libica dichiarata
all’Organizzazione internazionale per le Migrazioni (Oim).
Dal 28 giugno la Guardia costiera italiana delega
sistematicamente ai libici tutti i soccorsi da operare in una zona Sar tanto
ampia che non controlla nessuno. L’atteggiamento della Francia verso l’Italia è
di evidente chiusura, e si manifesta anche nelle prassi illegali di
respingimento adottate alla frontiera di Ventimiglia. Per nascondere i
fallimenti internazionali, anche sulla mancata riforma del Regolamento Dublino,
Salvini cavalca adesso il binomio allarme sicurezza-emergenza immigrazione.
In un documento sottoscritto da 40 giuristi –
adottato alcuni giorni fa al Convegno di Filosofia del diritto che si è svolto
a Bergamo – si mette in rilievo come «le numerose e gravi violazioni del
diritto internazionale, delle garanzie del diritto penale italiano, della
Costituzione e del diritto umanitario, giustificate con il supposto volere
della maggioranza degli italiani, mettono in crisi lo stato di diritto e si
pongono in contrasto con la fondamentale massima kantiana secondo cui si deve
agire in modo da trattare gli esseri umani sempre anche come fine e mai
semplicemente come mezzo».
Una considerazione analoga può valere se si prende
in esame il Decreto legge Salvini su «sicurezza e migranti», un binomio che
tradisce l’impostazione repressiva del provvedimento, peraltro privo di quei
caratteri di necessità ed urgenza che legittimerebbero il ricorso alla
decretazione d’urgenza. Si tende a criminalizzare chi soccorre, e chi viene
salvato in mare, facendo ingresso nel territorio italiano per richiedere
protezione, mentre si elude qualsiasi prospettiva di regolarizzazione e di
ingresso legale. Di fatto si alimenta irregolarità e dunque quella
«clandestinità» che a parole si dice di volere «combattere». I punti principali
del nuovo decreto legge sui quali Salvini sta rilanciando la sua campagna
elettorale di fronte a impegni che i partiti di governo non sono in grado di
mantenere, costituiscono un attacco al ruolo di garanzia della giurisdizione e
la negazione di principi fondamentali sanciti dalla Costituzione italiana.
In primo luogo, l’abolizione della «protezione
umanitaria», con la riformulazione dell’art. 5 c.6 del T. U. n.286 del 1998,
non è imposta da vincoli europei e risulta in contrasto con l’articolo 10 della
Costituzione, di cui la norma costituisce attuazione diretta, come riconosciuto
da una consolidata giurisprudenza della Cassazione. Secondo la sentenza n. 4445
del 2018, «la protezione umanitaria costituisce una delle forme di attuazione
dell’asilo costituzionale (art. 10, c.3 della Costituzione), secondo il
costante orientamento di questa Corte (Cassazione 10686 del 2012; 16362 del
2016)».
In secondo luogo, al di là dell’aumento del
periodo di detenzione nei centri per i rimpatri – appena 600 posti in tutta
Italia, un boomerang per chi lo propone – l’aumento del trattenimento, fino a
30 giorni, nei cosiddetti Hotspot, ancora privi di una disciplina legislativa,
ed il trattenimento negli uffici di frontiera ( così come è previsto dall’art.4
del decreto) violano l’articolo 13 della Costituzione e l’art. 5 della Corte
europea dei Diritti dell’uomo, perchè si introduce una forma di detenzione
amministrativa già censurata dalla Corte di Strasburgo, sottratta ad un
effettivo controllo giurisdizionale con una sostanziale riduzione dei diritti
di difesa.
Infine, tutte le altre misure introdotte dal
decreto legge: la revoca o il diniego della protezione internazionale e dello
status di rifugiato per chi commette determinati reati, anche lievi; la revoca
del permesso per motivi di protezione per coloro che faranno temporaneo rientro
nel paese d’origine; e il sovvertimento del sistema di accoglienza, si pongono
contro obblighi stabiliti dalle Direttive europee in materia di protezione
internazionale, violando altresì il principio di uguaglianza stabilito dalla
Costituzione ed il divieto di non refoulement imposto dalla Convenzione di
Ginevra.
La Corte europea dei Diritti dell’uomo (nella
sentenza Hirsi Jamaa contro Italia del 2012) ha ribadito che il divieto di
rimpatrio verso paesi nei quali le persone potrebbero essere esposte a
trattamenti disumani o degradanti, ha «natura assoluta». Un principio che
andrebbe ricordato anche nel caso della nave umanitaria Aquarius, che non può
ritenersi obbligata ad obbedire agli ordini di riconsegna dei naufraghi alle
autorità libiche. Ma evidentemente, per questo governo, il rischio di tortura o
di trattamenti inumani, se avvengono lontano dalle nostre frontiere, si può
anche ignorare.
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